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Home » Lifestyle » Più forti della pandemia: così i millennial si riprenderanno il futuro

Più forti della pandemia: così i millennial si riprenderanno il futuro

Per colpa del Covid hanno buttato all'aria sogni, progetti e certezze. Hanno interrotto stage, percorsi di formazione, carriere. Oggi in Italia un giovane su tre non lavora, il tasso di disoccupazione nella fascia 24-35 anni è quasi triplo rispetto alla fascia 50-64, mentre secondo l'Istat a dicembre 2020 la disoccupazione giovanile è tornata a sfiorare il 30%, con un aumento di 1,3 punti rispetto al dicembre 2019. Ma invertire la tendenza si può: abbiamo raccolto le voci di chi ha perso tutto, però non ha mollato, e si è reinventato la vita. Da zero. Queste sono le loro storie

L. Bartoletti, R. Conte, L. Criscitiello, M. Grazi, M. Piccini
12 Aprile 2021
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La musica oggi si impara e si insegna (anche) a distanza: Milena Paris, 33 anni, Bergamo

 

La sua voce intensa non è stata spenta dalla pandemia. Certo, i mesi del Covid sono durissimi per chi, come lei, ha fatto della vocazione artistica un mestiere. “Nel 2020 ho potuto fare circa cinque concerti, non di più. Ho capito presto che l’unico modo per rimanere integri come esseri umani era focalizzarsi sul proprio scopo, cercare una motivazione maggiore”. Milena Paris ha 33 anni, è una bergamasca trapiantata a Milano. La musica è la sua vita, da sempre: “Canto da quando ho memoria. Prima cantavo per me, poi ho capito che alla mia passione dovevo dare una forma, una struttura più definita”.

Milena ha trasformato la passione in uno studio prima e in un lavoro poi da quando ha 13 anni. “Ero alle medie, e ho iniziato a prendere lezioni di chitarra e di canto. Qualche tempo dopo mi sono affinata grazie alla guida della soprano Maria Beatrice Sinigaglia, e infine sono approdata al conservatorio di Milano, dove ho studiato canto jazz“. Il mondo dell’arte è faticoso, ma a poco a poco iniziano ad arrivare le prime soddisfazioni: negli anni ha prestato la voce per sigle tv e spot, colonne sonore, collaborazioni in studio come corista, concerti con orchestra e brassband jazz.

La musica è studio e fatica, e poi ambizione, forza, dedizione. Ma quando ci si mette di mezzo la pandemia anche i sogni più tenaci sono costretti a interrompersi, e Milena ha iniziato a insegnare musica. Ovviamente a distanza, per rispettare le regole anti contagio. Anche dai grandi cambiamenti ha però saputo trarre qualcosa di buono: “Non poter suonare dal vivo mi ha portato a produrre la mia musica. Mi sento di dire che la pandemia mi ha tolto tanto, ci sta togliendo tanto, ma se si è capaci di guardare a ciò che può offrirci se ne può ricavare qualcosa. In primis il tempo: tempo da dedicare a un progetto che sia importante per noi, come nel mio caso la produzione di un EP che spero di pubblicare entro fine anno”.

E poi ha ricominciato a studiare: “Nonostante stia già lavorando come insegnante di canto e di musica, sto continuando a formarmi: sono all’ultimo anno di Biennio al Conservatorio Verdi di Milano. Provo un grande rispetto per l’arte in generale e mi auguro che gli artisti in questo periodo non cedano. Le persone hanno bisogno di esprimersi e di parlare delle cose del mondo e hanno bisogno di artisti coraggiosi che siano in grado di dipingere il momento storico e di portare valore attraverso la loro visione”.

 

L’ingegnere al servizio dei rifugiati in Kenya: Duccio Baldi, 26 anni, Firenze

 

Ha 26 anni, lavora con la Commissione europea per un progetto di elettrificazione di 300 campi profughi in Africa e tra alcuni mesi pubblicherà un dataset sui bisogni dei rifugiati. Fiorentino doc, Duccio Baldi non si è dato per vinto, anche quando tutto sembrava perduto per colpa della pandemia: si è rimboccato le maniche e si è rimesso in gioco.

Dopo la laurea in ingegneria energetica al Politecnico di Torino e grazie a un master in Energy Science alla Utrecht University in Olanda, aveva iniziato a lavorare come tirocinante a Nairobi, in Kenya, per il governo tedesco in collaborazione con il governo keniota per l’elettrificazione dei campi profughi. Dopo il periodo di stage è arrivata l’offerta di un contratto da consulente che lo avrebbe accompagnato fino all’inizio di un incarico per un progetto della durata di tre anni.

