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Home » Lifestyle » Porpora Marcasciano e “le parole per dire” metamorfosi: il racconto della storia trans italiana

Porpora Marcasciano e “le parole per dire” metamorfosi: il racconto della storia trans italiana

Attivista, consigliere comunale, già presidente del Mit, nei suoi libri ripercorre vissuti e battaglie de* transessuali italian*. A lei è dedicata la mostra "Non sono dove mi cercate" di Michele Bertolino

Luca Scarlini
3 Gennaio 2023
Porpora Marcasciano

Porpora Marcasciano

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La felicità è uno strumento di lotta politica, una necessità basilare di espressione, un folgorante canto di sirena. Porpora (Marcasciano) trae il suo nome da una folgorazione narrativa, quella per il personaggio di Porporino, soprano eunuco che narra una tenebrosa storia di alchimia e manie accaduta nella Napoli settecentesca, nel celebre romanzo omonimo di Dominique Fernandez (1974), su cui aleggia la cupa figura di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero. La sua prosa ha ricostruito felicemente l’esperienza transessuale nella Storia italiana, così a lungo negata e disconosciuta, raccogliendo testimonianze oscurate, ricucendo memorie tralasciate, connettendo fili.
La sua autobiografia (pubblicata in seconda edizione da Alegre nel 2014) ha come titolo Antologaia: vivere sognando e non sognare di vivere. Gli anni ’70 dal luogo natìo in una provincia campana, a Roma, in mille altri luoghi, in un puntuale on the road alla ricerca di incontri, scontri, di affermazioni, dichiarazioni, riconoscimenti. Nel frattempo, nella cronaca frenetica di decenni furibondi, tra persecuzioni e rivendicazioni, Porpora raccoglieva una cronaca segreta, quella di cui dava conto nel bel libro, edito una prima volta da Manifestolibri nel 2002 (da poco riproposto nel 2020 da Alegre), Tra le rose e le viole, in cui narrava per filo e per segno “la storia e le storie di transessuali e travestiti“.

Una giovane Porpora Marcasciano (Instagram)

Come titolava un volume di larga fortuna qualche decennio fa la scrittura di Porpora indaga “le parole per dirlo”, il modo in cui raccontare tutte le implicazioni della metamorfosi. L’introduzione alla recente ripubblicazione di questo volume, spiega la suggestione del titolo. “Tra le rose e le viole è il titolo di una filastrocca di quando andavo all’asilo. Le suore la insegnavano alle bambine che la cantavano facendo il girotondo. Mi piaceva molto. Essendo un maschietto non potevo entrare nel girotondo delle bambine e quando ci riuscivo ero davvero felice. L’incanto veniva rotto dal rimprovero delle suore e dalle urla di scherno degli altri bimbi. Quando tornavo a casa nella mia cameretta giravo in tondo, sognavo e cantavo: Tra le rose e le viole…”. “Ho scelto il motivetto della mia infanzia per farlo diventare il filo conduttore di questo lavoro di ricerca che ricostruisce, attraverso il racconto e le testimonianze dirette, l’esperienza transessuale in Italia, dalla fine degli anni Cinquanta in cui è cominciata a essere visibile, fino a oggi”. Una vicenda di conquiste e di rifiuti, che ora è possibile seguire anche nel film “Favolose” di Roberta Torre (2022), che utilizza un termine centrale nel titolo di un altro libro di Porpora: Favolose narranti, uscito da Manifestolibri nel 2008.

Ora il Museo Mambo di Bologna dedica a Porpora una mostra dal titolo “Non sono dove mi cercate“, a cura di Michele Bertolino. Il collage è in primo luogo tecnica delle opere esposte, di materiali d’epoca (fanzine, fogli di discussione, tessere di appartenenza, lampi di club che non ci sono più), ma anche del sonoro di mille manifestazioni, dibattiti, colloqui, diatribe. Opere che hanno vissuto traslochi, cambiamenti e che spesso, come voleva una suggestione hippy, erano nate per essere vendute per strada, a chi ne apprezzasse la seduzione ruvida, tra sesso e mitologia. Compaiono suggestioni psichedeliche e lampi di notti metropolitane, è evidente una idea di produzione estetica come intervento militante. Già presidente del MIT (Movimento Identità Trans), in passato e nell’attualità deve affrontare una cronaca spesso pesante di discriminazione, ma sempre tenendo come basso continuo l’antica folgorazione di Magenta nel Rocky Horror: “non sono dove mi cercate ma da dove vi guardo ridendo”.

