Main Partner

main partnermain partnermain partner

Partner

main partner

Riabilitazione, non solo 'Modi di dire': "Perché aiutare gli altri non ha prezzo"

Evaristo Ricci, presidente dell'associazione con sede a Prato, racconta l'impegno sociale: "Progetto nato da un'esperienza familiare ma rivolto a tutti i giovani con disabilità psico-motoria"

di CATERINA CECCUTI -
22 febbraio 2023
Il grande impegno sociale della Fondazione "Modi di dire"

Il grande impegno sociale della Fondazione "Modi di dire"

Entro nel Centro di riabilitazione della Fondazione "Modi di dire" di Prato per incontrare il presidente Evaristo Ricci e fare quattro chiacchiere sulla mission che da vent'anni porta avanti nei confronti di bambini e ragazzi con disabilità psico-motoria. Mi accomodo qualche minuto nella sala di attesa, accanto a me sono sedute due mamme che aspettano i loro bambini, impegnati ciascuno in una seduta di riabilitazione. Da una porta sulla destra esce una terapista, tenendo per mano un ragazzino sui dieci anni. Sua madre, seduta alla mia sinistra, si alza di scatto: “Come è andata?” chiede ansiosa. “Bene signora - risponde la terapista -. Abbiamo fatto un sacco di cose questa mattina”. La mamma prende tra le braccia il suo bambino, poi con un fio di voce, quasi per non farsi sentire da lui, continua: “Quando riuscirà a parlare?”. La terapista sorride cercando di rassicurarla: “Per ora stiamo lavorando sulla sua comprensione della realtà che lo circonda, e sulle capacità di intervento che suo figlio può esercitare su di essa. La parola arriverà, stia tranquilla. Ma non possiamo dire con certezza quando. Deve avere fiducia in lui. Potrebbero volerci alcuni mesi, oppure un anno potrebbe non bastare... ma ce la farà”. Comincio a capire il luogo in cui mi trovo. Quando si ha a che fare con bambini affetti da ritardo cognitivo, si deve accettare di entrare in una dimensione diversa, parallela, in cui le regole spazio-temporali che governano la normale routine degli esseri umani non valgono più, o comunque non del tutto. La capacità di espressione, per questo bambino, arriverà prima o poi. Ma nessuno, neanche la sua terapista, può dire con certezza quando. “Non si tratta solo di insegnare al bambino o al ragazzo come compiere azioni perfettamente naturali per un normodotato, come parlare, scrivere, comunicare in generale - mi spiegherà più tardi il presidente Ricci -. Ma di entrare nel suo mondo, capire le regole e le dinamiche che lo governano, per poi tentare di offrirgli degli strumenti che gli permettano di imparare a comunicare con gli altri e di comprendere se stesso”.
Evaristo Ricci, presidente della Fondazione "Modi di dire"

Evaristo Ricci, presidente della Fondazione "Modi di dire"

Evaristo Ricci mi raggiunge. È un uomo alto, sulla sessantina, il volto accogliente e rassicurante. Insieme facciamo un giro per il Centro riabilitativo, che scopro essere dotato di spazi davvero grandi, non tutti attualmente utilizzati “Siamo in fase di ristrutturazione e adattamento di alcuni locali - mi spiega -. La nostra Fondazione si è trasferita qui nel 2020, la sede che avevamo prima era molto più piccola”. Mi mostra le diverse stanze in cui si svolgono attività di riabilitazione, dalla logopedia alla psicomotricità, all'insegnamento della Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA). Al piano di sopra è prevista la realizzazione di una stanza sensoriale (la prima nel territorio pratese) e di altri laboratori, come per esempio quello culinario, per sviluppare ulteriormente le capacità dei giovani pazienti e accompagnarli lungo un percorso verso la maggior autonomia possibile. Al piano seminterrato verrà attrezzato un grande spazio professionalizzante. “Il sogno è quello di avviare i nostri ragazzi più grandi a una professione - commenta Ricci -. Molti di loro non raggiungeranno mai l'indipendenza completa, perché le loro patologie sono molto severe”. Sta parlando di ragazzi come Lorenza, sua figlia, una giovane di 22 anni affetta da Sindrome di Angelman. Quando raggiungiamo il suo studio, le domande che vorrei fare al presidente di "Modi di dire" sono diventate molte, ma decido di cominciare dal principio. Presidente Ricci, come nasce la Fondazione "Modi di dire"? “Da un'esperienza familiare. La mia secondogenita ha una patologia genetica rara. Lorenza è nata nel 2001, e presto io e mia moglie ci siamo accorti che aveva dei problemi di natura psico-motoria. La patologia porta una disabilità intellettiva severa, per colpa della mancanza di un pezzo del cromosoma 15. A essere maggiormente compromessi sono la capacità di comunicazione con il resto del mondo e il linguaggio”.
Il Centro di riabilitazione della Fondazione Modi di dire di Prato

