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Home » Lifestyle » Vieni, c’è un asilo nel bosco: dalla yurta, casa degli gnomi misteriosa e accogliente, parte un nuovo modello di scuola

Vieni, c’è un asilo nel bosco: dalla yurta, casa degli gnomi misteriosa e accogliente, parte un nuovo modello di scuola

Sul terreno coltivato dal nonno Anna, reduce da anni trascorsi fra New York, Barcellona e Milano costituì una comunità che guardava alla campagna come base per esperienze. Esaurito lo slancio iniziale ha creato una scuola per bimbi, basata sulla biofilia, l'amore per tutto ciò che riguarda la vita. E ora, il coinvolgimento degli adulti

Domenico Guarino
11 Agosto 2021
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L’associazione la Via di Trecento nasce a Montespertoli, in provincia di Firenze, per riunire gli abitanti di una strada rurale in un progetto di agricoltura collettiva. Oggi è un centro all’avanguardia per la formazione di docenti interessati al modello di scuola ed asilo nel bosco. E nell’immediato futuro sarà un centro di formazione per famiglie, aiutandole nella riscoperta della natura. “L’esperienza dell’associazione – dice Anna che ne è l’ideatrice – nasce nel 2012 un po’ per caso. Ero arrivata qui dopo aver lavorato molto all’estero. Questa era la terra dei miei nonni. Trovandomi da sola in un posto dove avevo vissuto da piccola ma che mi era sostanzialmente estraneo, ho cercato di sviluppare dei rapporti di comunità, e così è nata l’idea dell’associazione, con l’intento di coinvolgere le persone che abitavano lungo la via di Trecento, una strada che percorre la periferia del comune di Montespertoli sul versante verso Certaldo. Originariamente il progetto si basava sul concetto di permacultura. Nei terreni della mia famiglia c’era infatti questo campo che era stata la prima vigna di mio nonno e che mi piaceva immaginare come un punto di partenza per una nuova esperienza”.

 

Come si passa dalla permacultura alla scuola nel bosco?

“All’inizio il progetto dell’associazione ha coinvolto tantissime persone e per qualche anno c’è stato un vero fermento, con un fiorire di esperienze, le più varie: abbiamo cerato un orto, abbiamo fatto manifestazioni ed eventi pubblici. Con il passare del tempo però mi sono accorta che l’esperienza iniziale andava scemando, stava perdendo energia, e allora abbiamo trasformato la mission dell’associazione, il cui progetto non è più solo quella della permacultura, ma, partendo da quei principi, mira a valorizzare la natura e a creare una sinergia tra l’essere umano e l’ambiente in cui vive. Da qui, grazie all’incontro con Raffaella Cataldo e Christian Mancini, il passaggio sulla scuola nel bosco, con un percorso di educazione esperienziale e di educazione in natura, e la formazione dei docenti”.

 

In cosa consiste?

“Si parte dal concetto che non si sta in natura per intrattenimento, per fare uno sport o semplicemente stare all’aria aperta. L’approccio è stare in natura come apprendimento esperienziale. Servire un processo che è intimamente connesso al vivere, ovvero quello di imparare. Qui l’apprendimento riguarda tutto l’essere in maniera integrale. La mente, l’emozione e le azioni, che funzionano in maniera associata interattiva e non dissociata. La formazione ha lo scopo innanzitutto di imparare a riconoscere questo processo e ad accompagnarlo anziché ostacolarlo. Quindi lasciare che l’esperienza di imparare rimanga connessa con la gioia di imparare, che è quello che avviene naturalmente nella vita. Se l’apprendimento non è gioia infatti non è a servizio della vita. Naturalmente servono alcune abilità, che potremmo riassumente nel concetto di pensiero ecologico che non significa semplicemente raccogliere i rifiuti per terra e non sporcare, ma è uno stato di coscienza di interconnessione, la consapevolezza che tutta la vita è interconnessa. “Non si può cogliere un fiore senza che sia turbata una stella” diceva Galileo Galilei. Quindi coltivare tutta una serie di capacità, le percezioni, il silenzio, la lentezza, saper muoversi in maniera non concitata, in armonia con l’ambiente in cui si entra. Passare dal toccare al percepire, dal sentire all’ascoltare, dal guardare al vedere, dal capire al sentire. Queste abilità si imparano dalla natura stessa, ovvero stando in natura con l’atteggiamento ed il modo giusto che parte dal rispetto ed dalla connessione profonda e intima con la vita. Tutta la vita, indipendentemente da quanto a noi sembri lontana o estranea”.

