Syusy Blady, al secolo Maurizia Giusti: un concentrato di energia, entusiasmo e ottimismo che ci ha subito fatto amare il suo modo unico di fare televisione. In compagnia di Patrizio Roversi ci ha portato in giro per i luoghi più esotici e nascosti del pianeta che, assieme, hanno esplorato permettendo a noi sedentari del divano di compiere viaggi immaginari. “Turisti per Caso” era un programma divertente e istruttivo, espressione di una televisione elegante e competente di cui si è smarrita ogni traccia. La carriera di Syusy, iniziata negli anni Ottanta, è stata sempre contrassegnata dalla verve di una showgirl a tutto tondo, ma anche e soprattutto dal temperamento della combattente nata, di chi ha fatto sue le battaglie sociali a difesa del ruolo della donna nella società. Basti pensare all’invenzione del personaggio della Tap Model, intelligente e autoironica presa in giro di un modello sociale preconfezionato ma specialmente efficace metodo comunicativo per indurre autostima in ogni donna, a prescindere dal suo aspetto fisico.
Impegnata nello studio di dottrine spirituali legate alla saggezza orientale, ma intellettualmente interessata alle più diverse suggestioni culturali dei popoli della terra, Syusy Blady ha scritto numerosi libri dai quali si evince il costante interesse nei confronti della donna quale archetipo assoluto di natura divina, come nel caso del suo ultimo ‘La Dea che creò l’uomo’. Con la figlia Zoe, antropologa e specializzata in ‘women studies’, dopo aver girato la serie incentrata su itinerari in Italia a basso impatto ambientale dal titolo ‘In viaggio con mia figlia’, ha creato lo scorso anno per il web dieci puntate sull’analisi della bioeconomia e del riuso sostenibile.
Syusy, lei è una donna più trasgressiva o combattiva, più sexy o intransigente?
“Perché non essere tutto questo senza temere la contraddizione? Spesso, usando una buona dose di sana autocritica, mi definisco una contraddizione vivente. In realtà, le mie personalità sono evidentemente due: da una parte Syusy, dall’altra Maurizia. La prima è una maschera, l’aspetto di me che sottolinea e lascia trasparire tutto il mio ottimismo, la mia leggerezza. Mentre la seconda evocata dal mio vero nome e cognome fa pensare a severità e intransigenza: ‘Maurizia Giusti’ sembra un suono più adatto a un avvocato o qualcosa di simile. In realtà io sono entrambe le cose. Quando ho combattuto il mio senso di inadeguatezza creando il personaggio della ‘Tap Model’ ho attinto alle mie apparenti distinte nature: con leggerezza e determinazione sono riuscita a infrangere una infinità di luoghi comuni sulla donna e la sua femminilità”.
Lei rappresenta un simbolo di emancipazione per milioni di donne. In che modo è riuscita a colpire nel segno?
“Sono femminista da sempre e questo per me implica una totalità di cose, un universo intero. Non si tratta solo di un processo di emancipazione e basta perché le donne possono portare avanti un paradigma assolutamente unico. La loro diversità rispetto all’uomo rappresenta una enorme forza, argomento che ho sviluppato proprio nel mio ultimo libro, nel quale sottolineo la centralità del seno rispetto al predominio fallico. Un punto di vista, a mio giudizio, essenziale per cambiare logica e puntare al piccolo, al dettaglio, agli aspetti minuti della vita in antitesi con un mondo al maschile abituato a pensare sempre troppo in grande e in maniera prepotente. Perciò la mia intenzione è difendere il ‘femminile’ e non le donne in assoluto: basti pensare a quelle che, in virtù di una parità acquisita, hanno cominciato a emulare gli uomini divenendo stronze”.
Da viaggiatrice ‘leggendaria’ ha conosciuto gli abusi che le donne nel mondo devono essere costrette a sopportare…
“Sono stata testimone di molte storie, è vero. La violenza maschile è sopraffattrice e di fronte a certi episodi c’è veramente poco da fare. Diciamo che in giro per le strade del mondo ho potuto però constatare una sorprendente egemonia della cultura matriarcale, dove in fondo sono proprio le donne a lavorare e a portare avanti la famiglia. Quindi conoscere bene certe condizioni durante un viaggio è spesso fonte di molte realtà sorprendenti che vanno ben oltre i luoghi comuni di noi occidentali. Ad esempio il popolo matrilineare dei Moso, che vive nello Yunnan, provincia sud occidentale della Cina, è famoso per affidare il governo totalmente alle donne in una società nella quale non esiste neppure l’istituto del matrimonio”.
