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Home » Lifestyle » La storia di una studentessa afghana: “In Pakistan non c’è futuro ma la mia famiglia è salva”

La storia di una studentessa afghana: “In Pakistan non c’è futuro ma la mia famiglia è salva”

La ragazza e i familiari sono scappati quando la situazione in Afghanistan è peggiorata. Ma per loro la vita in Pakistan è altrettanto difficile: "Non possiamo tornare nel nostro Paese ma non possiamo continuare a vivere qui"

Marianna Grazi
26 Gennaio 2022
A Afghan boy walks by the fences guarded by the Pakistani paramilitary personnel at the Pakistan-Afghanistan border crossing point in Chaman on August 23, 2021 following Taliban's military takeover of Afghanistan. (Photo by - / AFP)

A Afghan boy walks by the fences guarded by the Pakistani paramilitary personnel at the Pakistan-Afghanistan border crossing point in Chaman on August 23, 2021 following Taliban's military takeover of Afghanistan. (Photo by - / AFP)

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“Non vedo alcun futuro per lei”. Dopo il crollo della capitale afgana, il 14 agosto 2021, una studentessa universitaria e operatrice di una Ong (di cui non viene rivelata l’identità per sicurezza) è ha rivelato al quotidiano Guardian quello è accaduto in seguito nel Paese, dopo che i riflettori dell’attenzione pubblica si sono spenti, dopo che il mondo è passato a guardare altrove. Ciò che in pochi hanno visto e in migliaia hanno vissuto, è stato di quanto potesse immaginare.

La giovane intervistata dal Guardian racconta il periodo successivo al ritorno dei Talebani a Kabul

Il ritiro dall’Afghanistan delle truppe internazionali e in particolare quelle americane, ha decretato il ritorno  annunciato al potere dei talebani, ‘costringendo’ di fatto milioni di civili alla fuga. Non tutti, però, sono stati così fortunati da far parte dei passeggeri dei ponti aerei diretti verso occidente. Oppure, inizialmente, alcune famiglie hanno scelto di rimanere, di non lasciare la propria casa o il lavoro, la scuola dei figli. Tra queste anche quella della giovane attivista, che però poco dopo è stata costretta a scappare nello stato vicino, il Pakistan. Qui, secondo le organizzazioni internazionali, hanno cercato rifugio migliaia e migliaia di persone afghane, scappati dalla fame, dalle violenze e dal rischio di una nuova guerra civile. Ma anche essere riusciti a fuggire non significa affatto aver trovato salvezza.

La storia della studentessa

“Attualmente vivo in Pakistan con la mia famiglia. Prima di lasciare l’Afghanistan, lavoravo per una ONG e studiavo anche economia all’università. Quando i talebani hanno preso il potere, non avevo un futuro certo. La mia istruzione non era più al sicuro, la mia scuola è stata chiusa. Ero felice prima che i talebani prendessero il potere… Non avrei mai pensato che tutto potesse svanire così. Mia sorella è in dodicesima classe e doveva diplomarsi al liceo. Ma dopo il crollo di Kabul, non abbiamo avuto altra scelta che andarcene. Non vedo alcun futuro per lei. Quando la guardo, anzi, mi vengono le lacrime agli occhi. Non riesco a controllarle. Non ha un futuro e come sorella (maggiore) non posso fare nulla per lei. Abbiamo deciso di lasciare la città un mese fa, quando abbiamo visto che la situazione stava peggiorando. La gente muore nelle strade e nelle case, e non c’è giustizia. Non c’è certezza e non c’è sicurezza. Non sapevamo quando o per quale motivo saremmo stati uccisi.

Migliaia di afghani sono scappati in Pakistan dopo il ritorno dei talebani al potere

Abbiamo lasciato il nostro Paese e siamo venuti qui (in Pakistan), ma la lotta è la stessa. Non vedo alcun futuro per me o per i miei fratelli. Ma almeno sono felice: ho salvato la mia vita e quella della mia famiglia. Ho fatto domanda al programma per gli sfollati in Gran Bretagna, in ragione del mio lavoro e perché mia sorella è un’artista e una giornalista. Ma ancora non abbiamo saputo nulla di specifico da loro… Vorrei poter spiegare le difficoltà che attraversiamo. Non abbiamo un posto dove vivere, tutto è più caro e la gente vive per strada, e non si conosce la lingua. I miei fratelli non possono andare a scuola. È come essere imprigionati in una casa, in una stanza.
Vorrei poter dire al governo britannico che ci sono tante altre persone che aspettano un futuro migliore o tante altre persone che sono sfollate. Vorrei poter mostrare loro il dolore e l’incertezza. Non abbiamo altre opzioni. Non possiamo tornare nel nostro Paese ma non possiamo continuare a vivere qui”.