Il Centro di riabilitazione della Fondazione Modi di dire di Prato

Quando è arrivata la diagnosi cosa è successo nel cuore suo e di sua moglie? “È stato uno stravolgimento della vita familiare. Una bimba come Lorenza ha bisogno di assistenza continua, sicuramente molto diversa rispetto a quella necessaria a un bambino senza problemi. I primi anni li passammo a capire quali potessero essere le terapie di riabilitazione che potevamo offrirle, visto che una cura per la sua patologia non esiste. Capimmo che le normali tappe di crescita e sviluppo per Lorenza sarebbero state molto dilatate nel tempo, e che non avrebbe parlato mai. Poi c'erano altri problemi portati dalla sindrome: iperattività, scialorrea, disturbi del sonno, possibili crisi epilettiche e una serie di aspetti severi che devono essere trattati, come il rischio di sviluppare problemi di deambulazione, ecc. La questione più grave resta comunque l'assenza di linguaggio e la difficoltà di focalizzare l'attenzione. La disabilità non le impediva solamente di parlare, ma anche di avere consapevolezza del fatto di potersi esprimere con i gesti”.
Nel Centro è prevista la realizzazione di una stanza sensoriale, la prima nel territorio pratese

Nel Centro è prevista la realizzazione di una stanza sensoriale, la prima nel territorio pratese

Il vostro è il primo centro a Prato ad aver adottato la Comunicazione Aumentativa Alternativa... “Anche questo aspetto deriva dall'esperienza familiare. Quando ci è stata diagnosticata la Sindrome di Angelman ci siamo subito informati sull'esistenza di un'associazione nazionale, e abbiamo scoperto l’Orsa (Organizzazione Sindrome di Angelman). Frequentando i suoi incontri ci siamo accorti della gravità della situazione di Lorenza, e di cosa avrebbe aspettato noi genitori nel futuro, con il crescere di nostra figlia. Imparammo però anche le attività riabilitative di cui si poteva usufruire, tra queste la più importante è la CAA. Parliamo di un approccio comunicativo che richiede un impegno notevole e il coinvolgimento della famiglia, della scuola, per ottenere risultati. Non si tratta solo di portare il bambino a comunicare, ma anche di insegnargli a comprendere come poterlo fare utilizzando immagini e tabelle appositamente predisposte per esprimere i propri bisogni primari. Oggi Lorenza è in grado di farci capire se ha bisogno di andare in bagno, se ha fame o sete ecc. La CAA rappresenta l'unico approccio in grado di cambiare la percezione che il bambino ha degli altri, del mondo e di se stesso, ed è uno strumento indispensabile a scuola per poter fare attività che gli permettano di sentirsi parte del gruppo, ovviamente con l'aiuto di un insegnante di sostegno appositamente formato. Insomma, non è semplice, ma piano piano è possibile aiutare i nostri ragazzi a uscire dal loro guscio”.
Il Centro è rivolto a tutti i giovani con disabilità psico-motoria del territorio pratese

Il Centro è rivolto a tutti i giovani con disabilità psico-motoria del territorio pratese