Cosa non sopporta in modo particolare della cosiddetta cultura maschilista?
“Di sicuro l’aspetto per così dire ‘fallico’ che impone un certo modo di vivere generalmente improntato alla ipertrofia, all’affermazione del tanto e dello smisurato. Un evidente ‘complesso del pene’ che non può condurre a nient’altro che al crollo fatale di un sistema troppo esagerato per poter reggere”.
La sua separazione da Patrizio Roversi ha a che fare con questo suo irrinunciabile bisogno di indipendenza e libertà?
“È evidente. Ho sempre pensato che il matrimonio sia un contratto sbagliato per il semplice fatto che nega qualsiasi forma di reciprocità. Le regole già scritte impongono adesione assoluta e senza discussioni. La separazione è, al contrario, un modello contrattuale che decisamente preferisco perché le parti sono libere di fissare un auspicabile accordo regolando il loro rapporto da quel momento in poi. Nel mio atto di separazione c’è scritto che ‘i coniugi pur continuando a condividere l’affetto reciproco decidono di non dover sottostare alle costrizioni derivate dal matrimonio’. Secondo me la vera festa andrebbe fatta quando le cose vanno così”.
Ha mai subito molestie?
“Non in maniera pesante, non tanto da dover fare i conti con conseguenze gravi, per fortuna. È vero che da bambina sono stata oggetto di attenzioni non proprio gradevoli, abusi che purtroppo continuano a violare l’infanzia, ma sono ricordi che la memoria ha preferito cancellare. Certo poi, in tempi più recenti, non è stato affatto piacevole subire un tentativo di rapina sotto casa con tanto di coltello alla gola, minacciata di cose orribili”.
Cosa insegna a sua figlia Zoe?
“Che le streghe sono migliori delle fate. Cose di questo tipo… Mia figlia oltre ad essere antropologa ha compiuto studi di genere e la sua formazione culturale è più ‘fondamentalista’ della mia su certe tematiche, ma non perde mai di vista l’obiettivo di considerare qualunque aspetto della vita in modo inclusivo”.
Il suo girovagare mai esaurito riesce ancora a coniugarsi con quell’impegno sociale rivolto alle donne?
“La mia ricerca sull’arcaicità del divino femminile è fondamentale, la lotta invece la lascio alle nuove generazioni che mi auguro riescano a farla come evoluzione del mio ideale di femminismo”.
Qual è il modo più diretto per arrivare al cuore e alla testa di tante vittime di violenze, schiave talvolta inconsapevoli dei loro partner?
“Purtroppo la dipendenza affettiva è difficile da comprendere. Per una serie di motivi si ritiene di dover sopportare la violenza domestica spesso per il quieto vivere, i figli o la situazione economica. Fondamentale resta dunque l’indipendenza che solo un lavoro sicuro e ben retribuito può assicurare”.
È auspicabile un percorso spirituale, un risveglio interiore capace di far nascere una nuova forma di coscienza?
“È necessaria la consapevolezza per evitare logiche di separazione e prevaricazione. Sentirci un organismo unico nella reciproca collaborazione e nell’identificazione con il tutto: la natura, l’ambiente, l’universo intero. So che realizzare questo è molto difficile finché la coscienza della gente sarà sottilmente manipolata da pessima informazione e da cattivi programmi televisivi”.
Ci sono le condizioni perché le cose cambino?
“Non credo in questa fase, forse è vero il contrario perché i segnali portano a considerare che semmai le cose potrebbero peggiorare. Abbiamo raggiunto un punto talmente esasperato, pur avendo l’impressione di aver superato il senso delle dicotomie e delle differenze stereotipate, da esserci in realtà avviati verso un tempo dominato dall’egemonia di un pensiero unico, diretto e imposto da volontà politiche ed economiche, da quei poteri che per dirla con una frase di Battiato sono incarnazione di quel ‘re del mondo che ci tiene prigioniero il cuore’”.