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Home » Lifestyle » Tutti pazzi per le “Reborn dolls”: il fenomeno delle bambole che sembrano veri bebè

Tutti pazzi per le “Reborn dolls”: il fenomeno delle bambole che sembrano veri bebè

Bambolotti acquistati da collezionisti ma anche da chi ha perso un figlio o non può averne. Su Real Time un documentario sul tema

Barbara Berti
7 Luglio 2022
Il documentario "Lonely Dolls" sul fenomeno delle "bambole rinate"

Il documentario "Lonely Dolls" sul fenomeno delle "bambole rinate"

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C’era una volta le bambole di porcellana, le più amate dai collezionisti. Oggi al loro posto, ci sono le “reborn dolls“, chiamate anche “bambole rinate”, opere uniche e iperrealistiche, realizzate interamente a mano e in modo accurato da alcuni artisti, noti come “reborners” .

Le bambole sono caratterizzate da pori, saliva, lacrime, vene, capelli, ciglia; quelle più raffinate sono in grado di riprodurre la respirazione e il battito cardiaco propri di un bambino vero, grazie a specifici sistemi elettronici. La maggior parte delle bambole rinate sono costruite in vinile, quelle più realistiche in silicone. Al tatto risultano morbide e profumano di bebè visto che tendenzialmente riproducono un neonato tra i 3 e i 6 mesi. Di frequente hanno un magnete all’interno della bocca, affinché le bambole possano trattenere il biberon e i ciucci. Queste bambole sono tutte diverse tra loro con capelli e occhi diversi, così come trovano di tutte le etnie. Una volta realizzati, i neonati reborn sono disponibili all’adozione, ovvero alla vendita (online o alle fiere). Al fine di simulare un’adozione vera e propria, vengono forniti certificati di “nascita” o “adozione” del “bambino”.

Claudia Vezzali del laboratorio artistico "La culla dei sogni" insieme a un "bebè" (Instagram)"
Claudia Vezzali del laboratorio artistico “La culla dei sogni” insieme a un “bebè” (Instagram)”

Il fenomeno delle “reborn doll” è partito in America negli anni ’90 – e oggi molto diffuso anche in Italia – per una forma di puro collezionismo. Fin dai primi bambolotti prodotti, risalta agli occhi una naturalezza disarmante capace di confondere sulla realtà dei fatti, tanto che, piano piano, i prodotti in questione hanno iniziato ad attirare l’attenzione non più soltanto di collezionisti in cerca di opere d’arte.

Così l’utilizzo di queste bambole è arrivato nel campo della formazione pediatrica per sostenere gli studenti a imparare le abilità pratiche per l’infanzia, nelle case di cura per aiutare a diminuire comportamenti distruttivi nelle persone con demenza, nei corsi preparto e in alcuni lavori nel settore dello spettacolo (in assenza di bimbi veri). Oltre a collezionisti, i possessori delle “reborn doll” sono persone che hanno subito la perdita di un neonato, un aborto spontaneo, non possono adottare dei figli o soffrono della sindrome del nido vuoto. E così migliaia di donne li trattano come figli veri: li portano al parco giochi, cambiano loro i pannolini, fanno loro il bagnetto e sui social si scambiano opinioni su come vestire e acconciarli.

La psicologa svedese Britt-Marie Egedius-Jacobsson, è stata la prima che ha dimostrato come l’utilizzo di bambole, più o meno realistiche, sia utile nel migliorare il benessere delle persone affette da alcune malattie come la demenza senile, l’Alzheimer e alcune patologie psichiatriche caratterizzate da disturbi del comportamento. I dati fanno emergere una diminuzione statisticamente significativa dei livelli di ansia, aggressività, oppositività, insonnia e, al contempo, un miglioramento dei livelli di vivacità/attività e il tutto senza uso di farmaci.

Una delle bambole create dall'artista italiana Jennifer Zanazzi (Instagram)
Una delle bambole create dall’artista italiana Jennifer Zanazzi (Instagram)

Il documentario italiano “Lonely Dolls”

Negli ultimi anni la produzione delle bambole si è molto intensificata, anche in Italia, in conseguenza a un boom di richieste: uno scenario per certi versi sconcertante perché il confine tra ciò che è realtà e ciò che rifugge da essa è assai labile. Un viaggio dentro il mondo di queste bambole lo offre il documentario “Lonely Dolls” diretto da Renato Giugliano e prodotto da “EIE fllm” per Warner Bros. Discovery che arriva in prima tv l’8 luglio alle 20,20 su Real Time (canale 31 del digitale terrestre).

Lonely Dolls
“Lonely Dolls”, un film di Roberto Giugliano

Il docu, sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna, prova a raccontare questo fenomeno che nel mondo coinvolge centinaia di migliaia di persone: collezionisti, esibizionisti, persone sole o in cura psicologica, coppie in crisi, famiglie gay e cosplayers. E’ un viaggio per scoprire cosa spinge una persona o una famiglia a comprare una bambola iper-realistica che al tatto e alla vista può essere confusa con un bambino, spesso un neonato, vero. “Abbiamo scoperto che si tratta di un mondo di contraddizioni e sorprese, ma anche un mondo di artiste, scultrici e creatrici dalla tecnica fine e perfezionata in anni di studio e impegno professionale. Abbiamo quindi deciso di raccontare questo fenomeno immergendoci direttamente nelle vite degli acquirenti di queste bambole e nei laboratori di due tra le più affermate creatrici italiane” racconta il regista Renato Giugliano.

