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Home » Lifestyle » Morgyn Arnold, cheerleader esclusa dalla foto di gruppo perché affetta dalla sindrome di Down

Morgyn Arnold, cheerleader esclusa dalla foto di gruppo perché affetta dalla sindrome di Down

È successo in una scuola media dello Utah, negli Stati Uniti. Sono state scattate due foto, una con la ragazza, capitana del gruppo, al centro, una senza di lei. Quest'ultima è stata scelta per l'annuario e pubblicata sui social

Camilla Prato
23 Giugno 2021
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Se le si guardano una a fianco all’altra, le due immagini, sembra un po’ come il gioco sull’enigmistica in cui devi trovare le differenze. Ma la differenza, in questo caso, è talmente macroscopica da non poter essere ignorata. Una scuola media dell’Utah (Stati Uniti), infatti, è stata aspramente criticata per aver scattato due foto ufficiali della sua squadra di cheerleaders, una delle quali non includeva la caposquadra del team. Proprio questo secondo scatto è stato scelto dall’istituto per essere pubblicato nel suo annuario e sui social media.

Morgyn Arnold era seduta in prima fila in una delle due foto, mentre nell’altra immagine era completamente assente. Rimossa. C’è chi si è interrogato sul motivo. La maggior parte delle persone ha risposto con un unico sostantivo: diversità. Morgyn è, infatti, affetta da sindrome di Down e forse il movente della scelta di rimuoverla dallo scatto e di scegliere poi quello in cui era assente per pubblicizzare la squadra, risieda proprio nella patologia della ragazza.

Secondo quanto riportato dal Salt Lake Tribune e dal New York Times, la sorella maggiore di Arnold, Jordyn Poll, ha detto che Morgyn era affranta quando ha guardato l’annuario. E nemmeno il suo nome, nonostante sia la caposquadra, è stato incluso. Una discriminazione palese verso una ragazza che ha per il cosiddetto “cheerleading” (ovvero quella disciplina sportiva che combina elementi di acrobatica, ginnastica artistica e danza, che in Italia associamo ai/alle ‘Ragazze/i pompon’) una passione innata. E che si vede esclusa esclusivamente a causa della sindrome di Down, che, tra l’altro, non le comporta alcun deficit prestativo nel compiere quei gesti che tanto ama.

Mentre alcuni sui social media hanno messo in discussione le altre cheerleader, la famiglia della ragazza ha esortato queste persone a fermare “le accuse di vergogna, il bullismo e le minacce” contro di loro, sottolineando che non hanno avuto alcun ruolo nella selezione di questa foto. “Quelle ragazze sono niente meno che incredibili – ha osservato Jordyn Poll – Amano Morgyn. Hanno fatto di tutto per aiutarla e farla sentire inclusa. Anche loro hanno dei sentimenti”. E intanto un portavoce del distretto scolastico ha detto in una dichiarazione: “Siamo profondamente rattristati dall’errore che è stato fatto. Stiamo continuando a esaminare ciò che è successo e perché si è verificato”.

Ma per quanto quello di questa studentessa possa apparire come un caso raro, in realtà, come spiega Nate Crippes, avvocato del Disability Law Centre of Utah, non lo è affatto. Anzi rientra in un modus operandi ormai consolidato, tanto che la stessa legale afferma di ricevere circa 4mila denunce ogni anno. Si tratta, quasi sempre, di storie nelle quali la discriminazione verso le persone diversamente abili prende il sopravvento. Sulla sensibilità, sul non sentirsi a disagio ad avere a che fare con persone disabili, sull’accoglienza e l’inclusione che molte persone affermano. Affermazioni, appunto, parole. È fondamentale, invece, domandarsi quanto accettiamo la diversità nei fatti, cosa facciamo in concreto per le persone considerate ‘diverse’ dalla norma. Ma anche perché le riteniamo tali e in che modo garantiamo loro pari diritti, doveri e dignità. Perché il caso di Morgyn può essere uno, ma quando questi diventano dieci, cento, mille, come effettivamente avviene, ogni giorno, in tutto il mondo, allora quel caso è il sintomo di un problema più grande, che né il buonismo o il pietismo possono risolvere.

 

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Il protagonista di questa vicenda è Leonardo Lotto, studente aostano, che la mattina del 23 febbraio è rimasto vittima di un incidente in mare. Il ragazzo era a Melbourne con un gruppo di amici quando dopo un tuffo tra le onde sul bagnasciuga ha picchiato violentemente la testa contro il fondale di sabbia. In quel momento è iniziato l’incubo: prima gli amici lo hanno aiutato a uscire dall’acqua, poi la corsa disperata in ospedale. Dopo l’intervento d’urgenza, è arrivato il duro responso: “Frattura delle vertebre C3 e C5, spina dorsale danneggiata". Leonardo Lotto è paralizzato dalla testa in giù e non potrà più camminare.

"Continuerò a lottare e farò tutto il necessario. A volte cadrò, ma alla fine mi rialzerò, vivendo sempre giorno per giorno, superando i momenti più bui”.

Dopo il ricovero all’Alfred Hospital di Melbourne, in Australia, “le sue condizioni sono stabili, e ora è pronto per iniziare il suo lungo percorso riabilitativo a Milano con tutte le energie e la positività che hanno sempre caratterizzato la sua personalità”. E gli amici, proprio per sostenere le cure, hanno organizzato una raccolta fondi online.

