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Home » Politica » Afghanistan: la crisi affama il 59% della popolazione, le donne più colpite sui diritti

Afghanistan: la crisi affama il 59% della popolazione, le donne più colpite sui diritti

La situazione nel Paese medio orientale è drammatica, secondo il nuovo rapporto della Missione delle Nazioni Unite

Domenico Guarino
31 Luglio 2022
Afghanistan donna diritti

Afghanistan, una donna con il burqa chiede l'elemosina. Davanti a lei un soldato armato (EPA)

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Complice la guerra in Ucraina e la crisi energetica, l’Afghanistan sembra essere di nuovo definitivamente scomparso dai radar della comunità internazionale. Eppure, il martoriato Paese asiatico, dopo il ritorno al potere dei Talebani, ha imboccato una pericolosissima strada di erosione se non di negazione dei diritti faticosamente, e solo parzialmente, riconquistati durante gli anni Duemila, a partire dalla sanguinosa guerra che aveva scacciato dal Paese gli Studenti Coranici. E naturalmente come c’era da aspettarsi del resto, le più penalizzate in questa situazione sono le donne. Lo testimonia il nuovo rapporto della Missione delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) che  fa il punto della situazione e conferma la preoccupante involuzione degli ultimi mesi. Esecuzioni extragiudiziali, torture, arresti e detenzioni arbitrarie e violazioni delle libertà fondamentali sono oramai all’ordine del giorno. Le autorità hanno limitato il dissenso reprimendo le proteste e limitando le libertà dei media, ostacolando in tutti i modi e perseguitando giornalisti, manifestanti e attivisti della società civile.

crisi afghanistan
Afghanistan, la crisi economica e umanitaria ha messo in pericolo il 59% della popolazione

La crisi economica e umanitaria pesa sulle spalle delle donne afghane

La situazione dei diritti umani è stata inoltre esacerbata dalla crisi economica, finanziaria e umanitaria: almeno il 59% della popolazione ha ora bisogno di assistenza umanitaria, con un aumento di sei milioni di persone rispetto all’inizio del 2021. In questo quadro sono soprattutto le donne e le ragazze ad aver visto limitati i loro diritti di accedere all‘istruzione, al posto di lavoro e alla partecipazione alla vita pubblica. “L’istruzione non è solo un diritto umano fondamentale, ma la chiave per lo sviluppo di una nazione”, ha fatto presente Markus Potzel, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per l’Afghanistan. Il rapporto riconosce le misure adottate dalle autorità talebane per ridurre la violenza, ma l’UNAMA ha comunque registrato 2.106 vittime civili, con 700 morti e 1.406 feriti. Tali cause sono principalmente attribuite ad attacchi mirati da parte del gruppo terroristico che si identifica come Stato islamico in Iraq e nel Levante – provincia del Khorasan, contro comunità di minoranze etniche e religiose.

Afghanistan donne diritti
Le donne e le ragazze afghane stanno pagando il prezzo peggiore in termini di limitazione o abolizione dei diritti

Secondo il rapporto, le persone più colpite sono state quelle legate al precedente governo e alle sue forze di sicurezza, con 160 esecuzioni extragiudiziali confermate, oltre a 178 arresti e detenzioni arbitrarie e 56 casi di tortura. “È tempo per tutti gli afghani di poter vivere in pace e ricostruire le loro vite dopo 20 anni di conflitto armato”, ha aggiunto Potzel. “Il nostro monitoraggio rivela che, nonostante il miglioramento della situazione della sicurezza dal 15 agosto, il popolo afghano, in particolare donne e ragazze, è privato del pieno godimento dei propri diritti umani“.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere

Complice la guerra in Ucraina e la crisi energetica, l’Afghanistan sembra essere di nuovo definitivamente scomparso dai radar della comunità internazionale. Eppure, il martoriato Paese asiatico, dopo il ritorno al potere dei Talebani, ha imboccato una pericolosissima strada di erosione se non di negazione dei diritti faticosamente, e solo parzialmente, riconquistati durante gli anni Duemila, a partire dalla sanguinosa guerra che aveva scacciato dal Paese gli Studenti Coranici. E naturalmente come c’era da aspettarsi del resto, le più penalizzate in questa situazione sono le donne. Lo testimonia il nuovo rapporto della Missione delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) che  fa il punto della situazione e conferma la preoccupante involuzione degli ultimi mesi. Esecuzioni extragiudiziali, torture, arresti e detenzioni arbitrarie e violazioni delle libertà fondamentali sono oramai all’ordine del giorno. Le autorità hanno limitato il dissenso reprimendo le proteste e limitando le libertà dei media, ostacolando in tutti i modi e perseguitando giornalisti, manifestanti e attivisti della società civile.

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Afghanistan, la crisi economica e umanitaria ha messo in pericolo il 59% della popolazione

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La situazione dei diritti umani è stata inoltre esacerbata dalla crisi economica, finanziaria e umanitaria: almeno il 59% della popolazione ha ora bisogno di assistenza umanitaria, con un aumento di sei milioni di persone rispetto all’inizio del 2021. In questo quadro sono soprattutto le donne e le ragazze ad aver visto limitati i loro diritti di accedere all‘istruzione, al posto di lavoro e alla partecipazione alla vita pubblica. "L'istruzione non è solo un diritto umano fondamentale, ma la chiave per lo sviluppo di una nazione”, ha fatto presente Markus Potzel, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per l’Afghanistan. Il rapporto riconosce le misure adottate dalle autorità talebane per ridurre la violenza, ma l’UNAMA ha comunque registrato 2.106 vittime civili, con 700 morti e 1.406 feriti. Tali cause sono principalmente attribuite ad attacchi mirati da parte del gruppo terroristico che si identifica come Stato islamico in Iraq e nel Levante – provincia del Khorasan, contro comunità di minoranze etniche e religiose.

Afghanistan donne diritti
Le donne e le ragazze afghane stanno pagando il prezzo peggiore in termini di limitazione o abolizione dei diritti

Secondo il rapporto, le persone più colpite sono state quelle legate al precedente governo e alle sue forze di sicurezza, con 160 esecuzioni extragiudiziali confermate, oltre a 178 arresti e detenzioni arbitrarie e 56 casi di tortura. "È tempo per tutti gli afghani di poter vivere in pace e ricostruire le loro vite dopo 20 anni di conflitto armato", ha aggiunto Potzel. "Il nostro monitoraggio rivela che, nonostante il miglioramento della situazione della sicurezza dal 15 agosto, il popolo afghano, in particolare donne e ragazze, è privato del pieno godimento dei propri diritti umani“.

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