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Home » Lifestyle » Operation Smile: ecco come i bambini affetti da labiopalatoschisi possono ritrovare il sorriso

Operation Smile: ecco come i bambini affetti da labiopalatoschisi possono ritrovare il sorriso

La Fondazione lancia la campagna "ChristmaSmiles", con l'obiettivo di raccogliere fondi per fornire cure mediche e chirurgiche a pazienti nati con malformazioni del volto

Caterina Ceccuti
18 Dicembre 2022
Il chirurgo Valeri Paredes dell'Ecuador, l'anestesista Silvia Ramos del Guatemala e il chirurgo Pablo Ramazzini (dietro) visitano un bambino durante lo screening del programma chirurgico di Operation Smiles a Guatemala City, Guatemala, il 5 maggio 2022.  (Foto di Operation Smile - Rohanna Mertens)

Il chirurgo Valeri Paredes dell'Ecuador, l'anestesista Silvia Ramos del Guatemala e il chirurgo Pablo Ramazzini (dietro) visitano un bambino durante lo screening del programma chirurgico di Operation Smiles a Guatemala City, Guatemala, il 5 maggio 2022. (Foto di Operation Smile - Rohanna Mertens)

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Non è solo una questione estetica ma una vera problematica di salute, che provoca ripercussioni sulla vita sociale e comunicativa dei bambini. Nascere con una malformazione del volto come la labiopalatoschisi, che nel nostro Paese è risolvibile con un’operazione chirurgica ospedaliera e con la dovuta assistenza medica, in altri Paesi meno sviluppati può significare un problema serio. È qui che entra in gioco Operation Smile, da anni impegnata in tutto il mondo nella cura e nella risoluzione della malformazione che tutti conosciamo con il nome impreciso (e un po’ offensivo) di “labbro leporino” e che, fino ad oggi, ha garantito cure gratuite ad oltre 340.000 adulti e bambini, restituendo loro il sorriso. Per offrire a un numero sempre maggiore di persone l’accesso libero a medicinali e terapie, grazie all’intervento di un’equipe multidisciplinare di specialisti volontari di alto livello, in prossimità del Natale, Operation Smile Italia ETS lancia la campagna “ChristmaSmiles“, invitando privati e aziende a sostenere i propri programmi medici in Guatemala, Madagascar e India. Contribuire è semplice, basta scegliere di augurare buone feste ai nostri cari attraverso le speciali e-card natalizie, ossia biglietti personalizzabili in versione digitale pronti per essere inviati. C’è tempo fino al 6 gennaio per collegarsi al sito operationsmile.it, oppure per chiamare il numero 340.6896891 ed ottenere tutte le informazioni necessarie.
“Un gesto semplice – spiegano gli organizzatori – che però può contribuire in maniera concreta a sostenere i nostri progetti. L’obiettivo della nostra Fondazione è da sempre quello di prendersi cura dei bambini e degli adulti affetti da labiopalatoschisi nelle comunità più emarginate, per garantire loro il diritto alla salute e rendere più accessibili le operazioni chirurgiche. Pilastri fondamentali di Operation Smile sono il potenziamento delle infrastrutture sanitarie locali, attraverso la donazione di attrezzature medico-ospedaliere, e la formazione continua di medici e operatori sanitari, affinché acquisiscano le competenze specialistiche necessarie a garantire elevati standard di cure ai membri della propria comunità”.