 

Come nasce il tuo interesse e il tuo approccio alla natura?

“Nasce da quando ero piccola. Venivo qua con i miei nonni e il mio sogno era di tornarci a vivere, cosa che ho fatto sia pure dopo mille giri. Quando ero bambina uscivo alle prime luci del giorno e tornavo al buio immaginando un’infinità di giochi, incontrando mille animali ed facendo mille avventure. Ho sempre amato questa terra in maniera molto forte, viscerale, e me la sono portata dietro dovunque sia andata. Non c’è niente di più bello he rimanere nell’ascolto di quello che ti vibra intorno e sentire come tutto questo mondo ti risuona dentro. Io ho vissuto in grandi città a New York a Barcellona sono nata e cresciuta a Milano eppure questa è la mia terra, questa è casa mia”.

 

Parlaci della Yurta.

“La yurta è un regalo di Christian e Raffaella che hanno dovuto smontare il loro campo in provincia di Pisa e mi hanno proposto di adottarlo. Per me si trattava del completamento del cerchio. Qui da noi i bambini hanno sempre fatto esperienza diretta del bosco, ma dormire insieme nella yurta è una cosa diversa. La yurta è la casa nel bosco, la casa degli gnomi, il luogo misterioso ed allo stesso tempo accogliente. L’apertura verso il mondo con un nuovo progetto. Dalla yurta parte il futuro dell’associazione, la sua terza vita, che prevede il coinvolgimento adulti e lo sviluppo di progetti che mettano al centro il concetto di biofilia , ovvero stare bene in natura e usare la natura come elemento di benessere anche attraverso il contatto con altre persone e altre attività: arte, musica, cultura teatro, corsi di pedagogia, sociologia. In futuro spero che davvero questo terreno diventi la casa di tutti quelli che ci vengono. Che sia curato e sentito come parte della vita di ciascuno. Anche per venirci semplicemente a passeggiare, a prendere fresco piantar alberi da frutto. Tutti abbiamo bisogno di piantare alberi”.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
L’associazione la Via di Trecento nasce a Montespertoli, in provincia di Firenze, per riunire gli abitanti di una strada rurale in un progetto di agricoltura collettiva. Oggi è un centro all’avanguardia per la formazione di docenti interessati al modello di scuola ed asilo nel bosco. E nell’immediato futuro sarà un centro di formazione per famiglie, aiutandole nella riscoperta della natura. “L’esperienza dell’associazione - dice Anna che ne è l’ideatrice - nasce nel 2012 un po’ per caso. Ero arrivata qui dopo aver lavorato molto all’estero. Questa era la terra dei miei nonni. Trovandomi da sola in un posto dove avevo vissuto da piccola ma che mi era sostanzialmente estraneo, ho cercato di sviluppare dei rapporti di comunità, e così è nata l’idea dell’associazione, con l’intento di coinvolgere le persone che abitavano lungo la via di Trecento, una strada che percorre la periferia del comune di Montespertoli sul versante verso Certaldo. Originariamente il progetto si basava sul concetto di permacultura. Nei terreni della mia famiglia c’era infatti questo campo che era stata la prima vigna di mio nonno e che mi piaceva immaginare come un punto di partenza per una nuova esperienza”.   Come si passa dalla permacultura alla scuola nel bosco? “All’inizio il progetto dell’associazione ha coinvolto tantissime persone e per qualche anno c’è stato un vero fermento, con un fiorire di esperienze, le più varie: abbiamo cerato un orto, abbiamo fatto manifestazioni ed eventi pubblici. Con il passare del tempo però mi sono accorta che l’esperienza iniziale andava scemando, stava perdendo energia, e allora abbiamo trasformato la mission dell’associazione, il cui progetto non è più solo quella della permacultura, ma, partendo da quei principi, mira a valorizzare la natura e a creare una sinergia tra l’essere umano e l’ambiente in cui vive. Da qui, grazie all’incontro con Raffaella Cataldo e Christian Mancini, il passaggio sulla scuola nel bosco, con un percorso di educazione esperienziale e di educazione in natura, e la formazione dei docenti".   