“A maggio 2020, subito dopo il lockdown a Nairobi, il mio contratto non è stato rinnovato: con la pandemia tutte le posizioni internazionali sono state chiuse. Sono stati mesi bruttissimi, di punto in bianco i miei progetti e le mie speranze sono andati in fumo“.

Duccio però non si è arreso.  “Mi ci è voluto un po’ per riprendermi però non potevo arrendermi. Non potevo buttare all’aria tutti gli anni di ricerca e, soprattutto, non potevo lasciare soli i rifugiati: ho visto come vivono. Mi sono rimesso in gioco e a settembre ho trovato un contratto con un centro di ricerca della Commissione europea per continuare il mio studio sul processo di elettrificazione dei campi profughi e per completare la mia tesi sostenuta anche dall’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite“.

Duccio oggi sta portando avanti il lavoro con la Commissione europea e tra alcuni mesi pubblicherà un dataset comprensivo dei bisogni dei rifugiati, il primo di questo tipo. “Sono felice, spero con i miei studi di poter creare qualcosa di utile per tutte quelle persone che oggi vivono senza nemmeno la luce”.

 

L’operatrice turistica nelle città deserte. Oggi vuole diventare wedding planner: Elisa Recchioni, 35 anni, Terni

 

“Mi sento di guardare al futuro con fiducia: i progetti che avevo prima hanno preso forme diverse, ma non ho messo in stand by la mia vita in attesa di un ritorno alla normalità”, dice Elisa: un Erasmus in Francia, poi la laurea all’Università per Stranieri di Perugia in Sistemi di comunicazione per le relazioni internazionali.

“Dopo la tesi ho seguito un master in management del turismo lavorando come addetta alle prenotazioni per un tour operator a Terni. Il sogno? Aprire un giorno un’attività tutta mia di promozione turistica dell’Umbria, che ha tante realtà interessanti ma poco conosciute e valorizzate rispetto, ad esempio, alla Toscana”.

La pandemia blocca tutto. E allora Elisa, dopo un iniziale smarrimento, decide di ricominciare da un progetto tenuto nel cassetto da tempo: diventare wedding planner. Riprende a formarsi, iniziando da un corso della Camera di Commercio della Marche su come diventare imprenditori di se stessi.

“Abbattersi non fa per me, noi nati tra gli anni ’80 e ’90 abbiamo la pelle dura, siamo abituati alle difficoltà”.

 

La commessa convertita all’e-commerce: Martina Fè, 27 anni, Montepulciano (Siena)

 

“No, il Covid non mi ha cambiato, anzi la mia voglia di ripartire è grande. Voglio imparare sempre di più e chissà, magari tra qualche anno aprire una mia attività”. Martina Fè ha 27 anni, nel 2016 si laurea in Mediazione linguistica con una tesi sulla figura del mediatore in ambito calcistico, perché il suo cuore è giallorosso fin dalla nascita e la Roma il suo unico credo. “Grazie al lockdown, almeno, ho potuto coltivare l’amore per il calcio. Quattro giorni a settimana almeno le partite mi tenevano compagnia a casa” scherza.

Dopo la laurea triennale inizia a lavorare; una passione che ha sempre avuto è quella per il commercio: “Sono una persona empatica, mi piace instaurare un rapporto coi clienti. In quest’ultimo anno è quello che mi è più mancato, stare a distanza e avere la mascherina ha reso tutto più difficile“. Nel 2018 entra nel team di un negozio di oggettistica a Montepulciano (Siena), con un contratto di apprendistato. Il passaggio al tempo determinato però, arriva in un momento a dir poco sfortunato: marzo 2020. “È stata la parte più tragica. Da marzo ero a casa, senza stipendio, senza lavoro. Non sapevo se quel contratto tanto sperato sarebbe arrivato finito il lockdown”.

Ma a fine maggio arriva la tanto desiderata chiamata da parte del titolare: assunzione a tempo determinato alle stesse condizioni pattuite in precedenza. “Ho lavorato tutta l’estate, grazie ai tanti turisti che sono arrivati. La mia felicità più grande era tornare ad avere contatti con le persone. Cos’è cambiato? Prima odiavo lavorare nel weekend, negli scorsi mesi invece sarei stata in negozio giorno e notte“.

