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Home » Lifestyle » Micaela Antonucci: “Il tradizionale corso di Architettura sarà accessibile anche ai non vedenti”

Micaela Antonucci: “Il tradizionale corso di Architettura sarà accessibile anche ai non vedenti”

La professoressa e ideatrice del progetto "In-Visible": "Un modo per offrire a tutti le stesse opportunità. E' una questione di giustizia sociale"

Elsa Toppi
13 Gennaio 2023
La docente Micaela Antonucci

La docente Micaela Antonucci

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Accessibilità e inclusione sono da sempre due facce della stessa medaglia. In questi ultimi decenni si è lavorato tanto per un cambio di paradigma sociale, ma tanto ancora c’è da fare. C’è grande differenza, infatti, fra eliminare le barriere e progettare, concepire le nostre società in modo accessibile e inclusivo per tutti. È un cambio di mentalità che considera le diversità individuali non come elementi di problematicità ma come fattori imprescindibili. In questa ottica è nato il progetto “In-Visible” (Inclusive and Innovative learning tool for Visually Impaired and Blind people), co-finanziato dal programma europeo Erasmus+ e coordinato dall’Università di Bologna, che promuove l’accesso delle persone con bisogni speciali ai contenuti dei corsi universitari e di istruzione superiore. Il progetto si concentra in particolare sulla disabilità visiva, per dare supporto agli oltre 30 milioni di ipovedenti e non vedenti attualmente presenti nei Paesi europei. E lo fa soprattutto nell’ambito che, sin dalla sua definizione, sembra escluderli senza rimedio: le cosiddette arti “visive”. Il progetto non prevede docenti o corsi dedicati ma l’inclusione di persone con disabilità visiva nei tradizionali corsi per studenti normodotati, creando opportunità di apprendimento nella “scuola di tutti”. “Di corsi e istituti per ipovedenti ne esistono già tanti. Noi siamo partiti da una visione opposta: concepire un corso aperto a tutti” spiega Micaela Antonucci, professoressa associata di Storia dell’architettura e ideatrice del progetto. Le due parole chiave alla radice del programma di “In-Visible” sono “In-novazione” e “In-clusione”.

Micaela Antonucci, professoressa associata di Storia dell'architettura e ideatrice del progetto
Micaela Antonucci, professoressa associata di Storia dell’architettura e ideatrice del progetto

Rendere accessibili a tutti i tradizionali corsi di architettura

“Io che insegno storia dell’architettura mi sono chiesta: se avessi uno studente ipovedente o non vedente come potrei rendere accessibile il mio corso? – spiega la professoressa -. Ci sono già tanti strumenti disponibili, ma mai usati insieme o impiegati nei corsi universitari. Si va dai modelli architettonici tattili ai programmi di intelligenza artificiale di riconoscimento automatico delle immagini, passando per gli strumenti ‘text-to-speech’. In sostanza programmi che riconoscono le immagini e li descrivono al non vedente che, al tempo stesso, tocca con le mani il modello tattile”. Tavole, sezioni e prospetti in rilievo. E per gli studenti che non possono essere presenti ci sarebbe anche la possibilità di scaricare i file da una piattaforma accessibile e stampare i modelli attraverso una comune stampante 3d e seguire i corsi da casa attraverso dei MOOC (Massive Open Online Courses). Il punto è mettere a sistema tutto questo, inserendolo nella didattica delle discipline legate alle arti visive, producendo inoltre linee guida accessibili a tutti.

“Metteremo a punto dei moduli che permettano, a chi vuole, di usarli nella propria scuola, nel proprio museo, nella propria associazione. Rendere tutto open è l’intento” spiega la professoressa Antonucci. Il vantaggio è doppio: sperimentare il mondo attraverso altri canali è una forma di arricchimento per tutti. “La distinzione fra normale e disabile è già di per sé ghettizzante – spiega l’ideatrice del progetto -. Siamo tutti nella stessa società: dunque, offrire accesso alle stesse opportunità dei non disabili mi sembra, oltre che una questione di giustizia sociale, anche un’opportunità per tutti. A breve sarà online il nostro sito (www.invisible-eplus.com) e da qui aggiorneremo gli utenti sui nostri progressi e sulle iniziative come i cosiddetti ‘eventi moltiplicatori’ ovvero delle manifestazioni pubbliche in cui invitiamo tutti a conoscere, partecipare e dare il loro contributo al progetto”.

