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Home » Lifestyle » Il calvario di Giulia Lo Pinto: “Ecco cos’è la MCS, il mio incubo”

Il calvario di Giulia Lo Pinto: “Ecco cos’è la MCS, il mio incubo”

La donna, di origine siciliana ma che vive in Toscana, soffre di "Sensibilità Chimica Multipla", malattia rara e poco conosciuta: "Continuo a battermi per diffondere informazioni"

Guido Guidi Guerrera
14 Marzo 2023
Giulia Lo Pinto soffre di “Sensibilità Chimica Multipla"

Giulia Lo Pinto soffre di “Sensibilità Chimica Multipla"

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Cos’è la MCS? Niente a che vedere con l’universo delle evasioni vacanziere che può evocare per assonanza. MCS è l’acronimo di “Sensibilità Chimica Multipla“: una condizione patologica cronica che comporta spiccata ipersensibilità nei confronti di agenti tossici e sostanze allergizzanti. Si tratta di una malattia rara con forti ripercussioni sulla qualità della vita quotidiana e chi ne è affetto può sviluppare reazioni avverse nei confronti di qualsiasi agente aggressivo come le polveri sottili, i detersivi per uso domestico, i cosmetici, i profumi e così via.

Le cause di questa patologia sono pressoché sconosciute, ma l’aspetto più inquietante sta nel fatto che buona parte della ricerca medica è restia a includere la MCS nel novero delle malattie vere e proprie e dunque riconosciute come tali. Sono ancora molti i medici e le strutture sanitarie del nostro paese che reputano le cause scatenanti prevalentemente ascrivibili a un quadro di natura psichiatrica in cui l’ansia sarebbe unica responsabile dell’intero quadro clinico. Accanto a questa scuola di pensiero si affianca quella di specialisti pronti a dimostrare che le cose stanno in ben altro modo e come l’anamnesi corretta non possa prescindere da traumi pregressi, da insulti di tipo ambientale da esposizioni a fonti inquinanti, nonché da una evidente predisposizione di tipo genetico.

Giulia Lo Pinto soffre di "MCS", acronimo di “Sensibilità Chimica Multipla"
Giulia Lo Pinto soffre di “MCS”, acronimo di “Sensibilità Chimica Multipla”

I soggetti colpiti vanno incontro a periodici, forti, mal di testa, alla comparsa di eruzioni cutanee, a crampi e dolori muscolari, a uno stato di marcato affaticamento e a fasi di perdita della memoria unita a spiccata sensibilità agli odori. Sulla questione grava inoltre una enorme confusione normativa e burocratica, con la conseguenza che alcune regioni sono disposte a riconoscere la malattia e quindi assistere il paziente mediante gli strumenti del Servizio Sanitario Nazionale, mentre altre rifiutano senz’altro di essere attive su questo piano lasciando di fatto il malato a se stesso. Una nota del Senato spiega: “La patologia della MCS non è disciplinata da tutte le regioni e, nelle regioni ove è riconosciuta con legge o con delibera di giunta, è normata in forme diverse e disomogenee. Attualmente la patologia non è inserita tra quelle riconosciute come esenti dal nostro Sistema sanitario nazionale (SSN) tuttavia alcune regioni – per l’esattezza Toscana, Emilia-Romagna e Abruzzo – grazie all’autonomia in materia, hanno dato alla malattia questo riconoscimento”. Una malattia, dunque, priva della necessaria ‘certificazione‘, il cui riconoscimento è lasciato all’estro interpretativo delle realtà locali e per questo rischia di non trovare a breve adeguata soluzione.