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  • "È passato un mese dall’incidente, e ogni giorno, penso costantemente a come le cose possano cambiare rapidamente e drasticamente, in un batter d’occhio, e in modi che non avrei mai potuto immaginare.”

Il protagonista di questa vicenda è Leonardo Lotto, studente aostano, che la mattina del 23 febbraio è rimasto vittima di un incidente in mare. Il ragazzo era a Melbourne con un gruppo di amici quando dopo un tuffo tra le onde sul bagnasciuga ha picchiato violentemente la testa contro il fondale di sabbia. In quel momento è iniziato l’incubo: prima gli amici lo hanno aiutato a uscire dall’acqua, poi la corsa disperata in ospedale. Dopo l’intervento d’urgenza, è arrivato il duro responso: “Frattura delle vertebre C3 e C5, spina dorsale danneggiata". Leonardo Lotto è paralizzato dalla testa in giù e non potrà più camminare.

"Continuerò a lottare e farò tutto il necessario. A volte cadrò, ma alla fine mi rialzerò, vivendo sempre giorno per giorno, superando i momenti più bui”.

Dopo il ricovero all’Alfred Hospital di Melbourne, in Australia, “le sue condizioni sono stabili, e ora è pronto per iniziare il suo lungo percorso riabilitativo a Milano con tutte le energie e la positività che hanno sempre caratterizzato la sua personalità”. E gli amici, proprio per sostenere le cure, hanno organizzato una raccolta fondi online.

✍ Barbara Berti 

#lucenews #lucelanazione #australia #leonardolotto
  • È quanto emerge da uno studio su 1.700 ragazzi toscani realizzato dal Meyer center for health and happiness, di cui è responsabile Manila Bonciani, insieme all’Università di Firenze, e presentato in occasione della Giornata internazionale della felicità nel corso di un evento organizzato al Meyer health campus di Firenze.

Cosa gli adolescenti pensano della felicità? Come la definiscono? Cosa li rende felici? Queste alcune domande dello studio. Dai risultati emerge che i ragazzi spesso non riescono a dare neanche una definizione della felicità. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza e la transitorietà. 

Dalla ricerca emerge così che la manifestazione della felicità si declina in sei dimensioni:
➡ La più rilevante che emerge è quella dell’interesse sociale, data dall’importanza che viene attribuita dai ragazzi alle relazioni interpersonali.
➡ La seconda è l’espressione della soddisfazione verso la propria vita, del fare le cose che piacciono loro.
➡ La terza è vivere emozioni positive, rilevanza che si riscontra anche nelle parole dei ragazzi che esprimono in maniera importante l’idea di essere felici quando sono senza preoccupazioni o pressioni che avvertono frequentemente, come anche quella scolastica.
➡ La quarta è il senso di autorealizzazione insieme a quello di padronanza delle varie situazioni che si trovano ad affrontare.
➡ Infine in misura minore la loro felicità è legata all’ottimismo, cui gli stessi adolescenti non attribuiscono grande rilevanza, sebbene rappresenti la sesta dimensione della felicità identificata.

Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le emozioni e risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé. 

Ancora i maschi risultano essere più felici delle femmine a eccezione della dimensione relazionale e sociale della felicità che non si differenzia in maniera significativa tra i due gruppi, e le fasce di età più piccole, fino ai 15 anni, esprimono maggiormente di essere felici rispetto ai ragazzi di 16-17 o maggiorenni.

#felicità #ospedalemeyer #adolescenza
"Non vedo alcun futuro per lei". Dopo il crollo della capitale afgana, il 14 agosto 2021, una studentessa universitaria e operatrice di una Ong (di cui non viene rivelata l'identità per sicurezza) è ha rivelato al quotidiano Guardian quello è accaduto in seguito nel Paese, dopo che i riflettori dell'attenzione pubblica si sono spenti, dopo che il mondo è passato a guardare altrove. Ciò che in pochi hanno visto e in migliaia hanno vissuto, è stato di quanto potesse immaginare.
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La storia della studentessa

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