A novembre però arriva la nuova chiusura. “Sono l’unica responsabile dell’ e-commerce del negozio: questo mi ha permesso di lavorare in smart working per il primo periodo: il digitale può dare un impulso fortissimo al commercio, anche in settori che tradizionalmente non sembravano tagliati per gli acquisti online. Ma la pandemia ha cambiato tutto. Il futuro? Benissimo il digitale, ma io aspetto con trepidazione di rientrare nel mio amato negozio fisicamente. Il Covid ci ha indebolito, senza dubbio. Ma rimango un’inguaribile ottimista. Ne usciremo sicuramente più forti”.

 

Il cantante coi teatri vuoti: Danilo Ruggero, 29 anni, Pantelleria (Trapani)

 

Danilo Ruggero è un cantautore nato a Pantelleria, un’isola bellissima e difficile da capire ma che riesce a portarsi dietro ovunque vada. Prima a Roma per circa nove anni per studiare, lavorare e coltivare in sordina il sogno di fare il musicista. Infine a Milano dove è arrivato per amore e dove attualmente cerca di continuare quello che aveva lasciato a metà, in una capitale che aveva abbandonato per tornare giù nella sua Sicilia.

“Compongo fin dai tempi della scuola. Racconto tutto quello che mi sta intorno sia in dialetto siciliano che in italiano. Nei miei testi parlo di me, dei disagi di nascere in una piccola isola, di lavoro precario, di mafie e di una generazione come la mia, costretta ad allontanarsi da casa per vivere dignitosamente“.

Danilo a Roma, nel 2018, incide il suo primo disco e viaggia con la sua band in giro per tutta l’Italia, per circa un anno. Nel frattempo continua a fare lavori precari per mantenersi e per continuare i suoi studi. Nell’estate prima del Covid, trasferitosi quasi definitamente a Pantelleria, convinto ormai di rimanere nella sua terra di origine per varie vicissitudini personali e familiari, conosce la ragazza per cui deciderà di trasferirsi a Milano. Dalla terra dei venti ai grattacieli della city pieno di sogni e nuove prospettive. Invece c’è ancora da combattere: la pandemia, i locali e i teatri chiusi, le restrizioni.

“Appena arrivato a Milano ho trovato lavoro come barista. Mi serviva per mantenermi mentre continuavo a comporre, in attesa di ricominciare a suonare in giro e pubblicare nuove canzoni. Ma la pandemia ha interrotto tutto”. Nemmeno due mesi di lavoro e il bar chiude. A Danilo non rinnovano il contratto. “Gli amici, mia madre e mio fratello distanti, la mia ragazza: se non ho gettato la spugna è grazie anche a loro. Ho continuato a scrivere testi, a sistemare i miei vecchi brani e settembre inizierò un nuovo percorso. La musica purtroppo o per fortuna è l’unica cosa che mi salva dalla confusione di questo secolo banale e da periodo incerto”.

 

Da New York al Molise, la felicità nelle piccole cose: Andrea Nardolillo, 31 anni, Venafro (Isernia)

 

Una laurea in economia sostenuta in inglese, sei mesi a New York per perfezionare gli studi. E poi un tirocinio da un commercialista, in una società di consulenza a Milano. “Le cose non andarono come speravo: non mi rinnovarono il contratto, entrai in crisi e alla fine decisi di tornare nel mio Molise, a Venafro dove sono nato: ho ricominciato da capo“.

Racconta: “All’inizio ho fatto il cameriere in un locale, poi in poco tempo mi sono ritrovato a gestirlo: dall’accoglienza all’organizzazione, è stato entusiasmante. Credevo che il mio futuro fosse quello…“. Ma la pandemia ha rimesso tutto in discussione. E Andrea ha dovuto riprendere in mano i suoi studi, i suoi titoli, la sua laurea.

“Adesso mi sto preparando per sostenere l’esame di consulente finanziario. Sto cercando di farmi trovare pronto per il futuro, per quando usciremo da questo periodo terribile: ritroverò una strada nuova. Cambiare spesso nella vita mi ha insegnato una cosa fondamentale: non avere paura“.

 

L’infermiera dei bambini a bordo della Open Arms: Caterina Volpi, 26 anni, Firenze

“Sono partita nonostante il Covid. Con un po’ di incoscienza? Forse, ma nella mia scala di priorità non ho mai avuto dubbi su quello che volevo fare”. Gli studi e la laurea per diventare infermiera, poi il master in infermieristica pediatrica all’ospedale Meyer. Quindi le esperienze in Africa ed India, prima del campo profughi di Moria, a Lesbo. Oggi Caterina Volpi, 26 anni, fiorentina, ha coronato il suo sogno: per conto di Emergency è impegnata nella fase finale di una missione a bordo della Open Arms, per salvare uomini, donne e bambini in fuga da situazioni devastanti.