A essere affetta da questa sindrome è Giulia Lo Pinto, una bella donna di origini siciliane che da tempo vive in Toscana. Nonostante definisca la sua “una vita non vita”, Giulia ha mostrato dall’insorgere dei primi sintomi tutta la tempra della lottatrice nata, fino ad aver fatto sua la battaglia per il riconoscimento assoluto e oggettivo della MCS. Si è esposta con fierezza in prima persona facendo del suo dramma esistenziale un vessillo, pronta a sfidare pubblicamente denigratori e oppositori in ogni sede possibile. La sua terribile odissea ha avuto inizio quando era trentenne, un calvario che non le è costato soltanto la perdita della salute, ma come se non bastasse l’offesa di vedersi cadere addosso una valanga di critiche feroci e atteggiamenti oltraggiosi. Giulia ha stretto i denti ed è andata avanti nonostante tutto, divenendo paladina di questa causa per tantissime persone che soffrono in silenzio, sapendo di non essere capite, sicure di non ricevere cure appropriate e timorose di diventare oggetto di scherno e di odiose etichette. Lei si è messa a parlare, a spiegare, a denunciare, dando voce a chi non riusciva o poteva esprimersi. Dopo essersi fatta curare a sue spese in America, dove invece la sindrome è considerata alla stregua di una qualsiasi altra malattia, si è successivamente data da fare per fondare l’associazione “Amici dell’MCS Onlus”, opera a cui si dedica costantemente contribuendo alla diffusione di informazioni utili alla diagnostica e alla prevenzione.

Giulia Lo Pinto ha fondato l’associazione “Amici dell’MCS Onlus”
Giulia Lo Pinto ha fondato l’associazione “Amici dell’MCS Onlus”

Cosa significa esattamente essere affetti da sindrome MCS?
“Significa alzarsi una mattina e scoprire di non poter più toccare saponi, profumi o indossare le solite cose senza avvertire un malessere generale. Significa non poter andare a lavoro, non riuscire più a mangiare il cibo preferito e avere una normale vita sociale. Le giornate di chi è affetto da questa sindrome vengono sconvolte all’improvviso come da un tremendo tsunami che senza una spiegazione si abbatte sulla propria esistenza devastandola in ogni attività per quanto piccola”.

Quando e come si è accorta di soffrirne?
“Fino ai trent’anni mi sono considerata una donna forte e in perfetta salute. La mia indole è stata sempre un po’ selvaggia come la vita che mi ero scelta: libera da paure e da ogni genere di condizionamento. Nel lavoro ero realmente instancabile. Poi un bel giorno si è tutto capovolto. Forse tutto si potrebbe ricondurre a una serie di vaccini obbligatori per affrontare una serie di viaggi all’estero, o magari a certi farmaci che ho dovuto assumere dopo essere stata vittima di un grave incidente. Come affermarlo con certezza? Sta di fatto che da quel momento è iniziato il mio calvario: dieci anni di esami invasivi, di ricoveri ospedalieri, di diagnosi errate. Ricordo come tutto quanto abbia avuto inizio una mattina, mentre stavo prendendo il mio solito cappuccino con brioche. Il loro sapore che attendevo come sempre delizioso si era trasformato in disgustoso veleno, nello stesso tempo ho iniziato a provare repulsione verso il mio profumo prediletto, avevo la sensazione che i vestiti mi bruciassero addosso, mentre i cosmetici come lo shampoo e qualunque sapone mi irritavano la pelle. Una esperienza terribile e così spaventosa da far vacillare le mie certezze di donna razionale. Se non avessi conservato intatto il mio equilibrio, la mia razionalità, non avrei esitato a credere di essere preda di un qualche maleficio, una di quelle stregonerie da film dell’orrore”.

Giulia Lo Pinto
Giulia Lo Pinto

In che modo è cambiata la sua quotidianità?
“In modo totale. E’ stato come guardarsi allo specchio, scoprendo di essere proiettata in un’altra dimensione. Sono stata costretta a chiudere l’azienda di pubblicità che curavo, ho lasciato la mia casa e ho detto addio agli hobby e alle attività sportive che tuttora amo. Ho dovuto abbandonare temporaneamente perfino la mia famiglia, concentrata in modo esclusivo nella gestione di un mondo del tutto estraneo e minaccioso ma con il quale ero costretta a convivere. La verità è che nessuno mi dava spiegazioni e inutilmente cercavo chi mi potesse dare risposte concrete: allora nonostante tutto cercavo di nascondere i miei problemi, la mia sconfinata fragilità, tentando di apparire agli occhi del mondo come sempre, perfettamente in forma, senza che niente trasparisse all’esterno”.