Fulvia aceti, logopedista di Saronno, in missione con Operation Smile in Malawi

A raccontarci cosa significhi essere un professionista volontario di Operation Smile è stata Fulvia Aceti, 35 anni, originaria di Saronno. “Io sono una logopedista – ha spiegato a Luce! -, dal 2009 opero nell’ambito della palatoschisi e dal 2011 sono una volontaria attiva di Operation Smile. Ho partecipato personalmente a due missioni umanitarie in Malawi e in Guatemala, dove ho avuto la possibilità di lavorare insieme ad equipe multidisciplinari composte da professionisti provenienti da tutto il mondo e di collaborare con i colleghi residenti nello Stato in cui ho svolto la mia missione. In particolare, in Guatemala ho potuto fare formazione nella Logopedia ospedaliera guatemalteca, mettendo in pratica quello che rappresenta uno dei grandi obiettivi del nostro lavoro come volontari: la formazione del personale locale. Perché il lavoro di noi logopedisti non è paragonabile a quello dei chirurghi, ossia non può essere circoscritto al momento dell’intervento risolutivo sul paziente. Necessita piuttosto di un’assistenza continuativa e protratta nel tempo. Il nostro lavoro a fianco del paziente prosegue nelle settimane post operatorie, ecco dunque che la formazione sul territorio diventa assolutamente fondamentale per la buona riuscita del progetto. Uno dei grandi valori di Operation Smile è proprio la dimensione di scambio interculturale e interprofessionale che offre ai suoi volontari”.

Perché ha deciso di diventare una volontaria di Operation Smile?
“Amo l’idea di poter fare del bene alle persone residenti in Paesi che si trovano in condizioni sanitarie meno fortunate della nostra. Allo stesso tempo amo viaggiare e incontrare culture differenti dalla mia. Dunque l’idea di diventare una volontaria in ambito medico-sanitario me la porto dentro fin dai tempi dal liceo. Si può dire che abbia scelto la mia professione anche con l’intento di perseguire questa vocazione. Un volta incontrata Operation Smile mi sono subito resa conto che questa realtà solidale si occupa di volontariato ad altissimi livelli, offrendo ai professionisti che ne entrano a far parte un’esperienza umana e professionale a 360°. È una vera e propria possibilità di arricchimento personale. Stiamo parlando di esperienze incredibili, in un’atmosfera di coesione ed empatia tale da permettere a tutti i professionisti di arrivare in un paese straniero, conoscersi, coordinarsi e mettersi all’opera in pochissimo tempo. Da subito si entra nel vivo di un’equipe multidisciplinare in cui ciascuno saprà di fare del proprio meglio per cercare di cambiare la vita delle persone. La palatoschisi, infatti, compromette la vita di un paziente sia dal punto di vista medico, che socio-comunicativo. Ecco perché le persone affrontano anche grandi distanze pur di entrare a far parte dei programmi di Operation Smile”.

Cosa intende con grandi disagi?
“Per esempio in Malawi, i pazienti che intendono partecipare al progetto arrivano da tutte le parti del territorio, affrontando anche viaggi molto lunghi e faticosi. Nei mesi precedenti al nostro arrivo, Operation Smile mette in campo una grande campagna informativa per poter raggiungere il maggior numero di interessati possibile. Una volta arrivati sul territorio, noi specialisti entriamo i contatto con la quotidianità dei pazienti per giorni, di modo da poter capire un po’ meglio lo stile di vita dei bambini e seguirli adeguatamente. Un’esperienza davvero a tutto tondo, resa possibile dall’ottima mediazione che la Fondazione realizza tra gli operatori e la gente del luogo, che spesso e volentieri non parlano la stessa lingua. Vengono perciò attivate le scuole territoriali che si mobilitano, grazie a ragazzi pieni di energia, per garantire una buona comunicazione. Insomma, Operation Smile è una macchina di volontariato efficiente che cura ogni dettaglio”.

Aceti in missione in Malawi

Ci racconta un’esperienza con i suoi pazienti che le è rimasta particolarmente impressa?
“Una volta, in Malawi, ho visto una signora sulla sessantina appena operata al labbro, che dopo tanti anni di convivenza con la propria malformazione non avrebbe mai immaginato di poter cambiare la propria vita. Dopo l’operazione, se ne stava in un angolo dell’Ospedale a guardarsi commossa in un piccolo specchiettto e a scoprire come fosse mutato il suo volto con aria soddisfatta e assolutamente incredula. Non si contano poi le storie di bambini cui è stata cambiata la vita, così come non si scordano gli occhi dei genitori carichi di speranza, che mettono nelle mani dei medici tutta la propria fiducia. Operation Smile permette a noi professionisti di stabilire un contatto con le famiglie e con i bambini indescrivibile, e di assistere in breve tempo al loro recupero, che davvero somiglia ad una rinascita”.