Il logo del progetto
Il logo del progetto

Il partenariato europeo

Per arrivare ad un cambio di paradigma nella visione della società, è necessario che il tema dell’accessibilità venga declinato non solo nell’ambito dell’istruzione ma anche in quello culturale. Il consorzio del progetto “In-Visible” si compone dunque di tre atenei europei (l’Università di Bologna, la University of Humanities and Economicsdi Lodz e la Yedetepe University di Istanbul), di un ente di ricerca internazionale (Information Technologies Institute of Centre for Research and Technology Hellas), due istituti dedicati all’educazione dei non vedenti (il Center for Education and Rehabilitation for the Blind di Salonicco e il Museo Tattile Statale Omero di Ancona). Un ruolo fondamentale, tuttavia, sarà giocato anche da altre risorse sul territorio, grazie alla presenza di numerosi altri partner associati: l’Unione Italiana Ciechi, l’Istituto Cavazza di Bologna, il Museo Tolomeo e Museo tattile Anteros di Bologna, il MAXXI – Museo nazionale delle Arti del XXI secolo di Roma, il Lighthouse for the Blind of Greece e molti altri.

“Il progetto prevede la collaborazione di istituzioni e musei europei, che porteranno ciascuno le proprie competenze e faciliteranno la diffusione dei risultati del progetto in tutti i settori della società. Nella fase finale, nelle Università di Bologna e di Istanbul sperimenteremo “sul campo” l’impiego di questi strumenti per capire cosa funziona e cosa no” conclude la professoressa Micaela Antonucci. Solo una piccola percentuale di disabili visivi in Europa ha accesso alla formazione universitaria, specie in particolari discipline. Speriamo che “In-Visible” non sia un caso isolato e che le generazioni future possano avere maggiori possibilità e strumenti.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
Accessibilità e inclusione sono da sempre due facce della stessa medaglia. In questi ultimi decenni si è lavorato tanto per un cambio di paradigma sociale, ma tanto ancora c’è da fare. C’è grande differenza, infatti, fra eliminare le barriere e progettare, concepire le nostre società in modo accessibile e inclusivo per tutti. È un cambio di mentalità che considera le diversità individuali non come elementi di problematicità ma come fattori imprescindibili. In questa ottica è nato il progetto "In-Visible" (Inclusive and Innovative learning tool for Visually Impaired and Blind people), co-finanziato dal programma europeo Erasmus+ e coordinato dall’Università di Bologna, che promuove l’accesso delle persone con bisogni speciali ai contenuti dei corsi universitari e di istruzione superiore. Il progetto si concentra in particolare sulla disabilità visiva, per dare supporto agli oltre 30 milioni di ipovedenti e non vedenti attualmente presenti nei Paesi europei. E lo fa soprattutto nell’ambito che, sin dalla sua definizione, sembra escluderli senza rimedio: le cosiddette arti “visive”. Il progetto non prevede docenti o corsi dedicati ma l’inclusione di persone con disabilità visiva nei tradizionali corsi per studenti normodotati, creando opportunità di apprendimento nella “scuola di tutti”. “Di corsi e istituti per ipovedenti ne esistono già tanti. Noi siamo partiti da una visione opposta: concepire un corso aperto a tutti” spiega Micaela Antonucci, professoressa associata di Storia dell'architettura e ideatrice del progetto. Le due parole chiave alla radice del programma di “In-Visible” sono "In-novazione" e "In-clusione".
Micaela Antonucci, professoressa associata di Storia dell'architettura e ideatrice del progetto
Micaela Antonucci, professoressa associata di Storia dell'architettura e ideatrice del progetto