Quali cure esistono per risolvere questa patologia?
“La cura più efficace consiste nell’evitare assolutamente qualsiasi contatto con prodotti di natura chimica potenzialmente tossica. E’ inoltre importante adottare un’alimentazione sana, priva di qualunque pesticida o conservante artificiale. Vivere in un ambiente quanto più salubre e privo di muffe, evitando la presenza di mobili trattati con la formaldeide. Terapie e attività di ogni tipo vanno fatte con molta attenzione evitando sempre l’impatto con sostanze nocive. Sono condizioni che migliorano lo stile di vita in qualche modo, ma non sono per niente risolutive”.

È una sindrome che colpisce più gli uomini o le donne?
“Secondo i report ufficiali pare che a soffrirne sia il 70% delle donne, mentre la residua percentuale interessi i maschi. Sono dati a mio giudizio non definitivi, anche perché in genere gli uomini sono restii a parlare di questa malattia anche al medico curante. Il risultato è che la situazione generale tende solo ad aggravarsi”.

Giulia Lo Pinto soffre di “Sensibilità Chimica Multipla"
Giulia Lo Pinto soffre di “Sensibilità Chimica Multipla”

È stata compresa la vera natura della malattia e le cause che la scatenano?
“Le cause possono essere molteplici, ma pare che alla base ci sia una predisposizione genetica. Certamente vivere in ambienti lavorativi e domestici in cui è inevitabile il contatto con prodotti derivati dal petrolio complica molto le cose. Poi ci sono i farmaci, i prodotti per la casa, per l’igiene personale, ma anche l’inquinamento e lo smog: tutte queste, assieme a tante altre, sono concause che portano allo svilupparsi di questa patologia. Per cercare un po’ di sollievo sono stata costretta a trascorrere lunghi periodi da sola nelle spiagge di Formia, Gaeta e San Vincenzo, prima sdraiata su una specie di lettino fatto di innumerevoli lenzuola sovrapposte, dato che il contatto con il materasso tradizionale mi era impossibile, poi sotto la tettoia di una abitazione presso la quale si erano sistemati i miei per aiutarmi nelle mie necessità”.

È vero che l’Istituto Superiore di Sanità ritiene che questa patologia sia da considerarsi come “nulla di grave”?
“L’Istituto Superiore di Sanità si è spesso contraddetto a riguardo, arrivando a sottovalutare completamente la gravità di questa sindrome. Forse per colpa di politica e burocrazia applicate a un sistema sanitario non sempre efficace specie a livello locale, non si è riusciti a ottenere risposte esaurienti. La verità è che nel resto del mondo questa malattia è ampiamente riconosciuta, da noi ancora no. Personalmente mi sono più volte scontrata con l’indifferenza e la supponenza di esperti che invece di trovare soluzioni si attaccavano a cavilli e ad astuzie verbali pur di tirare acqua al proprio mulino. In molte occasioni hanno cercato anche di screditarmi, di sminuire questa sintomatologia, ma pur nella sofferenza non mi sono mai fatta schiacciare e ho continuato a lottare in difesa dei miei diritti e di quanti sono affetti da questo difficile e strano malessere”.

Può dirsi oggi guarita in qualche misura?
“No, non sono affatto guarita. Eppure il fatto di averne preso coscienza mi ha evitato di cadere nel baratro dello sconforto e della depressione. Vado in giro, parlo con la gente ed è per me un grande traguardo. Diciamo che mi sono ‘stabilizzata’ e questo mi basta per aver un rapporto con gli altri vicino alla normalità. Perciò molti ritengono che la mia guarigione sia completa. La malattia invece continua a rincorrermi, mentre io cerco disperatamente di prendere le distanze da lei correndo più forte”.