Eppure la CAA è ancora relativamente poco diffusa in Italia... “Nel 2005 iniziava a essere usata come approccio nelle Sindromi genetiche. Il Centro Benedetta D'Intino di Milano e l'ORSA avevano avviato una collaborazione coordinata dalla neuro psichiatra Aurelia Rivarola. Ma a Prato non esisteva ancora niente. Individuammo allora una terapista per Lorenza e la formammo. Poi iniziammo a formare diversi terapisti che esercitavano in ambito locale, di modo che la CAA potesse radicarsi anche nel territorio pratese. Il gruppo di terapisti esperti è cresciuto fino a che nel 2008 decidemmo di aprire un'Associazione formata da genitori toscani di ragazzi con Sindrome di Angelman (la "Modi di dire", appunto) capace di occuparsi di CAA a 360 gradi. Nel 2010 vincemmo il bando promosso dal Cesvot 'Percorsi di innovazione', grazie al quale siamo riusciti ad avviare alla Comunicazione Aumentativa Alternativa una ventina di bambini con sindromi genetiche di vario tipo. Individuammo una prima sede, che già nel 2012 era diventato un vero e proprio centro riabilitativo in cui facevamo questo tipo di trattamenti, inseriti nell'ambito della logopedia, ed è così che il territorio ha iniziato ad avere un punto di riferimento strutturato per la CAA”. Il vostro impegno però non si è fermato qui... “Esatto. Nel 2017 il Centro continuava a crescere e un numero sempre più elevato di bambini con disabilità richiedeva le nostre terapie. Nasce perciò anche la Fondazione Modi di dire, e nel 2020 decidiamo di aprire il grande centro di riabilitazione in cui ci troviamo ora (Via Arrigo Simintendi 15, a Prato), che offre non solo CAA ma anche logopedia, neuro psicomotricità, ecc. Siamo accreditati anche per l'erogazione di servizi destinati ai disturbi dell'apprendimento. Tra i soci fondatori di 'Modi di dire' c'è anche ORSA, e collaboriamo attivamente con l'Asl, le scuole e le altre associazioni impegnate a favore di ragazzi con disabilità. Il nostro obiettivo futuro è lavorare sull'integrazione dei ragazzi con questo tipo di disabilità, nella speranza di renderli il più indipendenti possibile. Nonostante tutti gli sforzi fatti nel corso degli anni, mia figlia resta ancora una ragazza disabile che non parla, dunque l'aiuto che noi possiamo continuare a dare, sia a lei che agli altri ragazzi più grandi, è relativo all'integrazione nei vari contesti della vita sociale. Con la CAA imparano ad esprimersi, ma questo poi deve servire anche per rapportarsi con il resto del mondo, non solo con l'operatore”.
Il Centro si trova in via Arrigo Simintendi 15, a Prato

Il Centro si trova in via Arrigo Simintendi 15, a Prato

Per questo state progettando un grande spazio professionalizzante? “Esatto. Certo, parliamo di attività legate ai vincoli e ai limiti di ognuno dei nostri ragazzi, ma cercheremo di renderli attivi in qualcosa che possa impegnarli nel corso della giornata. Anche perché, purtroppo, l'alternativa è quella di vederli finire in strutture assistenziali che non li stimolano a fare nulla”. Ci parli della stanza multisensoriale che state costruendo... “Sarà la prima stanza multisensoriale di Prato, per aiutare i nostri bambini a sviluppare le emozioni utilizzando suoni, immagini e situazioni interattive. Un percorso, questo, che potrà servire a favorire il loro benessere, anche a livello emozionale”. "Modi di dire" sembra davvero una Fondazione impegnata nel sociale, ma anche molto impegnativa, sia a livello umano che economico... “Sicuramente la mia famiglia ha dedicato molte risorse alla Fondazione, sia come impegno personale che economico, soprattutto nelle fasi iniziali. Ma tengo a sottolineare che 'Modi di dire' non è un Centro privato, è un ente del terzo settore che si sostiene grazie ai contributi delle persone che intendono farne parte. Alcuni sono volontari, altri dipendenti impegnati nei progetti riabilitativi. La stanza multisensoriale, per esempio, sarà realizzata grazie a una raccolta fondi, ed entro un paio di mesi saremo in grado di inaugurarla. Un'attività come questa farà star bene non solo i piccoli pazienti, ma anche le loro famiglie. In un centro di socializzazione come quello che ho in mente, beneficeranno delle terapie tutti quanti”. Perché lei e sua moglie, pur dovendovi occupare di una figlia disabile, avete deciso di fare così tanto per gli altri? “Per me è sempre stato normale e naturale mettermi a disposizione degli altri e dare una mano. Quando si parla di disabilità la reazione più comune delle persone è quella di rinchiudersi in casa, nel proprio guscio, e chiedere attenzione alle istituzioni. Ma questo non è sempre positivo. Diciamo che la reazione mia e di mia moglie è stata inversa. Ci siamo detti: 'E se invece di chiedere sempre alle istituzioni, fossimo noi a costruire qualcosa?'. Il risultato è stato molto più gratificante, perché quando interagisci con famiglie che non hanno avuto la fortuna di incontrare qualcuno capace di capirle, di condividere con loro una situazione familiare complicata, ti rendi conto che puoi essere realmente utile al prossimo, e questo non ha prezzo. Quando i nostri piccoli pazienti migliorano, anche i loro genitori cambiano. Vengono qui al Centro con la certezza di fare qualcosa che serve alla vita dei loro figli e smettono finalmente di sentirsi impotenti nei confronti della malattia. Ecco cos'è davvero impagabile: andare avanti e raggiungere obiettivi che possano essere condivisi con gli altri. Mia figlia potrà usare molto poco la stanza multisensoriale, questo è certo, ma altri sì, potranno farlo. E questo aiuterà dei genitori a condividere con i loro bambini attività gratificanti, momenti speciali, oltre che bei ricordi”.