“Il Covid sicuramente ha complicato tutto: l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale rende più difficile tutta la missione, sia a livello fisico, perché stiamo ore e ore senza poter andare in bagno né mangiare o bere, ma soprattutto a livello umano. Accogliamo queste persone vestiti da astronauti, i bambini ci guardano come fossimo alieni. Non poter mostrare il sorriso rende difficile mostrare l’umanità alla base del nostro operato. Purtroppo, il coronamento del sogno è coinciso proprio con l’esplosione della pandemia. Cosa dovevo fare? Arrendermi? Rimandare tutto ed aspettare momenti migliori? Che, peraltro, non si sa proprio quando potranno arrivare”.

Certo, non tutto è stato così scontato, almeno nella fase di partenza. “E’ evidente che io stessa ho avuto dubbi. Tutti quelli con cui parlavo avevano sempre la stessa domanda: ma siamo sicuri che questo sia il momento migliore per partire? Però avevo fatto il mio percorso, avevo un traguardo. L’opportunità di lavorare per Emergency si è concretizzata improvvisamente, per quanto fortemente voluta. Così come non mai sarei mai aspettata di essere chiamata per una missione così importante dopo appena pochi mesi dall’inizio del mio lavoro. Era il punto di arrivo, quello che avevo sempre voluto fare Dovevo rinunciare al sogno?“.

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  • Passa anche da un semplice tasto la possibilità per una donna, vittima di stalking, di salvarsi da chi vuole farle del male. Il tasto di uno smartwatch che, una volta premuto, lancia un’immediata richiesta di aiuto alle forze di polizia. E grazie a questo orologio, Marta (il nome è di fantasia) potrà ora vedere la sua vita cambiata in meglio. La donna aveva smesso di vivere, a causa della relazione asfissiante e malata con il suo ex marito violento che aveva promesso di sfregiarla con l’acido e poi ucciderla e seppelire il suo corpo in un terreno. Ma venerdì scorso a Marta è stato consegnato il primo di 45 smartwatch che saranno distribuiti ad altrettante vittime. L’orologio è collegato con la centrale operativa del comando provinciale dei carabinieri di Napoli: appena arriva l’Sos, la vittima viene geolocalizzata e arrivano i soccorsi.

E così Marta ha ripreso la sua vita interrotta per paura dell’ex e delle sue minacce. «Posso uscire più serena e tranquilla dopo mesi e mesi trascorsi rintanata in casa. Grazie a questo orologio mi sento protetta. È vero, devo rinunciare alla mia privacy, ma è un prezzo che sono disposta a pagare.»

Lo scorso 30 novembre i carabinieri del Comando provinciale di Napoli, la sezione fasce deboli della Procura partenopea coordinata dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone, la Fondazione Vodafone Italia e la Soroptimist international club Napoli hanno annunciato l’avvio del progetto pilota "Mobile Angel", che prevede, appunto, la consegna di questo orologio salvavita alle vittime di maltrattamenti. Il progetto è stato esteso anche alle città di Milano e Torino. Lo smartwatch affidato a Marta è il primo nel Sud Italia. Il mobile angel, spiegano i Carabinieri, rientra in un progetto ad ampio respiro che ha come punto focale le vittime di violenza. Un contesto di tutela all’interno del quale è stata istituita anche la "stanza tutta per sé", un ambiente dove chi ha subìto vessazioni può sentirsi a suo agio nel raccontare il proprio vissuto. 

#lucenews #lucelanazione #mobileangel #napoli
  • Se nei giorni scorsi l’assessore al Welfare del Comune di Napoli, papà single di Alba, bambina affetta da Sindrome di Down, aveva ri-scritto pubblicamente alla premier Giorgia Meloni per avere un confronto sull’idea di famiglia e sul tema delle adozioni, stavolta commenta quanto sta accadendo in Italia in relazione ai diritti dei figli delle famiglie arcobaleno. 