A chi sente di dire grazie?
“Sono grata alla mia famiglia che mi ha capito assecondandomi, anche quando le mie esigenze per sopravvivere potevano sembrare piuttosto originali. Tutti hanno fatto a gara cercando di creare attorno a me un ambiente protetto, una ‘comfort zone’ nella quali potessi sentirmi meglio e più a mio agio, evitando quanto mi potesse creare malessere e crisi di sconvolgente nausea. Devo dire grazie al mio compagno che mi ha supportato incondizionatamente e a quei cari e solerti medici, alcuni dei quali non ci sono purtroppo più, che mi hanno ascoltata con attenzione offrendomi tutto il loro sostegno. Ricordo specialmente l’immenso supporto ricevuto dall’equipe del dottor Rea negli Stati Uniti, per aver stabilito attraverso sofisticate indagini diagnostiche evidenti ragioni del mio stato. Ero partita in condizioni penose e sono tornata in Italia con le mie gambe e in grado di parlare. Un viaggio che ha dato nuovo senso alla mia esistenza in quella mia situazione da ‘ultima spiaggia’, un viaggio che ho potuto affrontare grazie a un aereo di stato messo a mia disposizione, una volta accertata la gravità della patologia mediante la documentazione presentata”.

È stata mai oggetto di discriminazione o emarginazione sociale?
“La discriminazione più forte l’ho subita a causa della colpevole noncuranza da parte delle istituzioni sanitarie che hanno sempre fatto finta di nulla, girando troppo spesso le spalle. Poi durante il periodo del Covid ho trovato ben pochi pronti a convincersi che mai e poi mai mi sarei potuta sottoporre al vaccino evitando gravi conseguenze, senza contare l’impossibilità categorica di indossare mascherine o venire a contatto con disinfettanti. Per questo sono stata guardata malissimo”.

In che modo intende proseguire la sua battaglia, anche a nome delle tante persone che attendono una risposta concreta?
“Vado avanti, convinta che esistono persone oneste in grado di riconoscere questa dannata malattia con tutti i suoi gravi effetti. E’ una patologia rara che merita di essere trattata con metodi personalizzati applicando la regola fondamentale della tutela della salute di ognuno. Mi sento un po’ come una piccola formica che pian pianino e con pazienza infinita, portando il mio macigno sulle spalle, è riuscita a raggiungere qualche buon risultato. Nel 2008 ho ottenuto che gli esami genetici ed epigenetici per riconoscere questa sindrome fossero in convenzione con il sistema sanitario. Ho inoltre promosso anche la realizzazione di ambulatori specializzati per la diagnosi di MCS. Purtroppo con grande rammarico mi accorgo che in nome di decisioni politiche non certamente ‘illuminate’ sono stati praticamente azzerati tutti questi miei passati sforzi. Ma io non demordo, continuerò a lottare finché avrò forze per farlo, in nome di chi soffre. In nome di chi grida senza essere ascoltato”.

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere

Cos'è la MCS? Niente a che vedere con l’universo delle evasioni vacanziere che può evocare per assonanza. MCS è l’acronimo di “Sensibilità Chimica Multipla": una condizione patologica cronica che comporta spiccata ipersensibilità nei confronti di agenti tossici e sostanze allergizzanti. Si tratta di una malattia rara con forti ripercussioni sulla qualità della vita quotidiana e chi ne è affetto può sviluppare reazioni avverse nei confronti di qualsiasi agente aggressivo come le polveri sottili, i detersivi per uso domestico, i cosmetici, i profumi e così via.

Le cause di questa patologia sono pressoché sconosciute, ma l’aspetto più inquietante sta nel fatto che buona parte della ricerca medica è restia a includere la MCS nel novero delle malattie vere e proprie e dunque riconosciute come tali. Sono ancora molti i medici e le strutture sanitarie del nostro paese che reputano le cause scatenanti prevalentemente ascrivibili a un quadro di natura psichiatrica in cui l’ansia sarebbe unica responsabile dell’intero quadro clinico. Accanto a questa scuola di pensiero si affianca quella di specialisti pronti a dimostrare che le cose stanno in ben altro modo e come l’anamnesi corretta non possa prescindere da traumi pregressi, da insulti di tipo ambientale da esposizioni a fonti inquinanti, nonché da una evidente predisposizione di tipo genetico.

