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Home » Lifestyle » Pink Butterfly: combattere il cancro a colpi di pagaiate. “Tra noi si crea una sorellanza”

Pink Butterfly: combattere il cancro a colpi di pagaiate. “Tra noi si crea una sorellanza”

Ventidue atlete, tutte operate per tumore al seno, che vogano su una barca speciale. Il primo gruppo è nato nel 2003, sul modello canadese, e il prossimo anno festeggerà i 20 anni di lotta

Elsa Toppi
19 Dicembre 2022
Una regata delle Pink Butterfly

Una regata delle Pink Butterfly

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La prima ad arrivare è Edi, il capitano. Controlla che la barca sia in ordine per l’uscita. La pulisce, monta il timone e decide in quale panca le atlete dovranno sedersi. Su questo pittoresco natante, con la testa e la coda di un drago, siedono le Pink Butterfly, 22 atlete, tutte operate di cancro al seno. Donne di età differenti, ognuna con la propria storia clinica e umana. Questa squadra è figlia di un progetto che nasce in Canada, nel 1996, grazie agli studi del dottor Don McKenzie che scoprì i benefici di questo sport per le donne operate al seno. A seguito di quell’esperienza canadese, Orlanda Cappelli, pagaiatrice di Dragon Boat, fondò a Roma, nel 2003, questo primo gruppo italiano. Ora ce ne sono diversi in tutta Italia.

Le donne di Pink Butterfly sono tutte operate per cancro al seno

Tra le fila delle Pink ci sono ancora alcune tra quelle che salirono in barca 20 anni fa, come Barbara o Maria, che compirà 80 anni il prossimo anno. Vania invece, 35 anni, è l’ultima arrivata. La diagnosi di cancro a 31 anni grazie ad un esame di controllo fatto nel periodo in cui cercava una gravidanza. “Ho reagito quasi subito – racconta -. Ero troppo focalizzata sul desiderio di diventare mamma e quello era un incidente di percorso che dovevo risolvere prima possibile per attuare il mio progetto di maternità”. Quando sono tutte insieme sul dragone la gioia e l’entusiasmo è alle stelle. Il tamburino, coordinandosi con il timoniere, scandisce il tempo della pagaiata. Una sorta di incitamento. Ci vuole energia per smuovere una imbarcazione del genere, lunga 13 metri e che pesa 250 chili. Un’ora di allenamento sul lago è un tempo infinito. Una boccata d’aria in cui godersi gli odori e i colori delle stagioni. Dove lasciarsi alle spalle la chemio, i follow up, la paura delle recidive. “Tante volte ci fermiamo in mezzo al lago per goderci il momento – racconta Mariagrazia Punzo, presidentessa dell’associazione Pagaie Rosa di cui fa parte il team Pink Butterfly -. Della malattia non si parla mai quando siamo in allenamento”.

Stare in barca tutte insieme significa avere un unico respiro, un unico cuore che batte. E l’attenzione per ognuna deve essere massima. “Se viene una donna che sta facendo radioterapia ed ha la pelle ipersensibile al seno in barca non la facciamo salire” spiega il capitano. Mariagrazia pagaia e ogni tanto si alterna al timone. Quando ha scoperto di avere il cancro aveva 39 anni. Per due anni ha fatto finta di niente “in una famiglia come la mia con più casi di lutti per tumore ci si sente una condannata a morte ” racconta. Per lei il percorso di accettazione comincia qualche anno dopo con un coming out. “Nel 2008 mi hanno invitata a partecipare ad un evento in cui si parlava di prevenzione e mi hanno dato una maglietta rosa con su scritto Pink Butterfly. Quando siamo state nominate durante il convegno e ci siamo alzate con indosso questa maglietta per me è stato uno shock. Quella era la mia prima dichiarazione pubblica di avere avuto un cancro”. Una dichiarazione agli altri e soprattutto a se stessa. Evelina invece quando si è ammalata aveva 27 anni. “A quell’età ti aspetti tutto tranne questo – racconta – . Quando scopri di avere il cancro è come se il cervello si impostasse in una modalità di distacco. Ti focalizzi sulle cose da fare. L’urgenza è tale che non hai tempo per riflettere”. Per lei la presa di coscienza reale arriva finito tutto il percorso. “La mia oncologa mi ha dato appuntamento dopo 3 mesi. Un tempo che mi sembrava infinito”. Un tempo impiegato a realizzare in solitudine. A distanza di dieci anni da quella esperienza Evelina è riuscita ad adottare un bimbo. “L’adozione è un amore incondizionato al cento per cento, e al contempo ti mette di fronte a delle realtà impegnative. Ma io avevo vissuto l’esperienza della malattia, e avevo acquisito coscienza di me, dei miei limiti e delle mie potenzialità”.

