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E se l’ufficio non fosse più un luogo ma un concetto? Patrizio Ambrosetti lancia la petizione dei nomadi digitali

Da anni lavoratore in giro per il mondo: "Il lavoro da remoto? Porta benefici alle aziende, ai dipendenti e anche all'ambiente"

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI -
10 gennaio 2023
L'imprenditore nomade digitale Patrizio Ambrosetti (Instagram)

L'imprenditore nomade digitale Patrizio Ambrosetti (Instagram)

Li abbiamo chiamati - nelle migliori delle ipotesi - nomadi digitali, giramondo, globe-trotter. Abbiamo fantasticato sulla loro meravigliosa vita sempre in giro e mai monotona e - ammettiamolo - ci siamo chiesti come potessero fare. Sono i lavoratori senza fissa dimora, che per portare a termine i propri incarichi non hanno bisogno di una sede fissa, una scrivania, un ufficio, un cartellino da timbrare e un luogo fisico da raggiungere. Svolgono le proprie mansioni in spiaggia, davanti a un tramonto, in vetta a una montagna, in una metropoli trafficata, incarnano alla perfezione il nuovo modo di interpretare il lavoro nella sua vera essenza e, prima di altri, hanno imparato una delle lezioni che il Covid-19 ci ha impartito: i lavori non sono tutti uguali. Perché se è vero com’è vero che il lavoro del futuro è nomade è altrettanto vero che ci sono mestieri che, senza troppo discutere, hanno bisogno della presenza per essere svolti.
L'imprenditore Patrizio Ambrosetti

L'imprenditore Patrizio Ambrosetti

Tenendo conto di questo assunto, Patrizio Ambrosetti, che del lavoro digitale ne ha fatto una ragione di vita, ha lanciato una petizione su change.org chiedendo che i dizionari di tutto il mondo si aggiornino e modifichino la definizione della parola “ufficio”, spiegandola non più come luogo fisico quanto, piuttosto, come concetto. E che non ci si confonda con il telelavoro. Il concetto è più alto, più ampio e si avvicina moltissimo al tema della flessibilità che lo smart working e il (famoso) lavoro per obiettivi portano in dote. La petizione "Let’s change the word 'office' in the dictionaries, to help those who are losing their job" nasce allo scopo di sostenere coloro che desiderano poter lavorare in luoghi differenti dall’ufficio fisico, sensibilizzare le aziende rispetto alla possibilità di approcciarsi al mondo del lavoro da remoto come politica aziendale e favorire lo sviluppo dei Paesi in crescita. La faccenda è più semplice di quanto si pensi. Nonostante qualche aderenza, il mondo cambia e noi con lui. Perché, dunque, non cambiare anche le parole che lo descrivono? Per provare a capirci qualcosa in più ne abbiamo parlato con Ambrosetti in persona.
Patrizio Ambrosetti: "La mia missione? Aiutare aziende globali a transitare verso il lavoro da remoto e supportare, allo stesso tempo, i dipendenti in questo cambiamento"

Patrizio Ambrosetti: "La mia missione? Aiutare aziende globali a transitare verso il lavoro da remoto e supportare, allo stesso tempo, i dipendenti in questo cambiamento"