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I soggetti colpiti vanno incontro a periodici, forti, mal di testa, alla comparsa di eruzioni cutanee, a crampi e dolori muscolari, a uno stato di marcato affaticamento e a fasi di perdita della memoria unita a spiccata sensibilità agli odori. Sulla questione grava inoltre una enorme confusione normativa e burocratica, con la conseguenza che alcune regioni sono disposte a riconoscere la malattia e quindi assistere il paziente mediante gli strumenti del Servizio Sanitario Nazionale, mentre altre rifiutano senz’altro di essere attive su questo piano lasciando di fatto il malato a se stesso. Una nota del Senato spiega: “La patologia della MCS non è disciplinata da tutte le regioni e, nelle regioni ove è riconosciuta con legge o con delibera di giunta, è normata in forme diverse e disomogenee. Attualmente la patologia non è inserita tra quelle riconosciute come esenti dal nostro Sistema sanitario nazionale (SSN) tuttavia alcune regioni – per l'esattezza Toscana, Emilia-Romagna e Abruzzo – grazie all'autonomia in materia, hanno dato alla malattia questo riconoscimento”. Una malattia, dunque, priva della necessaria 'certificazione', il cui riconoscimento è lasciato all’estro interpretativo delle realtà locali e per questo rischia di non trovare a breve adeguata soluzione. A essere affetta da questa sindrome è Giulia Lo Pinto, una bella donna di origini siciliane che da tempo vive in Toscana. Nonostante definisca la sua "una vita non vita", Giulia ha mostrato dall’insorgere dei primi sintomi tutta la tempra della lottatrice nata, fino ad aver fatto sua la battaglia per il riconoscimento assoluto e oggettivo della MCS. Si è esposta con fierezza in prima persona facendo del suo dramma esistenziale un vessillo, pronta a sfidare pubblicamente denigratori e oppositori in ogni sede possibile. La sua terribile odissea ha avuto inizio quando era trentenne, un calvario che non le è costato soltanto la perdita della salute, ma come se non bastasse l’offesa di vedersi cadere addosso una valanga di critiche feroci e atteggiamenti oltraggiosi. Giulia ha stretto i denti ed è andata avanti nonostante tutto, divenendo paladina di questa causa per tantissime persone che soffrono in silenzio, sapendo di non essere capite, sicure di non ricevere cure appropriate e timorose di diventare oggetto di scherno e di odiose etichette. Lei si è messa a parlare, a spiegare, a denunciare, dando voce a chi non riusciva o poteva esprimersi. Dopo essersi fatta curare a sue spese in America, dove invece la sindrome è considerata alla stregua di una qualsiasi altra malattia, si è successivamente data da fare per fondare l’associazione “Amici dell’MCS Onlus”, opera a cui si dedica costantemente contribuendo alla diffusione di informazioni utili alla diagnostica e alla prevenzione.
Giulia Lo Pinto ha fondato l’associazione “Amici dell’MCS Onlus”
Giulia Lo Pinto ha fondato l’associazione “Amici dell’MCS Onlus”

Cosa significa esattamente essere affetti da sindrome MCS? “Significa alzarsi una mattina e scoprire di non poter più toccare saponi, profumi o indossare le solite cose senza avvertire un malessere generale. Significa non poter andare a lavoro, non riuscire più a mangiare il cibo preferito e avere una normale vita sociale. Le giornate di chi è affetto da questa sindrome vengono sconvolte all’improvviso come da un tremendo tsunami che senza una spiegazione si abbatte sulla propria esistenza devastandola in ogni attività per quanto piccola”.

Quando e come si è accorta di soffrirne? “Fino ai trent’anni mi sono considerata una donna forte e in perfetta salute. La mia indole è stata sempre un po’ selvaggia come la vita che mi ero scelta: libera da paure e da ogni genere di condizionamento. Nel lavoro ero realmente instancabile. Poi un bel giorno si è tutto capovolto. Forse tutto si potrebbe ricondurre a una serie di vaccini obbligatori per affrontare una serie di viaggi all’estero, o magari a certi farmaci che ho dovuto assumere dopo essere stata vittima di un grave incidente. Come affermarlo con certezza? Sta di fatto che da quel momento è iniziato il mio calvario: dieci anni di esami invasivi, di ricoveri ospedalieri, di diagnosi errate. Ricordo come tutto quanto abbia avuto inizio una mattina, mentre stavo prendendo il mio solito cappuccino con brioche. Il loro sapore che attendevo come sempre delizioso si era trasformato in disgustoso veleno, nello stesso tempo ho iniziato a provare repulsione verso il mio profumo prediletto, avevo la sensazione che i vestiti mi bruciassero addosso, mentre i cosmetici come lo shampoo e qualunque sapone mi irritavano la pelle. Una esperienza terribile e così spaventosa da far vacillare le mie certezze di donna razionale. Se non avessi conservato intatto il mio equilibrio, la mia razionalità, non avrei esitato a credere di essere preda di un qualche maleficio, una di quelle stregonerie da film dell’orrore”.