Ricordiamo, infatti, che lo scorso 12 marzo il Governo ha ordinato, in merito ad una richiesta pervenuta al Comune di Milano di una coppia dello stesso sesso, lo stop a procedere alla registrazione del loro figlio appena nato e impedendo, di fatto, la creazione di una famiglia omogenitoriale. Il veto della destra compatta boccia il certificato europeo di filiazione che propone agli Stati membri di garantire ai genitori residenti in Unione Europea il diritto ad essere riconosciuti come madri e padri dei propri figli nello stesso modo in tutti i Paesi Ue.

“In tutta Europa i figli di coppie gay avranno il riconoscimento degli stessi diritti degli altri bambini. In Italia il Senato, trascinato da Fratelli d’Italia, fortemente contrario, ha appena bocciato la proposta – dice Trapanese in un lungo post sulla sua pagina Instagram -. Quindi, i figli delle coppie omosessuali non sono, per il nostro Paese, figli come gli altri. Questo hanno deciso e detto chiaramente”. Così facendo, “resteranno bambini privi di tutele complete, i cui genitori dovranno affrontare battaglie giudiziarie, sfiniti da tempi lunghissimi, solo perché il loro bimbo venga considerato semplicemente un figlio”. 

Trapanese attacca chiaramente questa decisione: “L’Italia è l’unico paese europeo con un governo che lavora per togliere diritti invece che per aggiungerli. Se la prende con bambini che esistono e vivono la loro quotidianità serenamente in famiglie piene d’amore, desiderati sopra ogni cosa, ma considerati in Italia figli di un dio minore”. Per Trapanese “stiamo continuando a parlare di ciò che dovrebbe essere semplicemente attuato. I diritti non si discutono, si riconoscono e basta. Ma come fate a non rendervene conto?”.

#lucenews #diritti #coppieomogenitoriali
  • Il nuovo progetto presentato dal governatore Viktor Laiskodat a Kupang, in Indonesia, prevede l’entrata degli alunni a scuola alle 5.30 del mattino. Secondo l’alto funzionario il provvedimento servirebbe per rafforzare la disciplina dei bambini.

Solitamente nelle scuole del Paese le lezioni iniziavano tra le 7 e le 8 del mattino: anticipando l’orario d’ingresso i bambini sono apparsi esausti quando tornano a casa. La madre di una 16enne, infatti, è molto preoccupata da questa nuova iniziativa: “È estremamente difficile, ora devono uscire di casa mentre è ancora buio pesto. Non posso accettarlo. La loro sicurezza non è garantita quando è ancora notte. Inoltre mia figlia, ogni volta che arriva a casa, è esausta e si addormenta immediatamente.”

Sulla vicenda è intervenuto anche Marsel Robot, esperto di istruzione dell’Università di Nusa Cendana, che ha spiegato come a lungo termine la privazione del sonno potrebbe mettere in pericolo la salute degli studenti e causare un cambiamento nei loro comportamenti: “Non c’è alcuna correlazione con lo sforzo per migliorare la qualità dell’istruzione. Gli studenti dormiranno solo per poche ore e questo è un grave rischio per la loro salute. Inoltre, questo causerà loro stress e sfogheranno la loro tensione in attività magari incontrollabili”. Anche il Ministero per l’emancipazione delle donne e la Commissione indonesiana per la protezione dei minori hanno espresso richieste di revisione della politica. Il cambiamento delle regole di Kupang è stato anche contestato dai legislatori locali, che hanno chiesto al governo di annullare quella che hanno definito una politica infondata.

Tuttavia il governo centrale ha mantenuto il suo esperimento rincarando la dose ed estendendolo anche all’agenzia di istruzione locale, dove anche i dipendenti pubblici ora inizieranno la loro giornata alle 5.30 del mattino.

#lucenews #lucelanazione #indonesia #scuola
  • Quante ore dormi? È difficile addormentarsi? Ti svegli al minimo rumore o al mattino rimandi tutte le sveglie per dormire un po’ di più? Soffri d’insonnia?

Sono circa 13,4 milioni gli italiani che soffrono di insonnia, secondo le ultime rilevazioni di Aims - l

La musica oggi si impara e si insegna (anche) a distanza: Milena Paris, 33 anni, Bergamo