 

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
La felicità è uno strumento di lotta politica, una necessità basilare di espressione, un folgorante canto di sirena. Porpora (Marcasciano) trae il suo nome da una folgorazione narrativa, quella per il personaggio di Porporino, soprano eunuco che narra una tenebrosa storia di alchimia e manie accaduta nella Napoli settecentesca, nel celebre romanzo omonimo di Dominique Fernandez (1974), su cui aleggia la cupa figura di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero. La sua prosa ha ricostruito felicemente l’esperienza transessuale nella Storia italiana, così a lungo negata e disconosciuta, raccogliendo testimonianze oscurate, ricucendo memorie tralasciate, connettendo fili. La sua autobiografia (pubblicata in seconda edizione da Alegre nel 2014) ha come titolo Antologaia: vivere sognando e non sognare di vivere. Gli anni ’70 dal luogo natìo in una provincia campana, a Roma, in mille altri luoghi, in un puntuale on the road alla ricerca di incontri, scontri, di affermazioni, dichiarazioni, riconoscimenti. Nel frattempo, nella cronaca frenetica di decenni furibondi, tra persecuzioni e rivendicazioni, Porpora raccoglieva una cronaca segreta, quella di cui dava conto nel bel libro, edito una prima volta da Manifestolibri nel 2002 (da poco riproposto nel 2020 da Alegre), Tra le rose e le viole, in cui narrava per filo e per segno "la storia e le storie di transessuali e travestiti".
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Come titolava un volume di larga fortuna qualche decennio fa la scrittura di Porpora indaga "le parole per dirlo", il modo in cui raccontare tutte le implicazioni della metamorfosi. L'introduzione alla recente ripubblicazione di questo volume, spiega la suggestione del titolo. “Tra le rose e le viole è il titolo di una filastrocca di quando andavo all’asilo. Le suore la insegnavano alle bambine che la cantavano facendo il girotondo. Mi piaceva molto. Essendo un maschietto non potevo entrare nel girotondo delle bambine e quando ci riuscivo ero davvero felice. L’incanto veniva rotto dal rimprovero delle suore e dalle urla di scherno degli altri bimbi. Quando tornavo a casa nella mia cameretta giravo in tondo, sognavo e cantavo: Tra le rose e le viole...". "Ho scelto il motivetto della mia infanzia per farlo diventare il filo conduttore di questo lavoro di ricerca che ricostruisce, attraverso il racconto e le testimonianze dirette, l’esperienza transessuale in Italia, dalla fine degli anni Cinquanta in cui è cominciata a essere visibile, fino a oggi". Una vicenda di conquiste e di rifiuti, che ora è possibile seguire anche nel film "Favolose" di Roberta Torre (2022), che utilizza un termine centrale nel titolo di un altro libro di Porpora: Favolose narranti, uscito da Manifestolibri nel 2008. Ora il Museo Mambo di Bologna dedica a Porpora una mostra dal titolo "Non sono dove mi cercate", a cura di Michele Bertolino. Il collage è in primo luogo tecnica delle opere esposte, di materiali d’epoca (fanzine, fogli di discussione, tessere di appartenenza, lampi di club che non ci sono più), ma anche del sonoro di mille manifestazioni, dibattiti, colloqui, diatribe. Opere che hanno vissuto traslochi, cambiamenti e che spesso, come voleva una suggestione hippy, erano nate per essere vendute per strada, a chi ne apprezzasse la seduzione ruvida, tra sesso e mitologia. Compaiono suggestioni psichedeliche e lampi di notti metropolitane, è evidente una idea di produzione estetica come intervento militante. Già presidente del MIT (Movimento Identità Trans), in passato e nell’attualità deve affrontare una cronaca spesso pesante di discriminazione, ma sempre tenendo come basso continuo l’antica folgorazione di Magenta nel Rocky Horror: “non sono dove mi cercate ma da dove vi guardo ridendo”.
 
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