Giulia Lo Pinto
Giulia Lo Pinto

In che modo è cambiata la sua quotidianità? “In modo totale. E’ stato come guardarsi allo specchio, scoprendo di essere proiettata in un’altra dimensione. Sono stata costretta a chiudere l’azienda di pubblicità che curavo, ho lasciato la mia casa e ho detto addio agli hobby e alle attività sportive che tuttora amo. Ho dovuto abbandonare temporaneamente perfino la mia famiglia, concentrata in modo esclusivo nella gestione di un mondo del tutto estraneo e minaccioso ma con il quale ero costretta a convivere. La verità è che nessuno mi dava spiegazioni e inutilmente cercavo chi mi potesse dare risposte concrete: allora nonostante tutto cercavo di nascondere i miei problemi, la mia sconfinata fragilità, tentando di apparire agli occhi del mondo come sempre, perfettamente in forma, senza che niente trasparisse all’esterno”.

Quali cure esistono per risolvere questa patologia? “La cura più efficace consiste nell’evitare assolutamente qualsiasi contatto con prodotti di natura chimica potenzialmente tossica. E’ inoltre importante adottare un’alimentazione sana, priva di qualunque pesticida o conservante artificiale. Vivere in un ambiente quanto più salubre e privo di muffe, evitando la presenza di mobili trattati con la formaldeide. Terapie e attività di ogni tipo vanno fatte con molta attenzione evitando sempre l’impatto con sostanze nocive. Sono condizioni che migliorano lo stile di vita in qualche modo, ma non sono per niente risolutive”.

È una sindrome che colpisce più gli uomini o le donne? “Secondo i report ufficiali pare che a soffrirne sia il 70% delle donne, mentre la residua percentuale interessi i maschi. Sono dati a mio giudizio non definitivi, anche perché in genere gli uomini sono restii a parlare di questa malattia anche al medico curante. Il risultato è che la situazione generale tende solo ad aggravarsi”.

Giulia Lo Pinto soffre di “Sensibilità Chimica Multipla"
Giulia Lo Pinto soffre di “Sensibilità Chimica Multipla"

È stata compresa la vera natura della malattia e le cause che la scatenano? “Le cause possono essere molteplici, ma pare che alla base ci sia una predisposizione genetica. Certamente vivere in ambienti lavorativi e domestici in cui è inevitabile il contatto con prodotti derivati dal petrolio complica molto le cose. Poi ci sono i farmaci, i prodotti per la casa, per l’igiene personale, ma anche l’inquinamento e lo smog: tutte queste, assieme a tante altre, sono concause che portano allo svilupparsi di questa patologia. Per cercare un po’ di sollievo sono stata costretta a trascorrere lunghi periodi da sola nelle spiagge di Formia, Gaeta e San Vincenzo, prima sdraiata su una specie di lettino fatto di innumerevoli lenzuola sovrapposte, dato che il contatto con il materasso tradizionale mi era impossibile, poi sotto la tettoia di una abitazione presso la quale si erano sistemati i miei per aiutarmi nelle mie necessità”.

