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Home » Lifestyle » Venice Lagoon Plastic Free, volontari in azione per ripulire il mare e le spiagge della città

Venice Lagoon Plastic Free, volontari in azione per ripulire il mare e le spiagge della città

Una delle attività più importanti riguarda l’individuazione e la rimozione dei relitti di imbarcazioni che si trovano sul fondo della Laguna

Domenico Guarino
30 Novembre 2022
I volontari di Plastic Free Venice Lagoon insieme a quelli di Carel impegnati nella pulizia della spiaggia di Chioggia (Facebook)

I volontari di Plastic Free Venice Lagoon insieme a quelli di Carel impegnati nella pulizia della spiaggia di Chioggia (Facebook)

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Non solo acqua alta. Venezia rischia di morire anche a causa dell’inquinamento del mare, in particolare quello determinato dall’invasione delle plastiche. Un problema che non riguarda solo la Serenissima: tutti i i prelievi di campioni che sono stati effettuati negli ultimi tempi nella Fossa delle Marianne, la più profonda depressione oceanica conosciuta, 11.007 metri sotto il livello del mare, nell’Oceano Pacifico, hanno evidenziato la presenza di microplastiche, mentre un rapporto presentato al forum economico di Davos dalla Fondazione Ellen MacArthur ha pronosticato che entro il 2050 gli oceani potrebbero contenere più plastica che pesci. A Venezia la problematica assume una gravità tutta particolare. Anche perché la città del leone di San Marco può essere a giusto titolo considerata un bene comune globale.

Venezia vista dal mare
Venezia vista dal mare

Secondo le stime più accreditate nelle acque veneziane c’è una concentrazione di plastiche cinque volte più alta rispetto a quella dell’intero Adriatico, che, per altro, è il mare più inquinato tra quelli che lambiscono la nostra penisola, e non solo. Proprio per sensibilizzare e agire contro l’inquinamento da plastiche nella Laguna è nata l’associazione “Plastic Free Venice Lagoon” che organizza clean-up decentralizzate su larga scala con lo scopo di rimuovere i rifiuti marini dagli ecosistemi acquatici e stabilirne il ritorno a processi circolari. L’associazione, attiva dal 2019, conduce iniziative indipendenti di monitoraggio relativo all’inquinamento da plastiche e da altri derivati chimici nelle acque di Venezia, in collaborazione con istituti e centri di ricerca nazionali ed internazionali. E realizza “progetti locali, nazionali ed internazionali al fine di catalizzare competenze e risorse per la prevenzione e riduzione del inquinamento da plastiche e promuovere processi di economia circolare”.

I volontari di Plastic Free Venice Lagoon insieme a quelli di Carel impegnati nella pulizia della spiaggia di Chioggia (Facebook)
I volontari di Plastic Free Venice Lagoon insieme a quelli di Carel impegnati nella pulizia della spiaggia di Chioggia (Facebook)

“Il nostro intento – dicono gli attivisti di ‘Plastic Free Venice Lagoon’ – è quello di realizzare e promuovere progetti e networks mirati a catalizzare competenze e risorse per la prevenzione e riduzione del inquinamento da plastiche e promuovere processi di economia circolare. Ma anche gestire operazioni di clean-up su larga scala nel centro storico, Laguna e i territori della gronda, compresa la terraferma, promuovere dibattiti pubblici e discussioni per sensibilizzare l’opinione pubblica sul pericolo di inquinamento da plastiche, incoraggiando l’adozione di buone pratiche attraverso azioni individuali e collettive”. Infine “condurre iniziative indipendenti di monitoraggio relativo all’inquinamento da plastiche e da altri derivati chimici nelle acque di Venezia, in collaborazione con istituti di formazione e centri di ricerca nazionali ed internazionali”.

Potrà sembrare strano, ma una delle attività più importanti riguarda l’individuazione e la rimozione dei relitti di imbarcazioni che giacciono sul fondo della Laguna. Rifiuti ingombranti ed altamente inquinanti. Per fare questo l’associazione si è munita di un’App per geotaggare le barche affondate ed ha stilato un piano per la rimozione.

