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Home » Lifestyle » “Parità di genere, occhio al ‘pink-washing’, l’offerta alle donne di ruoli di facciata, lasciando il vero potere ai maschi”

“Parità di genere, occhio al ‘pink-washing’, l’offerta alle donne di ruoli di facciata, lasciando il vero potere ai maschi”

"Sempre più presidentesse nei cda, ma gli amministratori delegati con budget e portafoglio restano uomini". La denuncia di Patrizia Asproni, presidentessa museale, battagliera esponente delle battaglie contro il gender gap. "Il #metoo ha sollevato enfasi sul problema, dopo la pandemia è rimasta la retorica ma non è cambiato niente"

Domenico Guarino
5 Luglio 2021
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Parlare dei diritti delle donne è facile, praticarli e rimuoverli molto meno.  Tra quote rosa (che per altro nel nostro Paese in particolare, sono ancora tutte da venire), linguaggio di genere, luoghi comuni, condizioni pratiche e materiali dell’esistenza (cure familiari, lavoro domestico) l’emancipazione concreta delle donne è strada ancora per lo più da percorrere. E forse da ripensare, almeno in parte.

Ne parliamo con Patrizia Asproni, presidentessa del Museo Marino Marini di Firenze, molto attiva sul tema della parità e delle pari opportunità.

Dopo #metoo etc c’è stata una grande enfasi sul gender gap. Poi è arrivata la pandemia. A che punto siamo?
“L’enfasi è rimasta ma purtroppo è diventata retorica. Guardando ai numeri, vediamo che sono aumentati dell’80% i casi di violenza contro le donne, sono  aumentati i ‘donnicidi‘, il 98% di chi ha perso il lavoro a causa della crisi covid  è donna…. #metoo ha fatto cadere il velo, ma l’ipocrisia è rimasta, dato che la situazione non è cambiata ed anzi è peggiorata per quello che riguarda il lavoro, la violenza di genere, il numero delle donne ai vertici, la disparità di compenso in tutti i settori”.

La politica parla molto e molto spesso della necessità di garantire le pari opportunità, vede una coerenza nelle decisioni che vengono prese?

“La politica riflette la misoginia della società italiana. Abbiamo grandi proclami, il presidente del Consiglio scrive articoli in cui esalta l’indispensabilità della parità di genere per lo sviluppo economico e sociale del Paese ma poi, quando si tratta di comporre le commissioni per gestire il Pnrr le donne sono in vergognosa minoranza o addirittura del tutto assenti. Non è un caso che l’Italia sia fra i peggiori a livello europeo nella classifica del Global gender gap del World economic forum . Come rappresentanza politica l’Italia ha percentuali inferiori a quelle del Ruanda, basta guardare i numeri degli aspiranti al posto di sindaco nelle prossime elezioni comunali”.

Si profila una nuova insidia, seppur mascherata da buona intenzione: il il pink washing. Cos’è, chi lo pratica e quanto è diffuso?

“Il pink washing viene praticato da istituzioni e imprese per apparire corretti nelle politiche di genere. Apparire non significa essere. Le posizioni destinate alle donne sono infatti quasi sempre ininfluenti per le decisioni. Nelle aziende molto spesso la presidenza dei cda  viene affidata alla donne e quella di amministratore delegato agli uomini. La rappresentanza è salva ma le decisioni e il budget restano saldamente in mani maschili.

Così nella politica, dove alle donne vengono spesso affidati ministeri senza portafoglio”.

Siamo nel pieno di una svolta epocale che il covid ha accelerato: le donne sono protagoniste di questo cambiamento? E come? Ci sono esempi positivi cui  possiamo ispirarci?