In cosa consiste? "Si parte dal concetto che non si sta in natura per intrattenimento, per fare uno sport o semplicemente stare all’aria aperta. L’approccio è stare in natura come apprendimento esperienziale. Servire un processo che è intimamente connesso al vivere, ovvero quello di imparare. Qui l’apprendimento riguarda tutto l’essere in maniera integrale. La mente, l’emozione e le azioni, che funzionano in maniera associata interattiva e non dissociata. La formazione ha lo scopo innanzitutto di imparare a riconoscere questo processo e ad accompagnarlo anziché ostacolarlo. Quindi lasciare che l’esperienza di imparare rimanga connessa con la gioia di imparare, che è quello che avviene naturalmente nella vita. Se l’apprendimento non è gioia infatti non è a servizio della vita. Naturalmente servono alcune abilità, che potremmo riassumente nel concetto di pensiero ecologico che non significa semplicemente raccogliere i rifiuti per terra e non sporcare, ma è uno stato di coscienza di interconnessione, la consapevolezza che tutta la vita è interconnessa. “Non si può cogliere un fiore senza che sia turbata una stella” diceva Galileo Galilei. Quindi coltivare tutta una serie di capacità, le percezioni, il silenzio, la lentezza, saper muoversi in maniera non concitata, in armonia con l’ambiente in cui si entra. Passare dal toccare al percepire, dal sentire all’ascoltare, dal guardare al vedere, dal capire al sentire. Queste abilità si imparano dalla natura stessa, ovvero stando in natura con l’atteggiamento ed il modo giusto che parte dal rispetto ed dalla connessione profonda e intima con la vita. Tutta la vita, indipendentemente da quanto a noi sembri lontana o estranea".   Come nasce il tuo interesse e il tuo approccio alla natura? "Nasce da quando ero piccola. Venivo qua con i miei nonni e il mio sogno era di tornarci a vivere, cosa che ho fatto sia pure dopo mille giri. Quando ero bambina uscivo alle prime luci del giorno e tornavo al buio immaginando un’infinità di giochi, incontrando mille animali ed facendo mille avventure. Ho sempre amato questa terra in maniera molto forte, viscerale, e me la sono portata dietro dovunque sia andata. Non c’è niente di più bello he rimanere nell’ascolto di quello che ti vibra intorno e sentire come tutto questo mondo ti risuona dentro. Io ho vissuto in grandi città a New York a Barcellona sono nata e cresciuta a Milano eppure questa è la mia terra, questa è casa mia".   Parlaci della Yurta. "La yurta è un regalo di Christian e Raffaella che hanno dovuto smontare il loro campo in provincia di Pisa e mi hanno proposto di adottarlo. Per me si trattava del completamento del cerchio. Qui da noi i bambini hanno sempre fatto esperienza diretta del bosco, ma dormire insieme nella yurta è una cosa diversa. La yurta è la casa nel bosco, la casa degli gnomi, il luogo misterioso ed allo stesso tempo accogliente. L’apertura verso il mondo con un nuovo progetto. Dalla yurta parte il futuro dell’associazione, la sua terza vita, che prevede il coinvolgimento adulti e lo sviluppo di progetti che mettano al centro il concetto di biofilia , ovvero stare bene in natura e usare la natura come elemento di benessere anche attraverso il contatto con altre persone e altre attività: arte, musica, cultura teatro, corsi di pedagogia, sociologia. In futuro spero che davvero questo terreno diventi la casa di tutti quelli che ci vengono. Che sia curato e sentito come parte della vita di ciascuno. Anche per venirci semplicemente a passeggiare, a prendere fresco piantar alberi da frutto. Tutti abbiamo bisogno di piantare alberi".
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