È vero che l’Istituto Superiore di Sanità ritiene che questa patologia sia da considerarsi come “nulla di grave”? “L’Istituto Superiore di Sanità si è spesso contraddetto a riguardo, arrivando a sottovalutare completamente la gravità di questa sindrome. Forse per colpa di politica e burocrazia applicate a un sistema sanitario non sempre efficace specie a livello locale, non si è riusciti a ottenere risposte esaurienti. La verità è che nel resto del mondo questa malattia è ampiamente riconosciuta, da noi ancora no. Personalmente mi sono più volte scontrata con l’indifferenza e la supponenza di esperti che invece di trovare soluzioni si attaccavano a cavilli e ad astuzie verbali pur di tirare acqua al proprio mulino. In molte occasioni hanno cercato anche di screditarmi, di sminuire questa sintomatologia, ma pur nella sofferenza non mi sono mai fatta schiacciare e ho continuato a lottare in difesa dei miei diritti e di quanti sono affetti da questo difficile e strano malessere”.

Può dirsi oggi guarita in qualche misura? “No, non sono affatto guarita. Eppure il fatto di averne preso coscienza mi ha evitato di cadere nel baratro dello sconforto e della depressione. Vado in giro, parlo con la gente ed è per me un grande traguardo. Diciamo che mi sono ‘stabilizzata’ e questo mi basta per aver un rapporto con gli altri vicino alla normalità. Perciò molti ritengono che la mia guarigione sia completa. La malattia invece continua a rincorrermi, mentre io cerco disperatamente di prendere le distanze da lei correndo più forte”.

A chi sente di dire grazie? “Sono grata alla mia famiglia che mi ha capito assecondandomi, anche quando le mie esigenze per sopravvivere potevano sembrare piuttosto originali. Tutti hanno fatto a gara cercando di creare attorno a me un ambiente protetto, una ‘comfort zone’ nella quali potessi sentirmi meglio e più a mio agio, evitando quanto mi potesse creare malessere e crisi di sconvolgente nausea. Devo dire grazie al mio compagno che mi ha supportato incondizionatamente e a quei cari e solerti medici, alcuni dei quali non ci sono purtroppo più, che mi hanno ascoltata con attenzione offrendomi tutto il loro sostegno. Ricordo specialmente l’immenso supporto ricevuto dall’equipe del dottor Rea negli Stati Uniti, per aver stabilito attraverso sofisticate indagini diagnostiche evidenti ragioni del mio stato. Ero partita in condizioni penose e sono tornata in Italia con le mie gambe e in grado di parlare. Un viaggio che ha dato nuovo senso alla mia esistenza in quella mia situazione da ‘ultima spiaggia’, un viaggio che ho potuto affrontare grazie a un aereo di stato messo a mia disposizione, una volta accertata la gravità della patologia mediante la documentazione presentata”.

È stata mai oggetto di discriminazione o emarginazione sociale? “La discriminazione più forte l’ho subita a causa della colpevole noncuranza da parte delle istituzioni sanitarie che hanno sempre fatto finta di nulla, girando troppo spesso le spalle. Poi durante il periodo del Covid ho trovato ben pochi pronti a convincersi che mai e poi mai mi sarei potuta sottoporre al vaccino evitando gravi conseguenze, senza contare l’impossibilità categorica di indossare mascherine o venire a contatto con disinfettanti. Per questo sono stata guardata malissimo”.

In che modo intende proseguire la sua battaglia, anche a nome delle tante persone che attendono una risposta concreta? “Vado avanti, convinta che esistono persone oneste in grado di riconoscere questa dannata malattia con tutti i suoi gravi effetti. E’ una patologia rara che merita di essere trattata con metodi personalizzati applicando la regola fondamentale della tutela della salute di ognuno. Mi sento un po’ come una piccola formica che pian pianino e con pazienza infinita, portando il mio macigno sulle spalle, è riuscita a raggiungere qualche buon risultato. Nel 2008 ho ottenuto che gli esami genetici ed epigenetici per riconoscere questa sindrome fossero in convenzione con il sistema sanitario. Ho inoltre promosso anche la realizzazione di ambulatori specializzati per la diagnosi di MCS. Purtroppo con grande rammarico mi accorgo che in nome di decisioni politiche non certamente ‘illuminate’ sono stati praticamente azzerati tutti questi miei passati sforzi. Ma io non demordo, continuerò a lottare finché avrò forze per farlo, in nome di chi soffre. In nome di chi grida senza essere ascoltato”.

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