“Le donne sono state ancora di più fondamentali durante la pandemia. Abbiamo fronteggiato l’emergenza grazie alle donne che hanno gestito i malati negli ospedali e le famiglie nelle proprie case. Donne protagoniste ovunque, hanno acquisito una maggiore consapevolezza dell’importanza della parità e dell’equità nella società. Il digitale, entrato così massivamente nelle nostre vite grazie all’accelerazione del covid sta modificando i paradigmi e le donne sono il motore più importante di queste mutazioni sociali. Le donne si laureano più degli uomini, sono più colte, stanno crescendo nei settori scientifici grazie alle tecnologie abilitanti, stanno cominciando ad occupare vertici importanti, come ad esempio nelle Università. Come cantava Bob Dylan ‘The times they are A-changin‘ : i tempi stanno cambiando, i tempi sono il cambiamento. E questo è il tempo delle donne”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Parlare dei diritti delle donne è facile, praticarli e rimuoverli molto meno.  Tra quote rosa (che per altro nel nostro Paese in particolare, sono ancora tutte da venire), linguaggio di genere, luoghi comuni, condizioni pratiche e materiali dell'esistenza (cure familiari, lavoro domestico) l'emancipazione concreta delle donne è strada ancora per lo più da percorrere. E forse da ripensare, almeno in parte.
Ne parliamo con Patrizia Asproni, presidentessa del Museo Marino Marini di Firenze, molto attiva sul tema della parità e delle pari opportunità. Dopo #metoo etc c'è stata una grande enfasi sul gender gap. Poi è arrivata la pandemia. A che punto siamo? "L’enfasi è rimasta ma purtroppo è diventata retorica. Guardando ai numeri, vediamo che sono aumentati dell’80% i casi di violenza contro le donne, sono  aumentati i 'donnicidi', il 98% di chi ha perso il lavoro a causa della crisi covid  è donna…. #metoo ha fatto cadere il velo, ma l’ipocrisia è rimasta, dato che la situazione non è cambiata ed anzi è peggiorata per quello che riguarda il lavoro, la violenza di genere, il numero delle donne ai vertici, la disparità di compenso in tutti i settori". La politica parla molto e molto spesso della necessità di garantire le pari opportunità, vede una coerenza nelle decisioni che vengono prese? "La politica riflette la misoginia della società italiana. Abbiamo grandi proclami, il presidente del Consiglio scrive articoli in cui esalta l’indispensabilità della parità di genere per lo sviluppo economico e sociale del Paese ma poi, quando si tratta di comporre le commissioni per gestire il Pnrr le donne sono in vergognosa minoranza o addirittura del tutto assenti. Non è un caso che l’Italia sia fra i peggiori a livello europeo nella classifica del Global gender gap del World economic forum . Come rappresentanza politica l’Italia ha percentuali inferiori a quelle del Ruanda, basta guardare i numeri degli aspiranti al posto di sindaco nelle prossime elezioni comunali". Si profila una nuova insidia, seppur mascherata da buona intenzione: il il pink washing. Cos'è, chi lo pratica e quanto è diffuso? "Il pink washing viene praticato da istituzioni e imprese per apparire corretti nelle politiche di genere. Apparire non significa essere. Le posizioni destinate alle donne sono infatti quasi sempre ininfluenti per le decisioni. Nelle aziende molto spesso la presidenza dei cda  viene affidata alla donne e quella di amministratore delegato agli uomini. La rappresentanza è salva ma le decisioni e il budget restano saldamente in mani maschili. Così nella politica, dove alle donne vengono spesso affidati ministeri senza portafoglio". Siamo nel pieno di una svolta epocale che il covid ha accelerato: le donne sono protagoniste di questo cambiamento? E come? Ci sono esempi positivi cui  possiamo ispirarci? "Le donne sono state ancora di più fondamentali durante la pandemia. Abbiamo fronteggiato l’emergenza grazie alle donne che hanno gestito i malati negli ospedali e le famiglie nelle proprie case. Donne protagoniste ovunque, hanno acquisito una maggiore consapevolezza dell’importanza della parità e dell’equità nella società. Il digitale, entrato così massivamente nelle nostre vite grazie all’accelerazione del covid sta modificando i paradigmi e le donne sono il motore più importante di queste mutazioni sociali. Le donne si laureano più degli uomini, sono più colte, stanno crescendo nei settori scientifici grazie alle tecnologie abilitanti, stanno cominciando ad occupare vertici importanti, come ad esempio nelle Università. Come cantava Bob Dylan 'The times they are A-changin' : i tempi stanno cambiando, i tempi sono il cambiamento. E questo è il tempo delle donne".
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