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Home » Lifestyle » Addio al bando per i capezzoli femminili sui social? Meta valuta di rivedere la policy

Addio al bando per i capezzoli femminili sui social? Meta valuta di rivedere la policy

Oversight Board ha invitato la società "definire criteri chiari, oggettivi e rispettosi dei diritti umani". Ripristinate le foto di una persona trans a petto nudo

Camilla Prato
22 Gennaio 2023
Chiara Ferragni sui social con i capezzoli coperti da emoji di cuoricini

Chiara Ferragni sui social con i capezzoli coperti da emoji di cuoricini

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Ci sono voluti anni per arrivare almeno ad ipotizzare di togliere l’assurdo bando sui social per i capezzoli femminili, ma le voci che circolano in questi giorni da meta sembrano aprire concretamente la possibilità. Facebook e Instagram potrebbero infatti rivedere le loro policy sulle nudità degli adulti (in particolare delle donne), dopo aver ricevuto un ammonimento da un gruppo di esperti sul divieto a mostrare certe parti del corpo, ritenuto “poco chiaro e discriminatorio”. E come dar loro torto, vista la disparità di trattamento tra uomini e donne.

Rihanna è tra le star che vogliono sensibilizzare sulla questione dello sdoganamento del topless femminile

Il monito arriva infatti oltre un decennio dopo la protesta di un gruppo di mamme di “Lactivist” per aver cancellato dei post sull’allattamento e le lotte del movimento ‘Free the Nipple’ contro la censura. Un tema che  ha fatto discutere: la censura, storicamente rivolta solo al torso femminile e non a quello maschile, ha scatenato polemiche e dibattiti sulle regole delle piattaforme e sulla moderazione dei contenuti – sia umana sia con l’Intelligenza artificiale – e si è addirittura a volte abbattuta anche su famose opere d’arte. Oversight Board, il consiglio di sorveglianza indipendente di Meta composto da esperti, giuristi e accademici messo in piedi nel 2020 dalla stessa società di Mark Zuckeberg per dirimere questioni etiche e politiche delle sue piattaforme, ha chiesto una revisione delle regole che vietano le immagini a torso nudo delle donne – quelle degli uomini non sono vietate – ritenendo che Meta debba “definire criteri chiari, oggettivi e rispettosi dei diritti umani”.

Cara Delevingne

L’osservazione arriva dopo la censura da parte del social dei post di un account gestito da una coppia americana transgender che raccoglieva fondi per un intervento. I contenuti riportavano la foto del petto nudo di una persona, con i capezzoli coperti e accompagnati da informazioni riguardo l’assistenza sanitaria per le persone trans, le operazioni di chirurgia al seno e link dove poter donare per beneficenza. Queste immagini sono state rimosse dopo le segnalazioni degli utenti, ma i post sono stati poi ripristinati dopo il ricorso dalla coppia. Da qui il parere di Oversight Board sulle regole “non in linea con i valori o le responsabilità in materia di diritti umani di Meta” e sul fatto che “le politiche dell’azienda sulla nudità degli adulti comportano barriere all’espressione per le donne, i trans e le persone non binarie di genere sulle sue piattaforme”. Meta ha quindi 60 giorni per recepire la raccomandazione, ma ha già fatto sapere che “accoglie con favore la decisione del consiglio su questo caso” e di essere a conoscenza che “si può fare di più per supportare la comunità LGBTQ+, e questo significa lavorare con esperti e organizzazioni su una serie di problemi e miglioramenti del prodotto”, ha detto un portavoce della società.

Victoria De Angelis regge un cartello con scritto “Free the Nipple”

Le proteste sull’esposizione del nudo femminile sui social parte dalla riflessione che il corpo delle donne venga costantemente eroticizzato e trattato come qualcosa da nascondere, anche in situazioni naturali o necessarie come l’allattamento. Sull’onda di queste riflessioni era nata, più di dieci anni fa come dicevamo, la protesta delle mamme che allattano, dopo che le loro foto erano state rimosse da vari profili, sbarcata perfino davanti alla sede californiana di Facebook. Quasi una naturale conseguenza è stata la nascita anche del movimento “Free The Nipple” durante la lavorazione di un documentario di Lina Esco: il gruppo organizza campagne di sensibilizzazione per sdoganare il topless femminile, superando un trattamento iniquo delle donne. Molte celebrità, da Miley Cyrus a Rihanna, da Cara Delevingne a Naomi Campbell, e in Italia Chiara Ferragni, Victoria De Angelis e Giorgia Soleri, giusto per citare alcuni nomi, si sono spese pubblicamente per sensibilizzare questa causa.

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Instagram

  • Messaggi osceni, allusioni, avances in ufficio e ricatti sessuali. La forma più classica del sopruso in azienda, unita ai nuovi strumenti tecnologici nelle mani dei molestatori. Il movimento Me Too, nel 2017, squarciò il velo di silenzio sulle molestie sessuali subite dalle donne nel mondo del cinema e poi negli altri luoghi di lavoro. Cinque anni dopo, con in mezzo la pandemia che ha terremotato il mondo del lavoro, le donne continuano a subire abusi, che nella maggior parte dei casi restano nell’ombra.