  La sua voce intensa non è stata spenta dalla pandemia. Certo, i mesi del Covid sono durissimi per chi, come lei, ha fatto della vocazione artistica un mestiere. "Nel 2020 ho potuto fare circa cinque concerti, non di più. Ho capito presto che l’unico modo per rimanere integri come esseri umani era focalizzarsi sul proprio scopo, cercare una motivazione maggiore". Milena Paris ha 33 anni, è una bergamasca trapiantata a Milano. La musica è la sua vita, da sempre: "Canto da quando ho memoria. Prima cantavo per me, poi ho capito che alla mia passione dovevo dare una forma, una struttura più definita". Milena ha trasformato la passione in uno studio prima e in un lavoro poi da quando ha 13 anni. "Ero alle medie, e ho iniziato a prendere lezioni di chitarra e di canto. Qualche tempo dopo mi sono affinata grazie alla guida della soprano Maria Beatrice Sinigaglia, e infine sono approdata al conservatorio di Milano, dove ho studiato canto jazz". Il mondo dell'arte è faticoso, ma a poco a poco iniziano ad arrivare le prime soddisfazioni: negli anni ha prestato la voce per sigle tv e spot, colonne sonore, collaborazioni in studio come corista, concerti con orchestra e brassband jazz. La musica è studio e fatica, e poi ambizione, forza, dedizione. Ma quando ci si mette di mezzo la pandemia anche i sogni più tenaci sono costretti a interrompersi, e Milena ha iniziato a insegnare musica. Ovviamente a distanza, per rispettare le regole anti contagio. Anche dai grandi cambiamenti ha però saputo trarre qualcosa di buono: "Non poter suonare dal vivo mi ha portato a produrre la mia musica. Mi sento di dire che la pandemia mi ha tolto tanto, ci sta togliendo tanto, ma se si è capaci di guardare a ciò che può offrirci se ne può ricavare qualcosa. In primis il tempo: tempo da dedicare a un progetto che sia importante per noi, come nel mio caso la produzione di un EP che spero di pubblicare entro fine anno". E poi ha ricominciato a studiare: "Nonostante stia già lavorando come insegnante di canto e di musica, sto continuando a formarmi: sono all’ultimo anno di Biennio al Conservatorio Verdi di Milano. Provo un grande rispetto per l’arte in generale e mi auguro che gli artisti in questo periodo non cedano. Le persone hanno bisogno di esprimersi e di parlare delle cose del mondo e hanno bisogno di artisti coraggiosi che siano in grado di dipingere il momento storico e di portare valore attraverso la loro visione".  

L'ingegnere al servizio dei rifugiati in Kenya: Duccio Baldi, 26 anni, Firenze

  Ha 26 anni, lavora con la Commissione europea per un progetto di elettrificazione di 300 campi profughi in Africa e tra alcuni mesi pubblicherà un dataset sui bisogni dei rifugiati. Fiorentino doc, Duccio Baldi non si è dato per vinto, anche quando tutto sembrava perduto per colpa della pandemia: si è rimboccato le maniche e si è rimesso in gioco. Dopo la laurea in ingegneria energetica al Politecnico di Torino e grazie a un master in Energy Science alla Utrecht University in Olanda, aveva iniziato a lavorare come tirocinante a Nairobi, in Kenya, per il governo tedesco in collaborazione con il governo keniota per l'elettrificazione dei campi profughi. Dopo il periodo di stage è arrivata l'offerta di un contratto da consulente che lo avrebbe accompagnato fino all'inizio di un incarico per un progetto della durata di tre anni. "A maggio 2020, subito dopo il lockdown a Nairobi, il mio contratto non è stato rinnovato: con la pandemia tutte le posizioni internazionali sono state chiuse. Sono stati mesi bruttissimi, di punto in bianco i miei progetti e le mie speranze sono andati in fumo". Duccio però non si è arreso.  "Mi ci è voluto un po' per riprendermi però non potevo arrendermi. Non potevo buttare all'aria tutti gli anni di ricerca e, soprattutto, non potevo lasciare soli i rifugiati: ho visto come vivono. Mi sono rimesso in gioco e a settembre ho trovato un contratto con un centro di ricerca della Commissione europea per continuare il mio studio sul processo di elettrificazione dei campi profughi e per completare la mia tesi sostenuta anche dall’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite". Duccio oggi sta portando avanti il lavoro con la Commissione europea e tra alcuni mesi pubblicherà un dataset comprensivo dei bisogni dei rifugiati, il primo di questo tipo. “Sono felice, spero con i miei studi di poter creare qualcosa di utile per tutte quelle persone che oggi vivono senza nemmeno la luce”.  