Tra le donne e i loro familiari si crea una comunità allargata che si supporta

Quella delle pagaie rosa è una comunità allargata e coinvolge anche figli e mariti. Sono loro i più accaniti sostenitori di queste atlete che negli anni hanno vinto gare nazionali e internazionali. Il dragone è ormeggiato al lago di Castel Gandolfo ma loro lo seguono ovunque nelle sue trasferte. Il fatto di esser tutte donne fa la differenza, si crea uno stato di sorellanza che supporta anche nei momenti difficili . “Noi donne siamo abituate poco a darci valore l’una con l’altra – spiega Mariagrazia -. Invece quello viene fuori è che ognuno è importante per quello che è. Ognuno porta un suo talento. Ognuna lo mette a servizio della squadra”. Il prossimo anno le Pink Butterfly compiranno 20 anni. In questi anni ci sono stati momenti bellissimi e altri più difficili. Chi non c’è più viene ricordato con la cerimonia dei fiori. In cui dopo un minuto di silenzio ognuna lancia un fiore in aria per ricordare chi non c’è più. Poi con un grido di liberazione queste ventidue atlete riprendono le loro pagaie in mano così come hanno ripreso in mano le loro vite: con l’energia di chi la sua gara più importante l’ha vinta già.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
La prima ad arrivare è Edi, il capitano. Controlla che la barca sia in ordine per l’uscita. La pulisce, monta il timone e decide in quale panca le atlete dovranno sedersi. Su questo pittoresco natante, con la testa e la coda di un drago, siedono le Pink Butterfly, 22 atlete, tutte operate di cancro al seno. Donne di età differenti, ognuna con la propria storia clinica e umana. Questa squadra è figlia di un progetto che nasce in Canada, nel 1996, grazie agli studi del dottor Don McKenzie che scoprì i benefici di questo sport per le donne operate al seno. A seguito di quell’esperienza canadese, Orlanda Cappelli, pagaiatrice di Dragon Boat, fondò a Roma, nel 2003, questo primo gruppo italiano. Ora ce ne sono diversi in tutta Italia.
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Tra le fila delle Pink ci sono ancora alcune tra quelle che salirono in barca 20 anni fa, come Barbara o Maria, che compirà 80 anni il prossimo anno. Vania invece, 35 anni, è l’ultima arrivata. La diagnosi di cancro a 31 anni grazie ad un esame di controllo fatto nel periodo in cui cercava una gravidanza. "Ho reagito quasi subito - racconta -. Ero troppo focalizzata sul desiderio di diventare mamma e quello era un incidente di percorso che dovevo risolvere prima possibile per attuare il mio progetto di maternità”. Quando sono tutte insieme sul dragone la gioia e l’entusiasmo è alle stelle. Il tamburino, coordinandosi con il timoniere, scandisce il tempo della pagaiata. Una sorta di incitamento. Ci vuole energia per smuovere una imbarcazione del genere, lunga 13 metri e che pesa 250 chili. Un’ora di allenamento sul lago è un tempo infinito. Una boccata d’aria in cui godersi gli odori e i colori delle stagioni. Dove lasciarsi alle spalle la chemio, i follow up, la paura delle recidive. “Tante volte ci fermiamo in mezzo al lago per goderci il momento - racconta Mariagrazia Punzo, presidentessa dell’associazione Pagaie Rosa di cui fa parte il team Pink Butterfly -. Della malattia non si parla mai quando siamo in allenamento”. Stare in barca tutte insieme significa avere un unico respiro, un unico cuore che batte. E l’attenzione per ognuna deve essere massima. "Se viene una donna che sta facendo radioterapia ed ha la pelle ipersensibile al seno in barca non la facciamo salire" spiega il capitano. Mariagrazia pagaia e ogni tanto si alterna al timone. Quando ha scoperto di avere il cancro aveva 39 anni. Per due anni ha fatto finta di niente “in una famiglia come la mia con più casi di lutti per tumore ci si sente una condannata a morte ” racconta. Per lei il percorso di accettazione comincia qualche anno dopo con un coming out. "Nel 2008 mi hanno invitata a partecipare ad un evento in cui si parlava di prevenzione e mi hanno dato una maglietta rosa con su scritto Pink Butterfly. Quando siamo state nominate durante il convegno e ci siamo alzate con indosso questa maglietta per me è stato uno shock. Quella era la mia prima dichiarazione pubblica di avere avuto un cancro". Una dichiarazione agli altri e soprattutto a se stessa. Evelina invece quando si è ammalata aveva 27 anni. "A quell’età ti aspetti tutto tranne questo – racconta - . Quando scopri di avere il cancro è come se il cervello si impostasse in una modalità di distacco. Ti focalizzi sulle cose da fare. L’urgenza è tale che non hai tempo per riflettere”. Per lei la presa di coscienza reale arriva finito tutto il percorso. “La mia oncologa mi ha dato appuntamento dopo 3 mesi. Un tempo che mi sembrava infinito”. Un tempo impiegato a realizzare in solitudine. A distanza di dieci anni da quella esperienza Evelina è riuscita ad adottare un bimbo. "L’adozione è un amore incondizionato al cento per cento, e al contempo ti mette di fronte a delle realtà impegnative. Ma io avevo vissuto l’esperienza della malattia, e avevo acquisito coscienza di me, dei miei limiti e delle mie potenzialità".
Tra le donne e i loro familiari si crea una comunità allargata che si supporta
Quella delle pagaie rosa è una comunità allargata e coinvolge anche figli e mariti. Sono loro i più accaniti sostenitori di queste atlete che negli anni hanno vinto gare nazionali e internazionali. Il dragone è ormeggiato al lago di Castel Gandolfo ma loro lo seguono ovunque nelle sue trasferte. Il fatto di esser tutte donne fa la differenza, si crea uno stato di sorellanza che supporta anche nei momenti difficili . "Noi donne siamo abituate poco a darci valore l’una con l’altra – spiega Mariagrazia -. Invece quello viene fuori è che ognuno è importante per quello che è. Ognuno porta un suo talento. Ognuna lo mette a servizio della squadra". Il prossimo anno le Pink Butterfly compiranno 20 anni. In questi anni ci sono stati momenti bellissimi e altri più difficili. Chi non c’è più viene ricordato con la cerimonia dei fiori. In cui dopo un minuto di silenzio ognuna lancia un fiore in aria per ricordare chi non c’è più. Poi con un grido di liberazione queste ventidue atlete riprendono le loro pagaie in mano così come hanno ripreso in mano le loro vite: con l’energia di chi la sua gara più importante l’ha vinta già.
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