Il mese scorso inoltre, i volontari di “Plastic Free Venice Lagoon” si sono recati a sud di Venezia per effettuare una sessione di pulizia e monitoraggio dei rifiuti marini nella spiaggia dell’Area 71 di Chioggia, con un team di volontari di Carel. Hanno partecipato 78 dipendenti, raccogliendo un totale di circa 140 kg di rifiuti lungo la costa, di cui 64 kg riciclabili e 74 kg non riciclabili. E oltre alla pulizia della spiaggia, è stato effettuata anche una sessione di monitoraggio dei rifiuti marini all’interno di un tratto di spiaggia di 100 metri: frammenti di plastica non identificabili tra 2,5 cm e 50 cm, mozziconi di sigaretta, pezzi di polistirolo, cannucce da cocktail e tappi di bottiglia. I rifiuti raccolti sono stati poi portati al centro Gees Recycling di Aviano, dove saranno trattati e utilizzati per generare nuovo materiale che contribuisce all’economia circolare della plastica.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
Non solo acqua alta. Venezia rischia di morire anche a causa dell’inquinamento del mare, in particolare quello determinato dall’invasione delle plastiche. Un problema che non riguarda solo la Serenissima: tutti i i prelievi di campioni che sono stati effettuati negli ultimi tempi nella Fossa delle Marianne, la più profonda depressione oceanica conosciuta, 11.007 metri sotto il livello del mare, nell’Oceano Pacifico, hanno evidenziato la presenza di microplastiche, mentre un rapporto presentato al forum economico di Davos dalla Fondazione Ellen MacArthur ha pronosticato che entro il 2050 gli oceani potrebbero contenere più plastica che pesci. A Venezia la problematica assume una gravità tutta particolare. Anche perché la città del leone di San Marco può essere a giusto titolo considerata un bene comune globale.
Venezia vista dal mare
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I volontari di Plastic Free Venice Lagoon insieme a quelli di Carel impegnati nella pulizia della spiaggia di Chioggia (Facebook)
I volontari di Plastic Free Venice Lagoon insieme a quelli di Carel impegnati nella pulizia della spiaggia di Chioggia (Facebook)
“Il nostro intento - dicono gli attivisti di 'Plastic Free Venice Lagoon' - è quello di realizzare e promuovere progetti e networks mirati a catalizzare competenze e risorse per la prevenzione e riduzione del inquinamento da plastiche e promuovere processi di economia circolare. Ma anche gestire operazioni di clean-up su larga scala nel centro storico, Laguna e i territori della gronda, compresa la terraferma, promuovere dibattiti pubblici e discussioni per sensibilizzare l’opinione pubblica sul pericolo di inquinamento da plastiche, incoraggiando l’adozione di buone pratiche attraverso azioni individuali e collettive”. Infine “condurre iniziative indipendenti di monitoraggio relativo all’inquinamento da plastiche e da altri derivati chimici nelle acque di Venezia, in collaborazione con istituti di formazione e centri di ricerca nazionali ed internazionali”. Potrà sembrare strano, ma una delle attività più importanti riguarda l’individuazione e la rimozione dei relitti di imbarcazioni che giacciono sul fondo della Laguna. Rifiuti ingombranti ed altamente inquinanti. Per fare questo l’associazione si è munita di un'App per geotaggare le barche affondate ed ha stilato un piano per la rimozione. Il mese scorso inoltre, i volontari di "Plastic Free Venice Lagoon" si sono recati a sud di Venezia per effettuare una sessione di pulizia e monitoraggio dei rifiuti marini nella spiaggia dell'Area 71 di Chioggia, con un team di volontari di Carel. Hanno partecipato 78 dipendenti, raccogliendo un totale di circa 140 kg di rifiuti lungo la costa, di cui 64 kg riciclabili e 74 kg non riciclabili. E oltre alla pulizia della spiaggia, è stato effettuata anche una sessione di monitoraggio dei rifiuti marini all'interno di un tratto di spiaggia di 100 metri: frammenti di plastica non identificabili tra 2,5 cm e 50 cm, mozziconi di sigaretta, pezzi di polistirolo, cannucce da cocktail e tappi di bottiglia. I rifiuti raccolti sono stati poi portati al centro Gees Recycling di Aviano, dove saranno trattati e utilizzati per generare nuovo materiale che contribuisce all'economia circolare della plastica.
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