«Sono pochissime le donne che denunciano – spiega Roberta Vaia, della segreteria milanese della Cisl – e nei casi più gravi preferiscono lasciare il lavoro. Il molestatore andrebbe allontanato dalla vittima ma nei contratti collettivi dei vari settori non è ancora prevista una sanzione disciplinare per chi si rende responsabile di molestie o di mobbing».

Un quadro sconfortante che emerge anche da una rilevazione realizzata dalla Cisl Lombardia, nel corso del 2022, su lavoratrici di diversi settori, attraverso un sondaggio distribuito in fabbriche, negozi e uffici della regione. Sono seimila le donne che hanno partecipato all’indagine, e il 44% ha dichiarato di aver subìto molestie o di «esserne stata testimone» nel corso della sua vita lavorativa.

A livello nazionale, secondo gli ultimi dati Istat, sono 1.404.000 le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Quando una donna subisce un ricatto sessuale, nell’80,9% dei casi non ne parla con nessuno sul posto di lavoro. Quasi nessuna ha denunciato il fatto alle forze dell’ordine: appena lo 0,7% delle vittime.

✍🏻di Andrea Gianni

#lucenews #istat #donne #molestie #lavoro #diritti
  • II problema è che sei sola. Arrivi lì persino convinta: è la cosa più naturale che tu, donna, sia mai stata chiamata a fare: partorire. 

Te lo hanno ripetuto per 9 mesi nei corsi preparto, e te l’hanno ripetuto ancora prima che tu venissi al mondo: non c’è niente che sia più naturale, per una donna, nei secoli dei secoli. E il bello è che aver ottenuto la possibilità di scegliere che il tuo parto non sia "medicalizzato", che il tuo neonato non ti sia strappato subito dalle braccia e che resti, subito dopo, al tuo fianco nella tua stanza, e non nella nursery, è il risultato di una lunga battaglia, intrapresa oltre 30 anni fa. 

Una battaglia vinta? No, se si è passati dal troppo medicalizzato all’abbandono. 

Il problema è che c’è un’altra verità – nei secoli dei secoli – ed è il paradosso: nell’esatto momento in cui vieni pervasa dalla furiosa coscienza che sei onnipotente perché sei come Dio e hai dato la vita, vieni pure annientata dalla furiosa consapevolezza che la sopravvivenza di quella vita dipende da te, dipende da te tutto, la sua felicità o la sua infelicità, e non sai se sarai in grado di accudirla, quella nuova vita, come devi, e hai paura, la paura più pura e cristallina e terribile che tu abbia mai provato, e altro che Dio, sei l’ultimo dei miserabili. 

È stata la cultura patriarcale ad aver tramandato la maternità come destino ineluttabile della femminilità: la paura della donna non è mai stata né contemplata, né tanto meno accettata. È stata condivisa tra le donne, quando vi era un tessuto sociale che lo permetteva. È stata omessa dalla contemporaneità anche dalle donne stesse perché ammetterla comporta arretrare dall’emancipazione, dalla rivendicazione della parità: partorisci naturalmente, allatti naturalmente, naturalmente performi due giorni dopo come nulla fosse. 

Ma non c’è nulla di naturale in questo. È un’altra storia di prevaricazione. E una nuova storia di solitudine. Tra le più feroci.

di Chiara Di Clemente✍🏻

#lucenews #editoriale #allattamento #maternita #ospedalepertini
  • Theodore (Teddy) Hobbs vive a Portishead, nella contea inglese del Somerset, insieme ai genitori, mamma Beth, 31 anni, e il padre Will Hobbs, 41 anni. Il piccolo, che ora ha quasi quattro anni, è entrato nel Mensa (l’associazione internazionale fondata nel 1947 per chi ha il Quoziente Intellettivo almeno 1,5 volte quello regolare, ndr) a tre anni dopo aver superato un test del QI e ottenendo un punteggio di 139 su 160 nel test di Stanford Binet, scioccando i suoi genitori, che non avevano idea di quanto fosse intelligente. 

Ma il bambino dei segnali li aveva già dati visto che ha imparato a leggere da autodidatta all’età di soli due anni e quattro mesi e ora è persino in grado di leggere i libri di Harry Potter, quando i genitori glielo permettono, ed è in grado di contare in sei lingue diverse, mandarino compreso. I suoi passatempi preferiti? Le ricerche su Google e recitare le tabelline.

I genitori ammettono di non essersi mai aspettati che il figlio entrasse nel gruppo e non avevano nemmeno pianificato di fare domanda per l’adesione. “Ci è stato detto che non era mai entrato un membro dell’età di tre anni. A essere onesti, è davvero un colpo di fortuna che sia entrato” sono le parole di mamma Beth che spiega: “Non avevamo intenzione di farlo entrare nella società. Volevamo solo fargli fare un test prima di mandarlo a scuola per capire quale scegliere”. Ad ogni modo, continua la madre, “prima del test gli abbiamo detto che avrebbe dovuto risolvere qualche puzzle con una signora che lo guardava per un’oretta, e lui ne è rimasto felicissimo”.