✍ Barbara Berti 

#lucenews #lucelanazione #australia #leonardolotto
  • È quanto emerge da uno studio su 1.700 ragazzi toscani realizzato dal Meyer center for health and happiness, di cui è responsabile Manila Bonciani, insieme all’Università di Firenze, e presentato in occasione della Giornata internazionale della felicità nel corso di un evento organizzato al Meyer health campus di Firenze.

Cosa gli adolescenti pensano della felicità? Come la definiscono? Cosa li rende felici? Queste alcune domande dello studio. Dai risultati emerge che i ragazzi spesso non riescono a dare neanche una definizione della felicità. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza e la transitorietà. 

Dalla ricerca emerge così che la manifestazione della felicità si declina in sei dimensioni:
➡ La più rilevante che emerge è quella dell’interesse sociale, data dall’importanza che viene attribuita dai ragazzi alle relazioni interpersonali.
➡ La seconda è l’espressione della soddisfazione verso la propria vita, del fare le cose che piacciono loro.
➡ La terza è vivere emozioni positive, rilevanza che si riscontra anche nelle parole dei ragazzi che esprimono in maniera importante l’idea di essere felici quando sono senza preoccupazioni o pressioni che avvertono frequentemente, come anche quella scolastica.
➡ La quarta è il senso di autorealizzazione insieme a quello di padronanza delle varie situazioni che si trovano ad affrontare.
➡ Infine in misura minore la loro felicità è legata all’ottimismo, cui gli stessi adolescenti non attribuiscono grande rilevanza, sebbene rappresenti la sesta dimensione della felicità identificata.

Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le emozioni e risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé. 

Ancora i maschi risultano essere più felici delle femmine a eccezione della dimensione relazionale e sociale della felicità che non si differenzia in maniera significativa tra i due gruppi, e le fasce di età più piccole, fino ai 15 anni, esprimono maggiormente di essere felici rispetto ai ragazzi di 16-17 o maggiorenni.

#felicità #ospedalemeyer #adolescenza
Se le si guardano una a fianco all'altra, le due immagini, sembra un po' come il gioco sull'enigmistica in cui devi trovare le differenze. Ma la differenza, in questo caso, è talmente macroscopica da non poter essere ignorata. Una scuola media dell'Utah (Stati Uniti), infatti, è stata aspramente criticata per aver scattato due foto ufficiali della sua squadra di cheerleaders, una delle quali non includeva la caposquadra del team. Proprio questo secondo scatto è stato scelto dall'istituto per essere pubblicato nel suo annuario e sui social media. Morgyn Arnold era seduta in prima fila in una delle due foto, mentre nell'altra immagine era completamente assente. Rimossa. C’è chi si è interrogato sul motivo. La maggior parte delle persone ha risposto con un unico sostantivo: diversità. Morgyn è, infatti, affetta da sindrome di Down e forse il movente della scelta di rimuoverla dallo scatto e di scegliere poi quello in cui era assente per pubblicizzare la squadra, risieda proprio nella patologia della ragazza. Secondo quanto riportato dal Salt Lake Tribune e dal New York Times, la sorella maggiore di Arnold, Jordyn Poll, ha detto che Morgyn era affranta quando ha guardato l'annuario. E nemmeno il suo nome, nonostante sia la caposquadra, è stato incluso. Una discriminazione palese verso una ragazza che ha per il cosiddetto "cheerleading" (ovvero quella disciplina sportiva che combina elementi di acrobatica, ginnastica artistica e danza, che in Italia associamo ai/alle 'Ragazze/i pompon') una passione innata. E che si vede esclusa esclusivamente a causa della sindrome di Down, che, tra l'altro, non le comporta alcun deficit prestativo nel compiere quei gesti che tanto ama. Mentre alcuni sui social media hanno messo in discussione le altre cheerleader, la famiglia della ragazza ha esortato queste persone a fermare "le accuse di vergogna, il bullismo e le minacce" contro di loro, sottolineando che non hanno avuto alcun ruolo nella selezione di questa foto. "Quelle ragazze sono niente meno che incredibili - ha osservato Jordyn Poll - Amano Morgyn. Hanno fatto di tutto per aiutarla e farla sentire inclusa. Anche loro hanno dei sentimenti". E intanto un portavoce del distretto scolastico ha detto in una dichiarazione: "Siamo profondamente rattristati dall'errore che è stato fatto. Stiamo continuando a esaminare ciò che è successo e perché si è verificato". Ma per quanto quello di questa studentessa possa apparire come un caso raro, in realtà, come spiega Nate Crippes, avvocato del Disability Law Centre of Utah, non lo è affatto. Anzi rientra in un modus operandi ormai consolidato, tanto che la stessa legale afferma di ricevere circa 4mila denunce ogni anno. Si tratta, quasi sempre, di storie nelle quali la discriminazione verso le persone diversamente abili prende il sopravvento. Sulla sensibilità, sul non sentirsi a disagio ad avere a che fare con persone disabili, sull'accoglienza e l'inclusione che molte persone affermano. Affermazioni, appunto, parole. È fondamentale, invece, domandarsi quanto accettiamo la diversità nei fatti, cosa facciamo in concreto per le persone considerate 'diverse' dalla norma. Ma anche perché le riteniamo tali e in che modo garantiamo loro pari diritti, doveri e dignità. Perché il caso di Morgyn può essere uno, ma quando questi diventano dieci, cento, mille, come effettivamente avviene, ogni giorno, in tutto il mondo, allora quel caso è il sintomo di un problema più grande, che né il buonismo o il pietismo possono risolvere.  
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