Rendere accessibili a tutti i tradizionali corsi di architettura

“Io che insegno storia dell’architettura mi sono chiesta: se avessi uno studente ipovedente o non vedente come potrei rendere accessibile il mio corso? – spiega la professoressa -. Ci sono già tanti strumenti disponibili, ma mai usati insieme o impiegati nei corsi universitari. Si va dai modelli architettonici tattili ai programmi di intelligenza artificiale di riconoscimento automatico delle immagini, passando per gli strumenti ‘text-to-speech’. In sostanza programmi che riconoscono le immagini e li descrivono al non vedente che, al tempo stesso, tocca con le mani il modello tattile”. Tavole, sezioni e prospetti in rilievo. E per gli studenti che non possono essere presenti ci sarebbe anche la possibilità di scaricare i file da una piattaforma accessibile e stampare i modelli attraverso una comune stampante 3d e seguire i corsi da casa attraverso dei MOOC (Massive Open Online Courses). Il punto è mettere a sistema tutto questo, inserendolo nella didattica delle discipline legate alle arti visive, producendo inoltre linee guida accessibili a tutti. “Metteremo a punto dei moduli che permettano, a chi vuole, di usarli nella propria scuola, nel proprio museo, nella propria associazione. Rendere tutto open è l’intento” spiega la professoressa Antonucci. Il vantaggio è doppio: sperimentare il mondo attraverso altri canali è una forma di arricchimento per tutti. “La distinzione fra normale e disabile è già di per sé ghettizzante - spiega l’ideatrice del progetto -. Siamo tutti nella stessa società: dunque, offrire accesso alle stesse opportunità dei non disabili mi sembra, oltre che una questione di giustizia sociale, anche un’opportunità per tutti. A breve sarà online il nostro sito (www.invisible-eplus.com) e da qui aggiorneremo gli utenti sui nostri progressi e sulle iniziative come i cosiddetti ‘eventi moltiplicatori’ ovvero delle manifestazioni pubbliche in cui invitiamo tutti a conoscere, partecipare e dare il loro contributo al progetto”.
Il logo del progetto
Il logo del progetto

Il partenariato europeo

Per arrivare ad un cambio di paradigma nella visione della società, è necessario che il tema dell’accessibilità venga declinato non solo nell’ambito dell’istruzione ma anche in quello culturale. Il consorzio del progetto “In-Visible” si compone dunque di tre atenei europei (l’Università di Bologna, la University of Humanities and Economicsdi Lodz e la Yedetepe University di Istanbul), di un ente di ricerca internazionale (Information Technologies Institute of Centre for Research and Technology Hellas), due istituti dedicati all’educazione dei non vedenti (il Center for Education and Rehabilitation for the Blind di Salonicco e il Museo Tattile Statale Omero di Ancona). Un ruolo fondamentale, tuttavia, sarà giocato anche da altre risorse sul territorio, grazie alla presenza di numerosi altri partner associati: l’Unione Italiana Ciechi, l’Istituto Cavazza di Bologna, il Museo Tolomeo e Museo tattile Anteros di Bologna, il MAXXI – Museo nazionale delle Arti del XXI secolo di Roma, il Lighthouse for the Blind of Greece e molti altri. “Il progetto prevede la collaborazione di istituzioni e musei europei, che porteranno ciascuno le proprie competenze e faciliteranno la diffusione dei risultati del progetto in tutti i settori della società. Nella fase finale, nelle Università di Bologna e di Istanbul sperimenteremo “sul campo” l’impiego di questi strumenti per capire cosa funziona e cosa no” conclude la professoressa Micaela Antonucci. Solo una piccola percentuale di disabili visivi in Europa ha accesso alla formazione universitaria, specie in particolari discipline. Speriamo che “In-Visible” non sia un caso isolato e che le generazioni future possano avere maggiori possibilità e strumenti.
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