L'operatrice turistica nelle città deserte. Oggi vuole diventare wedding planner: Elisa Recchioni, 35 anni, Terni

  "Mi sento di guardare al futuro con fiducia: i progetti che avevo prima hanno preso forme diverse, ma non ho messo in stand by la mia vita in attesa di un ritorno alla normalità", dice Elisa: un Erasmus in Francia, poi la laurea all'Università per Stranieri di Perugia in Sistemi di comunicazione per le relazioni internazionali. "Dopo la tesi ho seguito un master in management del turismo lavorando come addetta alle prenotazioni per un tour operator a Terni. Il sogno? Aprire un giorno un'attività tutta mia di promozione turistica dell'Umbria, che ha tante realtà interessanti ma poco conosciute e valorizzate rispetto, ad esempio, alla Toscana". La pandemia blocca tutto. E allora Elisa, dopo un iniziale smarrimento, decide di ricominciare da un progetto tenuto nel cassetto da tempo: diventare wedding planner. Riprende a formarsi, iniziando da un corso della Camera di Commercio della Marche su come diventare imprenditori di se stessi. "Abbattersi non fa per me, noi nati tra gli anni ’80 e ’90 abbiamo la pelle dura, siamo abituati alle difficoltà".  

La commessa convertita all'e-commerce: Martina Fè, 27 anni, Montepulciano (Siena)

 

"No, il Covid non mi ha cambiato, anzi la mia voglia di ripartire è grande. Voglio imparare sempre di più e chissà, magari tra qualche anno aprire una mia attività". Martina Fè ha 27 anni, nel 2016 si laurea in Mediazione linguistica con una tesi sulla figura del mediatore in ambito calcistico, perché il suo cuore è giallorosso fin dalla nascita e la Roma il suo unico credo. "Grazie al lockdown, almeno, ho potuto coltivare l’amore per il calcio. Quattro giorni a settimana almeno le partite mi tenevano compagnia a casa" scherza.

Dopo la laurea triennale inizia a lavorare; una passione che ha sempre avuto è quella per il commercio: "Sono una persona empatica, mi piace instaurare un rapporto coi clienti. In quest’ultimo anno è quello che mi è più mancato, stare a distanza e avere la mascherina ha reso tutto più difficile". Nel 2018 entra nel team di un negozio di oggettistica a Montepulciano (Siena), con un contratto di apprendistato. Il passaggio al tempo determinato però, arriva in un momento a dir poco sfortunato: marzo 2020. "È stata la parte più tragica. Da marzo ero a casa, senza stipendio, senza lavoro. Non sapevo se quel contratto tanto sperato sarebbe arrivato finito il lockdown".

Ma a fine maggio arriva la tanto desiderata chiamata da parte del titolare: assunzione a tempo determinato alle stesse condizioni pattuite in precedenza. "Ho lavorato tutta l’estate, grazie ai tanti turisti che sono arrivati. La mia felicità più grande era tornare ad avere contatti con le persone. Cos’è cambiato? Prima odiavo lavorare nel weekend, negli scorsi mesi invece sarei stata in negozio giorno e notte".

A novembre però arriva la nuova chiusura. "Sono l’unica responsabile dell’ e-commerce del negozio: questo mi ha permesso di lavorare in smart working per il primo periodo: il digitale può dare un impulso fortissimo al commercio, anche in settori che tradizionalmente non sembravano tagliati per gli acquisti online. Ma la pandemia ha cambiato tutto. Il futuro? Benissimo il digitale, ma io aspetto con trepidazione di rientrare nel mio amato negozio fisicamente. Il Covid ci ha indebolito, senza dubbio. Ma rimango un’inguaribile ottimista. Ne usciremo sicuramente più forti".

 

Il cantante coi teatri vuoti: Danilo Ruggero, 29 anni, Pantelleria (Trapani)