In cosa consiste l’intervento della vostra equipe multidisciplinare?
“L’equipe multidisciplinare incontra il paziente e valuta l’opportunità o meno dell’intervento chirurgico. In alcuni casi l’operazione è ovvia, in altri deve essere ponderata con attenzione. Già in questa fase pre-intervento emerge l’altissima professionalità dei volontari che entrano in gioco. Dopo l’operazione eseguita dai medici chirurghi in una delle diverse sale operatorie attive, il logopedista segue passo passo il paziente e la sua famiglia, fornendogli le prime informazioni sull’alimentazione e sulla stimolazione del linguaggio”.

Quali sono le problematiche di salute che una malformazione come la labiopalatoschisi comporta?
“Oltre alle complicazioni riguardanti la parte più strettamente medica, come per esempio le possibili difficoltà di alimentazione dovute alla malformazione, una delle conseguenze più consistenti è la compromissione dell’efficacia comunicativa di una persona che, per colpa della palatoschisi, resta con il palato ‘aperto’. Da ciò deriva l’impossibilità di produrre tutti quei suoni che necessitano della corretta pressione all’interno della bocca e che dunque non possono essere ottenuti senza un intervento chirurgico con conseguenze sul generale sviluppo del linguaggio. Un limite di questo tipo nella propria capacità comunicativa ovviamente si riflette sulla componente emotivo-relazionale del paziente, condizionandone la sfera sociale e successivamente lavorativa. La risoluzione della palatoschisi perciò, nei bambini serve a prevenire una cascata di possibilità negative che possono presentarsi nel futuro, e permette di rimettere in gioco le risorse del paziente a tutto tondo. Inoltre, dal punto di vista culturale, purtroppo, la palatoschisi viene ancora oggi a volte collegata a credenze poco mediche e più mistiche: la disinformazione e la carenza di risorse in alcuni paesi impediscono la diffusione della corretta informazione a tutta la popolazione, necessaria a spiegare che una malformazione di questo tipo può essere gestita e curata e può permettere una vita assolutamente normale. L’impegno di Operation Smile ha quindi un impatto positivo a 360° gradi sulla società in cui opera”.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

#lucenews #lucelanazione #secondhand #vintage
  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

