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Zena Vanacore, il performer Lis diventato famoso a Sanremo: "Con i miei segni le canzoni diventano per tutti"

E' infermiere e interprete di Lingua dei Segni Italiana. All'Ariston c'è già stato quattro volte: "Spero che sempre più programmi tv diventino accessibili alle persone sorde"

di BARBARA BERTI -
20 febbraio 2023
Zena Vanacore, 30 anni di Napoli (Instagram)

Zena Vanacore, 30 anni di Napoli (Instagram)

Ha già all’attivo quattro Sanremo, l’Eurovision Song Contest di Torino dell’anno scorso e a maggio, con tutta probabilità, volerà a Liverpool per l’Eurofestival 2023. Un curriculum da far invidia a tante star della musica ma non stiamo parlando di un cantante. Zena Vanacore, 30 anni, napoletano, è infermiere oltre che interprete e performer Lis (Lingua dei segni italiana) che durante il 73esimo festival di Sanremo è diventato virale con la traduzione di “Made in Italy”, il brano dell’eccentrico (e contestato) Rosa Chemical, pseudonimo di Manuel Franco Rocati.
Zena Vanacore, 30 anni di Napoli (Instagram)

Zena Vanacore, 30 anni di Napoli (Instagram)

Zena è diventato protagonista del festival semplicemente facendo bene il suo lavoro: il suo modo di trasferire le canzoni nella lingua dei segni è unico e appassionante. Grazie alle movenze e a quel muoversi a ritmo di musica, con cui accompagna i segni, riesce a rendere coinvolgenti le canzoni anche a chi non può udirle. Uno stile che ha conquistato tutti, compresa Luciana Littizzetto che subito dopo la finale di Sanremo 2023 l’ha voluto ospite a “Che tempo che fa” su Raitre. Zena, come mai conosce la Lis? “Sono figlio di una Coda (Child of Deaf Adult), cioè sono figlio di figli di genitori sordi. Devo a mia madre la conoscenza della Lingua dei Segni Italiana che ho acquisito per esposizione diretta. L’ho imparata in casa, così come i figli di genitori bilingue imparano la seconda lingua. La mia infanzia l’ho trascorsa al fianco di mia madre, ho frequentato fin da bambino l’Ens, la comunità sorda. E’ stata lei a insegnarmi la dattilologia. Poi crescendo ho deciso di frequentare dei corsi Lis fino a diventare interprete con tanto di certificazione riconosciuta dalla Regione Campania. E oggi faccio anche parte dell’Anios, l’Associazione interpreti di lingua dei segni italiana”. Si divide tra interprete Lis e infermiere: come concilia i due ambiti? “Bene, perché i due ruoli si incrociano. Mi sono laureato in Infermieristica all’Università Federico II di Napoli con una tesi sperimentale dal titolo: ‘Approccio infermieristico al paziente sordo, stato dell’arte, problematiche, limiti e possibili soluzioni’. La tesi è nata dall’esigenza di mettere a frutto una particolare esperienza personale, umana, linguistica, culturale ed emotiva. Nel contesto ospedaliero, oltre a comunicare con i pazienti, grazie alla mia conoscenza della Lis mi sono occupato di formazione rivolta ai professionisti sanitari circa l’approccio alla persona sorda e ho collaborato al progetto “Lis/Braille” dell’Ordine professioni sanitarie, traducendo testi in ambito sanitario”.
Zena Vanacore è anche infermiere e coma tanti colleghi ha affrontato l'emergenza coronavirus in corsia

Zena Vanacore è anche infermiere e coma tanti colleghi ha affrontato l'emergenza coronavirus in corsia

Il 19 maggio 2021 la Repubblica Italiana ha deciso di riconoscere, promuovere e tutelare la Lingua dei Segni Italiana. A che punto siamo nel processo di piena inclusione delle persone sorde e dell’abbattimento delle barriere della comunicazione? “Tanto è stato fatto, tanto c’è ancora da fare. In primis abbattere i pregiudizi: nell’immaginario collettivo, per esempio, si pensa sia corretto il termine ‘non udente’. Invece è sbagliato, perché sottolinea un’incapacità. Il termine giusto è ‘sordo’”. Quanto è importante conoscere e divulgare la Lis? “Tanto. La Lis è una vera e propria lingua e come tale impararla apre nuovi mondi e opportunità, oltre che rappresentare una minoranza linguistica, ovvero la comunità dei sordi che include anche gli udenti, come figli e parenti di persone sorde. E, come la lingua italiana, si compone di dialetti, ovvero piccole variazioni diatopiche regionali”. https://twitter.com/i/status/1226093821567610880 Come è arrivato sul prestigioso palco dell'Ariston di Sanremo? “L'edizione appena conclusa è il mio quarto festival. Nel 2020, per la prima volta, il festival è stato tradotto nella lingua dei segni. In quell’occasione feci un casting e fui selezionato. Da allora ogni anno sono stato richiamato per tradurre la kermesse”. Ricordi e curiosità sanremesi? “Nel 2020 ho tradotto Achille Lauro con ‘Me ne frego’, avevo un originale costume di scena con piume scure e mi ricordo durante il ritornello improvvisai una ‘slinguazzata’ con la collega Gloria Antognozzi (quest’anno l’abbiamo vista per la traduzione di “Furore” di Paola e Chiara, ndr). Quell’anno, poi, mi sono ritrovato a tradurre in diretta la scena, diventata famosissima, in cui Morgan è sul palco da solo e si chiede dove è Bugo. E’ stato un attimo, ho dovuto improvvisare perché non sapevo cosa stesse accadendo. Belle soddisfazioni me le ha date anche Aiello nel 2021 con ‘Ora’: tradurre il verso ‘Sesso ibuprofene’ mi ha fatto finire sulle pagine di ‘TrashItaliano’. Mi sono divertito anche l’anno scorso quando ho tradotto Rkomi con ‘Insuperabile’. Ma dietro a ogni Sanremo ci sono ore e ore di prove, un lavoro enorme. Quest’anno eravamo 14 persone tra performer udenti e persone sorde”. Tra gli altri palchi importanti, anche l’Eurovision Song Contest 2022? “Sì, e in quel caso il lavoro è stato ancora più impegnativo perché abbiamo tradotto tutte le canzoni prima in italiano e poi in Lis. Ed era la prima volta di un Eurovision completamente accessibile. Sia a Torino sia in precedenza a Sanremo ho avuto l’onore di tradurre ‘Brividi’, la canzone di Mahmood & Blanco insieme al collega Nicola Noro”. Prossimi impegni? “Ci sono diverse cose in ballo ma ancora non posso anticiparle. Una cosa è certa: spero di tornare in tv il prima possibile, significherebbe che sempre più programmi sono diventati accessibili. La mia speranza è che anche i programmi più culturali aprano alla Lis, perché come sosteneva il grande Piero Angela, la cultura ci può salvare”.
 
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