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Home » Politica » “Da ragazzina fui aggredita due volte e stetti zitta. A mia figlia dirò: urla, mordi, insulta. A vergognarti non devi essere tu”

“Da ragazzina fui aggredita due volte e stetti zitta. A mia figlia dirò: urla, mordi, insulta. A vergognarti non devi essere tu”

La giornalista Valentina Bertuccio D'Angelo contribuisce con ricordi personali al dibattito #ilgiornodopo. Fui molestata da ragazzina, l'indomani andai a scuola e non dissi mai nulla, per vergogna. Alla mia bimba insegnerò a ribellarsi". Se volete condividere la vostra storia, scrivete a redazione@luce.news

Valentina Bertuccio D'Angelo
29 Aprile 2021
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Nell’ultimo periodo quelli che ne sanno definiscono “survivor” chi “sopravvive” a un assalto, una violenza. Ecco, se è così io sono una micro survivor perché nella mia vita sono stata molto fortunata, non sono mai stata vittima di un abuso sessuale grave, di quelli per cui c’è un prima e un dopo. Però ho subito decine di piccole aggressioni, di molestie, innumerevoli casi di cat calling. E credo che come me ogni donna in Italia possa raccontare la stessa identica storia. L’ultimo episodio risale a qualche sera fa, stavo tornando a casa in bici dal lavoro e in una vietta deserta un ragazzo si è messo in mezzo alla strada per mostrarmi meglio il suo pene.

Qui però vorrei ricordare due episodi che mi hanno segnata profondamente e che per anni non sono riuscita a raccontare perché mi vergognavo tantissimo, alla faccia di quelli che dicono che se una denuncia tardi è perché forse tanto innocente non è.

Avevo dodici anni, era carnevale

Il primo risale a quando avevo 12 anni e fu probabilmente la prima volta in cui mi sentii preda. Andavo in seconda media, ero acerba e del mio corpo pensavo di tutto (cose orribili perlopiù) tranne che potesse interessare a qualcuno. Era il sabato di carnevale, ero in giro per la mia città con un’amichetta, in mezzo alla sfilata dei carri, le stelle filanti, i coriandoli e le bombolette spray. Indossavo un camice bianco tipo quello da infermiere, lungo perché era dei miei genitori. Nella via del passeggio, piena di gente fummo puntate da un gruppetto di coetanei che frequentavano la nostra stessa scuola: ci accerchiarono, la mia amica scappò in un negozio, io non riuscii e mi rannicchiai contro un muro. Quei ragazzini iniziarono a toccarmi un po’ ovunque, il sedere, il petto, mentre cercavo di proteggermi. La via era invasa di persone ma nessuno fece caso a noi, forse pensavano stessimo giocando. Eravamo bambini. Alla fine riuscii ad alzarmi e scappai anche io dentro il negozio mentre loro da fuori ridevano beffardi e poi si allontanarono. #ilgiornodopo andai a scuola, ovviamente, che dovevo fare? Però questo episodio non lo raccontai a nessuno per anni, tanta era la vergogna.

A quattordici anni, in metropolitana

Due anni dopo un episodio molto diverso ma che ancora ricordo con dolore per la mia reazione: avevo 14 anni, erano le prime settimane di scuola superiore, stavo tornando a casa in metropolitana. Ero seduta mentre davanti a me avevo un compagno. Accanto, un signore, un uomo di mezza età che leggeva un giornale. Piano piano la mano che reggeva il giornale dal mio lato iniziò a scendere verso la mia gamba, finché si appoggiò del tutto e con un dito prese ad accarezzarmi la coscia. Io non riuscii a fare né dire niente, ero pietrificata. Il mio amico parlava, non si era accorto, io vedevo le sue labbra muoversi ma non sentivo quello che diceva, sapevo solo che dovevo fare qualcosa. Non feci assolutamente nulla. E quello strazio finì quando l’uomo si alzò per scendere. #ilgiornodopo tornai a scuola, che dovevo fare? E anche allora non dissi nulla a nessuno.

Tutti devono sapere

Ora ho una figlia piccola, le insegnerò che se dovesse mai capitarle una cosa del genere deve urlare, mordere, insultare. Tutti devono sapere. E la vergogna non la deve provare lei ma chi la sta aggredendo.