In tempo di pandemia si è parlato molto di smart working, confondendolo spesso con il più obsoleto telelavoro. Con la fine dell’emergenza sanitaria tutto è tornato alla normalità: orari di lavoro inflessibili, stanzialità, pc fisso e quattro mura. Cosa è andato storto? "Il lavoro remoto esiste da molto prima della pandemia. Nel 2010, milioni di ragazzi che avevano perso il lavoro con la crisi del 2008, o che avevano voglia di intraprendere un nuovo stile di vita, viaggiavano in America Latina e nel Sud-est asiatico, lavorando dai propri laptop e formando le prime comunità di nomadi digitali. Fino al 2020, questo gruppo di persone non aveva una grande visibilità. Con la pandemia il loro stile di vita è diventato un grande trend a cui le persone aspirano sempre di più. In Italia, è stato coniato il termine 'smart working' per spiegare la possibilità concessa alle persone di lavorare da casa, a causa delle restrizioni. Ma, di certo, questo non è il futuro. A mio avviso, le ragioni per cui le aziende vogliono tornare alla vecchia normalità sono molteplici: la prima è la mentalità del controllo sul dipendente anziché la fiducia; la seconda è la paura di perdere la cultura del lavoro e dell’unità aziendale; la terza è legata alla necessità di giustificare i grandi investimenti fatti negli uffici. La rivoluzione, però, è già in atto e non può essere arrestata facilmente. I lavoratori hanno avuto un assaggio di libertà e flessibilità che ha portato loro grandi benefici e non sono più disposti a rinunciarvi. Coloro che renderanno il lavoro remoto una nuova e duratura normalità non saranno i datori di lavoro o i governi ma i dipendenti che chiederanno sempre più libertà o, senza pensarci troppo, daranno le dimissioni per cercare più flessibilità in altre aziende. Nei primi del ‘900, molte persone si spostavano con carrozze e cavalli e pensavano che le autovetture fossero solo un trend passeggero… È solo questione di tempo". Quante sono le opportunità lavorative e di crescita personale di cui molte persone si stanno privando proseguendo sulla strada del lavoro da scrivania? "Nomade digitale non è un lavoro ma uno stile di vita. Questo approccio è un vero e proprio strumento di crescita personale. Io sono stato sempre estroverso ed esploratore, ma conosco decine e decine di nomadi digitali che sono partiti timidi dalle loro stanze in città e ora hanno amici ovunque, praticano sport come il surf, il climbing, ballano la salsa, sono sempre a cena con persone di tutto il mondo, insegnano le loro abilità lavorative in eventi e workshops e guadagnano e risparmiano molto di più rispetto a quello che facevano nella loro vecchia vita. Essere nomade digitale oggi è visto come un privilegio, una fortuna. La gente ci vede felici. E la verità è che non importa quanti Paesi si visitano e quante lingue si parlano, essere un nomade digitale è prima di tutto una filosofia. A chi ci legge voglio dire: iniziate dalla vostra città. Se avete la possibilità di lavorare in remoto, non chiudetevi in casa. Uscite, andate in una caffetteria, collegatevi alla wi-fi, fate conoscenze. Potreste incontrare persone che fanno la vostra stessa cosa. Non abbiate paura, uscite dalla vostra comfort zone e lavorate per fare in modo che le opportunità vi trovino".
Ambrosetti ha lanciato una petizione per cambiare il significato della parola "ufficio"

Ambrosetti ha lanciato una petizione per cambiare il significato della parola "ufficio"

Per cambiare le cose serve la politica. Quali misure dovrebbe mettere in atto il governo per fare in modo che quello dell’ufficio fisico si trasformi da regola a eccezione? "Il lavoro remoto non è un beneficio solo per i dipendenti ma anche per le città. Meno traffico, meno inquinamento, meno stress. Immaginate città con moltissimi spazi di lavoro condivisi (coworking), in cui dipendenti di aziende differenti possano incontrarsi, lavorare, collaborare, confrontarsi e fare networking. Nella mia esperienza, ad esempio, avendo contribuito all’espansione di WeWork in tutto il mondo, ho visto come fruitori degli spazi piccoli team di multinazionali che invitavano i dipendenti a recarsi nei coworking affinché potessero risultare più innovativi e ispirati. Il governo potrebbe sicuramente favorire il lavoro remoto attraverso una tassazione differente da applicare alle assunzioni flessibili, per fare in modo che sia i dipendenti che i datori di lavoro possano godere di benefici e collaborare a rendere le città meno trafficate - e dunque meno inquinate - e più sostenibili. La pandemia l’ha dimostrato: il mondo ha ripreso fiato quando eravamo obbligati a non uscire". Il mondo del lavoro sta cambiando, nonostante più di qualche resistenza linguistica e non solo. Resta da capire tra passato e futuro chi vincerà. Per il momento, siamo incastrati in un presente ibrido in cui i nomadi digitali sono fortunati e gli uffici sono sempre più luoghi incapaci di far esplodere l’energia che il nostro Paese potrebbe sprigionare. C’è poi la faccenda (culturale) della responsabilità. Ma questo è un altro discorso.