La serie tv “Servant”

Il poster della serie tv "Servant"
Il poster della serie tv “Servant”

Il tema del figlio perduto e l’utilizzo delle “reborn dolls” è affrontato anche nella serie a tinte thriller “Servant“, creata da Tony Basgallop e distribuita su Apple TV+ dal 28 novembre 2019. La trama segue i genitori Dorothy e Sean Turner, stravolti dalla morte del loro bambino Jericho. Per provare a farla uscire dal tunnel del dolore, il marito porta in casa una “bambola reborn“, che realisticamente riproduce le fattezze del figlio. La donna comincia a credere che la bambola sia vera e decide, col marito, di assumere una tata, Leanne, per accudire la bambola. Le vite dei due genitori vite cambieranno per sempre nel momento in cui questa donna metterà piede all’interno della casa. Fra eventi inquietanti e personaggi singolari, la verità verrà presto a galla, aprendo porte del passato che – forse – era meglio lasciar chiuse.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
C'era una volta le bambole di porcellana, le più amate dai collezionisti. Oggi al loro posto, ci sono le "reborn dolls", chiamate anche "bambole rinate", opere uniche e iperrealistiche, realizzate interamente a mano e in modo accurato da alcuni artisti, noti come "reborners" . Le bambole sono caratterizzate da pori, saliva, lacrime, vene, capelli, ciglia; quelle più raffinate sono in grado di riprodurre la respirazione e il battito cardiaco propri di un bambino vero, grazie a specifici sistemi elettronici. La maggior parte delle bambole rinate sono costruite in vinile, quelle più realistiche in silicone. Al tatto risultano morbide e profumano di bebè visto che tendenzialmente riproducono un neonato tra i 3 e i 6 mesi. Di frequente hanno un magnete all’interno della bocca, affinché le bambole possano trattenere il biberon e i ciucci. Queste bambole sono tutte diverse tra loro con capelli e occhi diversi, così come trovano di tutte le etnie. Una volta realizzati, i neonati reborn sono disponibili all’adozione, ovvero alla vendita (online o alle fiere). Al fine di simulare un'adozione vera e propria, vengono forniti certificati di "nascita" o "adozione" del "bambino".
Claudia Vezzali del laboratorio artistico "La culla dei sogni" insieme a un "bebè" (Instagram)"
Claudia Vezzali del laboratorio artistico "La culla dei sogni" insieme a un "bebè" (Instagram)"
Il fenomeno delle "reborn doll" è partito in America negli anni '90 - e oggi molto diffuso anche in Italia - per una forma di puro collezionismo. Fin dai primi bambolotti prodotti, risalta agli occhi una naturalezza disarmante capace di confondere sulla realtà dei fatti, tanto che, piano piano, i prodotti in questione hanno iniziato ad attirare l'attenzione non più soltanto di collezionisti in cerca di opere d’arte. Così l'utilizzo di queste bambole è arrivato nel campo della formazione pediatrica per sostenere gli studenti a imparare le abilità pratiche per l’infanzia, nelle case di cura per aiutare a diminuire comportamenti distruttivi nelle persone con demenza, nei corsi preparto e in alcuni lavori nel settore dello spettacolo (in assenza di bimbi veri). Oltre a collezionisti, i possessori delle "reborn doll" sono persone che hanno subito la perdita di un neonato, un aborto spontaneo, non possono adottare dei figli o soffrono della sindrome del nido vuoto. E così migliaia di donne li trattano come figli veri: li portano al parco giochi, cambiano loro i pannolini, fanno loro il bagnetto e sui social si scambiano opinioni su come vestire e acconciarli. La psicologa svedese Britt-Marie Egedius-Jacobsson, è stata la prima che ha dimostrato come l’utilizzo di bambole, più o meno realistiche, sia utile nel migliorare il benessere delle persone affette da alcune malattie come la demenza senile, l’Alzheimer e alcune patologie psichiatriche caratterizzate da disturbi del comportamento. I dati fanno emergere una diminuzione statisticamente significativa dei livelli di ansia, aggressività, oppositività, insonnia e, al contempo, un miglioramento dei livelli di vivacità/attività e il tutto senza uso di farmaci.
Una delle bambole create dall'artista italiana Jennifer Zanazzi (Instagram)
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Lonely Dolls
"Lonely Dolls", un film di Roberto Giugliano
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La serie tv "Servant"

Il poster della serie tv "Servant"
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Il tema del figlio perduto e l'utilizzo delle "reborn dolls" è affrontato anche nella serie a tinte thriller "Servant", creata da Tony Basgallop e distribuita su Apple TV+ dal 28 novembre 2019. La trama segue i genitori Dorothy e Sean Turner, stravolti dalla morte del loro bambino Jericho. Per provare a farla uscire dal tunnel del dolore, il marito porta in casa una "bambola reborn", che realisticamente riproduce le fattezze del figlio. La donna comincia a credere che la bambola sia vera e decide, col marito, di assumere una tata, Leanne, per accudire la bambola. Le vite dei due genitori vite cambieranno per sempre nel momento in cui questa donna metterà piede all’interno della casa. Fra eventi inquietanti e personaggi singolari, la verità verrà presto a galla, aprendo porte del passato che – forse – era meglio lasciar chiuse.
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