Care lettrici, cari lettori, uscite dal silenzio

La campagna social #ilgiornodopo lanciata da Eva Dal Canto in risposta al video di Beppe Grillo (in cui difendeva il figlio indagato per violenza sessuale), sta stimolando molte persone a raccontare sui social esperienze e ricordi legati a episodi di stupri, molestie, violenze. Prima di Valentina Bertuccio D’Angelo, anche la giornalista Letizia Cini ha pubblicato su Luce! il ricordo della violenza subìta da ragazzina. (Qui il video dell’intervista di Letizia Cini su Lady Radio). Se volete condividere la vostra testimonianza, e partecipare alla campagna  #ilgiornodopo, scriveteci a  redazione@luce.news 

 

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Instagram

  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
Nell’ultimo periodo quelli che ne sanno definiscono “survivor” chi “sopravvive” a un assalto, una violenza. Ecco, se è così io sono una micro survivor perché nella mia vita sono stata molto fortunata, non sono mai stata vittima di un abuso sessuale grave, di quelli per cui c’è un prima e un dopo. Però ho subito decine di piccole aggressioni, di molestie, innumerevoli casi di cat calling. E credo che come me ogni donna in Italia possa raccontare la stessa identica storia. L’ultimo episodio risale a qualche sera fa, stavo tornando a casa in bici dal lavoro e in una vietta deserta un ragazzo si è messo in mezzo alla strada per mostrarmi meglio il suo pene. Qui però vorrei ricordare due episodi che mi hanno segnata profondamente e che per anni non sono riuscita a raccontare perché mi vergognavo tantissimo, alla faccia di quelli che dicono che se una denuncia tardi è perché forse tanto innocente non è.

Avevo dodici anni, era carnevale

Il primo risale a quando avevo 12 anni e fu probabilmente la prima volta in cui mi sentii preda. Andavo in seconda media, ero acerba e del mio corpo pensavo di tutto (cose orribili perlopiù) tranne che potesse interessare a qualcuno. Era il sabato di carnevale, ero in giro per la mia città con un’amichetta, in mezzo alla sfilata dei carri, le stelle filanti, i coriandoli e le bombolette spray. Indossavo un camice bianco tipo quello da infermiere, lungo perché era dei miei genitori. Nella via del passeggio, piena di gente fummo puntate da un gruppetto di coetanei che frequentavano la nostra stessa scuola: ci accerchiarono, la mia amica scappò in un negozio, io non riuscii e mi rannicchiai contro un muro. Quei ragazzini iniziarono a toccarmi un po’ ovunque, il sedere, il petto, mentre cercavo di proteggermi. La via era invasa di persone ma nessuno fece caso a noi, forse pensavano stessimo giocando. Eravamo bambini. Alla fine riuscii ad alzarmi e scappai anche io dentro il negozio mentre loro da fuori ridevano beffardi e poi si allontanarono. #ilgiornodopo andai a scuola, ovviamente, che dovevo fare? Però questo episodio non lo raccontai a nessuno per anni, tanta era la vergogna.

A quattordici anni, in metropolitana

Due anni dopo un episodio molto diverso ma che ancora ricordo con dolore per la mia reazione: avevo 14 anni, erano le prime settimane di scuola superiore, stavo tornando a casa in metropolitana. Ero seduta mentre davanti a me avevo un compagno. Accanto, un signore, un uomo di mezza età che leggeva un giornale. Piano piano la mano che reggeva il giornale dal mio lato iniziò a scendere verso la mia gamba, finché si appoggiò del tutto e con un dito prese ad accarezzarmi la coscia. Io non riuscii a fare né dire niente, ero pietrificata. Il mio amico parlava, non si era accorto, io vedevo le sue labbra muoversi ma non sentivo quello che diceva, sapevo solo che dovevo fare qualcosa. Non feci assolutamente nulla. E quello strazio finì quando l’uomo si alzò per scendere. #ilgiornodopo tornai a scuola, che dovevo fare? E anche allora non dissi nulla a nessuno.

Tutti devono sapere

Ora ho una figlia piccola, le insegnerò che se dovesse mai capitarle una cosa del genere deve urlare, mordere, insultare. Tutti devono sapere. E la vergogna non la deve provare lei ma chi la sta aggredendo.

Care lettrici, cari lettori, uscite dal silenzio

La campagna social #ilgiornodopo lanciata da Eva Dal Canto in risposta al video di Beppe Grillo (in cui difendeva il figlio indagato per violenza sessuale), sta stimolando molte persone a raccontare sui social esperienze e ricordi legati a episodi di stupri, molestie, violenze. Prima di Valentina Bertuccio D'Angelo, anche la giornalista Letizia Cini ha pubblicato su Luce! il ricordo della violenza subìta da ragazzina. (Qui il video dell'intervista di Letizia Cini su Lady Radio). Se volete condividere la vostra testimonianza, e partecipare alla campagna  #ilgiornodopo, scriveteci a  redazione@luce.news   
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