#lucenews #isaacortman #minnesota #boyscout
Non è solo una questione estetica ma una vera problematica di salute, che provoca ripercussioni sulla vita sociale e comunicativa dei bambini. Nascere con una malformazione del volto come la labiopalatoschisi, che nel nostro Paese è risolvibile con un'operazione chirurgica ospedaliera e con la dovuta assistenza medica, in altri Paesi meno sviluppati può significare un problema serio. È qui che entra in gioco Operation Smile, da anni impegnata in tutto il mondo nella cura e nella risoluzione della malformazione che tutti conosciamo con il nome impreciso (e un po' offensivo) di "labbro leporino" e che, fino ad oggi, ha garantito cure gratuite ad oltre 340.000 adulti e bambini, restituendo loro il sorriso. Per offrire a un numero sempre maggiore di persone l’accesso libero a medicinali e terapie, grazie all'intervento di un'equipe multidisciplinare di specialisti volontari di alto livello, in prossimità del Natale, Operation Smile Italia ETS lancia la campagna "ChristmaSmiles", invitando privati e aziende a sostenere i propri programmi medici in Guatemala, Madagascar e India. Contribuire è semplice, basta scegliere di augurare buone feste ai nostri cari attraverso le speciali e-card natalizie, ossia biglietti personalizzabili in versione digitale pronti per essere inviati. C'è tempo fino al 6 gennaio per collegarsi al sito operationsmile.it, oppure per chiamare il numero 340.6896891 ed ottenere tutte le informazioni necessarie. "Un gesto semplice - spiegano gli organizzatori - che però può contribuire in maniera concreta a sostenere i nostri progetti. L'obiettivo della nostra Fondazione è da sempre quello di prendersi cura dei bambini e degli adulti affetti da labiopalatoschisi nelle comunità più emarginate, per garantire loro il diritto alla salute e rendere più accessibili le operazioni chirurgiche. Pilastri fondamentali di Operation Smile sono il potenziamento delle infrastrutture sanitarie locali, attraverso la donazione di attrezzature medico-ospedaliere, e la formazione continua di medici e operatori sanitari, affinché acquisiscano le competenze specialistiche necessarie a garantire elevati standard di cure ai membri della propria comunità”.
Fulvia aceti, logopedista di Saronno, in missione con Operation Smile in Malawi
A raccontarci cosa significhi essere un professionista volontario di Operation Smile è stata Fulvia Aceti, 35 anni, originaria di Saronno. "Io sono una logopedista - ha spiegato a Luce! -, dal 2009 opero nell'ambito della palatoschisi e dal 2011 sono una volontaria attiva di Operation Smile. Ho partecipato personalmente a due missioni umanitarie in Malawi e in Guatemala, dove ho avuto la possibilità di lavorare insieme ad equipe multidisciplinari composte da professionisti provenienti da tutto il mondo e di collaborare con i colleghi residenti nello Stato in cui ho svolto la mia missione. In particolare, in Guatemala ho potuto fare formazione nella Logopedia ospedaliera guatemalteca, mettendo in pratica quello che rappresenta uno dei grandi obiettivi del nostro lavoro come volontari: la formazione del personale locale. Perché il lavoro di noi logopedisti non è paragonabile a quello dei chirurghi, ossia non può essere circoscritto al momento dell'intervento risolutivo sul paziente. Necessita piuttosto di un'assistenza continuativa e protratta nel tempo. Il nostro lavoro a fianco del paziente prosegue nelle settimane post operatorie, ecco dunque che la formazione sul territorio diventa assolutamente fondamentale per la buona riuscita del progetto. Uno dei grandi valori di Operation Smile è proprio la dimensione di scambio interculturale e interprofessionale che offre ai suoi volontari”. Perché ha deciso di diventare una volontaria di Operation Smile? "Amo l’idea di poter fare del bene alle persone residenti in Paesi che si trovano in condizioni sanitarie meno fortunate della nostra. Allo stesso tempo amo viaggiare e incontrare culture differenti dalla mia. Dunque l'idea di diventare una volontaria in ambito medico-sanitario me la porto dentro fin dai tempi dal liceo. Si può dire che abbia scelto la mia professione anche con l'intento di perseguire questa vocazione. Un volta incontrata Operation Smile mi sono subito resa conto che questa realtà solidale si occupa di volontariato ad altissimi livelli, offrendo ai professionisti che ne entrano a far parte un'esperienza umana e professionale a 360°. È una vera e propria possibilità di arricchimento personale. Stiamo parlando di esperienze incredibili, in un'atmosfera di coesione ed empatia tale da permettere a tutti i professionisti di arrivare in un paese