  Danilo Ruggero è un cantautore nato a Pantelleria, un’isola bellissima e difficile da capire ma che riesce a portarsi dietro ovunque vada. Prima a Roma per circa nove anni per studiare, lavorare e coltivare in sordina il sogno di fare il musicista. Infine a Milano dove è arrivato per amore e dove attualmente cerca di continuare quello che aveva lasciato a metà, in una capitale che aveva abbandonato per tornare giù nella sua Sicilia. "Compongo fin dai tempi della scuola. Racconto tutto quello che mi sta intorno sia in dialetto siciliano che in italiano. Nei miei testi parlo di me, dei disagi di nascere in una piccola isola, di lavoro precario, di mafie e di una generazione come la mia, costretta ad allontanarsi da casa per vivere dignitosamente". Danilo a Roma, nel 2018, incide il suo primo disco e viaggia con la sua band in giro per tutta l’Italia, per circa un anno. Nel frattempo continua a fare lavori precari per mantenersi e per continuare i suoi studi. Nell’estate prima del Covid, trasferitosi quasi definitamente a Pantelleria, convinto ormai di rimanere nella sua terra di origine per varie vicissitudini personali e familiari, conosce la ragazza per cui deciderà di trasferirsi a Milano. Dalla terra dei venti ai grattacieli della city pieno di sogni e nuove prospettive. Invece c’è ancora da combattere: la pandemia, i locali e i teatri chiusi, le restrizioni. "Appena arrivato a Milano ho trovato lavoro come barista. Mi serviva per mantenermi mentre continuavo a comporre, in attesa di ricominciare a suonare in giro e pubblicare nuove canzoni. Ma la pandemia ha interrotto tutto". Nemmeno due mesi di lavoro e il bar chiude. A Danilo non rinnovano il contratto. "Gli amici, mia madre e mio fratello distanti, la mia ragazza: se non ho gettato la spugna è grazie anche a loro. Ho continuato a scrivere testi, a sistemare i miei vecchi brani e settembre inizierò un nuovo percorso. La musica purtroppo o per fortuna è l’unica cosa che mi salva dalla confusione di questo secolo banale e da periodo incerto".  

Da New York al Molise, la felicità nelle piccole cose: Andrea Nardolillo, 31 anni, Venafro (Isernia)

  Una laurea in economia sostenuta in inglese, sei mesi a New York per perfezionare gli studi. E poi un tirocinio da un commercialista, in una società di consulenza a Milano. "Le cose non andarono come speravo: non mi rinnovarono il contratto, entrai in crisi e alla fine decisi di tornare nel mio Molise, a Venafro dove sono nato: ho ricominciato da capo". Racconta: "All'inizio ho fatto il cameriere in un locale, poi in poco tempo mi sono ritrovato a gestirlo: dall'accoglienza all'organizzazione, è stato entusiasmante. Credevo che il mio futuro fosse quello...". Ma la pandemia ha rimesso tutto in discussione. E Andrea ha dovuto riprendere in mano i suoi studi, i suoi titoli, la sua laurea. "Adesso mi sto preparando per sostenere l'esame di consulente finanziario. Sto cercando di farmi trovare pronto per il futuro, per quando usciremo da questo periodo terribile: ritroverò una strada nuova. Cambiare spesso nella vita mi ha insegnato una cosa fondamentale: non avere paura".  

L'infermiera dei bambini a bordo della Open Arms: Caterina Volpi, 26 anni, Firenze

"Sono partita nonostante il Covid. Con un po' di incoscienza? Forse, ma nella mia scala di priorità non ho mai avuto dubbi su quello che volevo fare". Gli studi e la laurea per diventare infermiera, poi il master in infermieristica pediatrica all'ospedale Meyer. Quindi le esperienze in Africa ed India, prima del campo profughi di Moria, a Lesbo. Oggi Caterina Volpi, 26 anni, fiorentina, ha coronato il suo sogno: per conto di Emergency è impegnata nella fase finale di una missione a bordo della Open Arms, per salvare uomini, donne e bambini in fuga da situazioni devastanti.

"Il Covid sicuramente ha complicato tutto: l'utilizzo dei dispositivi di protezione individuale rende più difficile tutta la missione, sia a livello fisico, perché stiamo ore e ore senza poter andare in bagno né mangiare o bere, ma soprattutto a livello umano. Accogliamo queste persone vestiti da astronauti, i bambini ci guardano come fossimo alieni. Non poter mostrare il sorriso rende difficile mostrare l'umanità alla base del nostro operato. Purtroppo, il coronamento del sogno è coinciso proprio con l’esplosione della pandemia. Cosa dovevo fare? Arrendermi? Rimandare tutto ed aspettare momenti migliori? Che, peraltro, non si sa proprio quando potranno arrivare". Certo, non tutto è stato così scontato, almeno nella fase di partenza. "E’ evidente che io stessa ho avuto dubbi. Tutti quelli con cui parlavo avevano sempre la stessa domanda: ma siamo sicuri che questo sia il momento migliore per partire? Però avevo fatto il mio percorso, avevo un traguardo. L’opportunità di lavorare per Emergency si è concretizzata improvvisamente, per quanto fortemente voluta. Così come non mai sarei mai aspettata di essere chiamata per una missione così importante dopo appena pochi mesi dall’inizio del mio lavoro. Era il punto di arrivo, quello che avevo sempre voluto fare Dovevo rinunciare al sogno?".
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