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Tre fratelli gemelli ipovedenti, col sogno di riportare in patria e in famiglia una storica medaglia nel goalball

di DORIANO RABOTTI -
31 agosto 2021
fratelli

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Quella che state per leggere è una storia che soltanto le Paralimpiadi potevano regalare. Racconta di tre gemelli nati in Belgio trentotto anni fa e oggi riuniti nell’assalto a una medaglia: sarà decisiva la partita di stamattina contro la Lituania, nel torneo di goalball, per capire se il sogno di Arne, Bruno e Tom Vanhove potrà realizzarsi. Il goalball è uno sport che esiste solo alle Paralimpiadi, non ha un corrispettivo nelle Olimpiadi come invece capita a quasi tutte le altre discipline (l’unica altra eccezione è la boccia, una specie di curling con sfere morbide di cuoio). Il goalball si gioca da sdraiati, con una palla che ha due sonagli all’interno perché gli atleti sono ciechi o ipovedenti, e indossano una mascherina a copertura degli occhi per competere nelle stesse condizioni, cercando di segnare in una porta larghissima o evitare i gol avversari. I tre gemelli Vanhove in realtà sono sei, e ovviamente il parto sestuplo di Bruges, nell’agosto del 1983, attirò le attenzioni e i titoli di giornali e tv. Come in Italia avevano fatto, tre anni prima, i figli della signora Giannini, anche loro sei gemelli.

I fratelli Vanhove

I figli dei Vanhove dovevano essere quattro, ma quando nacquero con due mesi di anticipo sulla data prevista i medici scoprirono che ce ne erano altri due. Gli altri tre non risentirono del parto eccezionale, una sofferenza di ossigeno invece provocò a Tom, Bruno e Arne una retinopatia con disabilità visiva fin dalla nascita. Fino ai 12 anni, i tre fratelli giocarono solo nel giardino di casa. Nel 1995 la squadra locale propose ai ragazzi il Torball, antenato del goalball. Divenne una passione di famiglia, anche se solo Bruno, all’inizio, era riuscito ad arrivare alla nazionale. Prese parte alle Olimpiadi di Pechino nel 2008, e dal suo esempio trasse ispirazione Tom, che lo ’raggiunse’ in nazionale ai giochi di Londra 2012. A Tokyo si è aggiunto anche Arne, che nel frattempo aveva preferito dedicarsi agli studi. «Ma non siamo stati portati in Giappone perché siamo fratelli, anche se consideriamo la squadra come una famiglia».

Comunque vada, a casa Vanhove questi Giochi saranno ricordati.