I genitori del bimbo, che si sono sottoposti alla fecondazione in vitro per concepire il figlio e la sorella minore di Teddy, scherzano persino sul fatto che potrebbe esserci stato un pasticcio alla clinica della fertilità. “Non sappiamo come ha fatto a venire fuori così. Si sta rendendo conto di essere più dotato degli altri bambini. Io e mio marito scherziamo sempre dicendo che al dottore dev’essere sfuggita un’iniezione di qualche tipo. Da grande vuole fare il dottore perché gioca sempre a guarire i suoi giocattoli con il suo amico all’asilo”.

#lucenews #mensa #piccoligeni
  • “La lotta per garantire il diritto fondamentale delle donne all’assistenza sanitaria riproduttiva è tutt’altro che conclusa“.

In occasione del 50° anniversario della Roe v. Wade, lo scorso 22 gennaio, la storica sentenza della Corte Suprema che ha sancito il diritto costituzionale all’aborto, annullata la scorsa estate, la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris è stata in Florida per tenere un discorso di commemorazione.

#lucenews #roevwade #usa #abortionrights
Ci sono voluti anni per arrivare almeno ad ipotizzare di togliere l'assurdo bando sui social per i capezzoli femminili, ma le voci che circolano in questi giorni da meta sembrano aprire concretamente la possibilità. Facebook e Instagram potrebbero infatti rivedere le loro policy sulle nudità degli adulti (in particolare delle donne), dopo aver ricevuto un ammonimento da un gruppo di esperti sul divieto a mostrare certe parti del corpo, ritenuto "poco chiaro e discriminatorio". E come dar loro torto, vista la disparità di trattamento tra uomini e donne.
Rihanna è tra le star che vogliono sensibilizzare sulla questione dello sdoganamento del topless femminile
Il monito arriva infatti oltre un decennio dopo la protesta di un gruppo di mamme di "Lactivist" per aver cancellato dei post sull'allattamento e le lotte del movimento 'Free the Nipple' contro la censura. Un tema che  ha fatto discutere: la censura, storicamente rivolta solo al torso femminile e non a quello maschile, ha scatenato polemiche e dibattiti sulle regole delle piattaforme e sulla moderazione dei contenuti – sia umana sia con l'Intelligenza artificiale – e si è addirittura a volte abbattuta anche su famose opere d'arte. Oversight Board, il consiglio di sorveglianza indipendente di Meta composto da esperti, giuristi e accademici messo in piedi nel 2020 dalla stessa società di Mark Zuckeberg per dirimere questioni etiche e politiche delle sue piattaforme, ha chiesto una revisione delle regole che vietano le immagini a torso nudo delle donne - quelle degli uomini non sono vietate - ritenendo che Meta debba "definire criteri chiari, oggettivi e rispettosi dei diritti umani".
Cara Delevingne
L'osservazione arriva dopo la censura da parte del social dei post di un account gestito da una coppia americana transgender che raccoglieva fondi per un intervento. I contenuti riportavano la foto del petto nudo di una persona, con i capezzoli coperti e accompagnati da informazioni riguardo l'assistenza sanitaria per le persone trans, le operazioni di chirurgia al seno e link dove poter donare per beneficenza. Queste immagini sono state rimosse dopo le segnalazioni degli utenti, ma i post sono stati poi ripristinati dopo il ricorso dalla coppia. Da qui il parere di Oversight Board sulle regole "non in linea con i valori o le responsabilità in materia di diritti umani di Meta" e sul fatto che "le politiche dell'azienda sulla nudità degli adulti comportano barriere all'espressione per le donne, i trans e le persone non binarie di genere sulle sue piattaforme". Meta ha quindi 60 giorni per recepire la raccomandazione, ma ha già fatto sapere che "accoglie con favore la decisione del consiglio su questo caso" e di essere a conoscenza che "si può fare di più per supportare la comunità LGBTQ+, e questo significa lavorare con esperti e organizzazioni su una serie di problemi e miglioramenti del prodotto", ha detto un portavoce della società.
Victoria De Angelis regge un cartello con scritto "Free the Nipple"
Le proteste sull'esposizione del nudo femminile sui social parte dalla riflessione che il corpo delle donne venga costantemente eroticizzato e trattato come qualcosa da nascondere, anche in situazioni naturali o necessarie come l'allattamento. Sull'onda di queste riflessioni era nata, più di dieci anni fa come dicevamo, la protesta delle mamme che allattano, dopo che le loro foto erano state rimosse da vari profili, sbarcata perfino davanti alla sede californiana di Facebook. Quasi una naturale conseguenza è stata la nascita anche del movimento "Free The Nipple" durante la lavorazione di un documentario di Lina Esco: il gruppo organizza campagne di sensibilizzazione per sdoganare il topless femminile, superando un trattamento iniquo delle donne. Molte celebrità, da Miley Cyrus a Rihanna, da Cara Delevingne a Naomi Campbell, e in Italia Chiara Ferragni, Victoria De Angelis e Giorgia Soleri, giusto per citare alcuni nomi, si sono spese pubblicamente per sensibilizzare questa causa.
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