straniero, conoscersi, coordinarsi e mettersi all'opera in pochissimo tempo. Da subito si entra nel vivo di un'equipe multidisciplinare in cui ciascuno saprà di fare del proprio meglio per cercare di cambiare la vita delle persone. La palatoschisi, infatti, compromette la vita di un paziente sia dal punto di vista medico, che socio-comunicativo. Ecco perché le persone affrontano anche grandi distanze pur di entrare a far parte dei programmi di Operation Smile". Cosa intende con grandi disagi? "Per esempio in Malawi, i pazienti che intendono partecipare al progetto arrivano da tutte le parti del territorio, affrontando anche viaggi molto lunghi e faticosi. Nei mesi precedenti al nostro arrivo, Operation Smile mette in campo una grande campagna informativa per poter raggiungere il maggior numero di interessati possibile. Una volta arrivati sul territorio, noi specialisti entriamo i contatto con la quotidianità dei pazienti per giorni, di modo da poter capire un po’ meglio lo stile di vita dei bambini e seguirli adeguatamente. Un'esperienza davvero a tutto tondo, resa possibile dall'ottima mediazione che la Fondazione realizza tra gli operatori e la gente del luogo, che spesso e volentieri non parlano la stessa lingua. Vengono perciò attivate le scuole territoriali che si mobilitano, grazie a ragazzi pieni di energia, per garantire una buona comunicazione. Insomma, Operation Smile è una macchina di volontariato efficiente che cura ogni dettaglio”.
Aceti in missione in Malawi
Ci racconta un'esperienza con i suoi pazienti che le è rimasta particolarmente impressa? "Una volta, in Malawi, ho visto una signora sulla sessantina appena operata al labbro, che dopo tanti anni di convivenza con la propria malformazione non avrebbe mai immaginato di poter cambiare la propria vita. Dopo l’operazione, se ne stava in un angolo dell'Ospedale a guardarsi commossa in un piccolo specchiettto e a scoprire come fosse mutato il suo volto con aria soddisfatta e assolutamente incredula. Non si contano poi le storie di bambini cui è stata cambiata la vita, così come non si scordano gli occhi dei genitori carichi di speranza, che mettono nelle mani dei medici tutta la propria fiducia. Operation Smile permette a noi professionisti di stabilire un contatto con le famiglie e con i bambini indescrivibile, e di assistere in breve tempo al loro recupero, che davvero somiglia ad una rinascita". In cosa consiste l'intervento della vostra equipe multidisciplinare? "L'equipe multidisciplinare incontra il paziente e valuta l'opportunità o meno dell'intervento chirurgico. In alcuni casi l'operazione è ovvia, in altri deve essere ponderata con attenzione. Già in questa fase pre-intervento emerge l'altissima professionalità dei volontari che entrano in gioco. Dopo l'operazione eseguita dai medici chirurghi in una delle diverse sale operatorie attive, il logopedista segue passo passo il paziente e la sua famiglia, fornendogli le prime informazioni sull'alimentazione e sulla stimolazione del linguaggio". Quali sono le problematiche di salute che una malformazione come la labiopalatoschisi comporta? "Oltre alle complicazioni riguardanti la parte più strettamente medica, come per esempio le possibili difficoltà di alimentazione dovute alla malformazione, una delle conseguenze più consistenti è la compromissione dell’efficacia comunicativa di una persona che, per colpa della palatoschisi, resta con il palato 'aperto'. Da ciò deriva l'impossibilità di produrre tutti quei suoni che necessitano della corretta pressione all’interno della bocca e che dunque non possono essere ottenuti senza un intervento chirurgico con conseguenze sul generale sviluppo del linguaggio. Un limite di questo tipo nella propria capacità comunicativa ovviamente si riflette sulla componente emotivo-relazionale del paziente, condizionandone la sfera sociale e successivamente lavorativa. La risoluzione della palatoschisi perciò, nei bambini serve a prevenire una cascata di possibilità negative che possono presentarsi nel futuro, e permette di rimettere in gioco le risorse del paziente a tutto tondo. Inoltre, dal punto di vista culturale, purtroppo, la palatoschisi viene ancora oggi a volte collegata a credenze poco mediche e più mistiche: la disinformazione e la carenza di risorse in alcuni paesi impediscono la diffusione della corretta informazione a tutta la popolazione, necessaria a spiegare che una malformazione di questo tipo può essere gestita e curata e può permettere una vita assolutamente normale. L'impegno di Operation Smile ha quindi un impatto positivo a 360° gradi sulla società in cui opera".
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