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Home » Politica » A casa, coi figli in dad, cercando di lavorare in smart. Quando si diventa supermamme

A casa, coi figli in dad, cercando di lavorare in smart. Quando si diventa supermamme

Dai genitori operai ignari di didattica a distanza, che devono farsi prestare il pc dal fratello e la freelance che allo smart era "condannata" da sempre

Cristiana Mariani
9 Maggio 2021
Father trying to work from home

Father trying to work from home

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In italiano significa letteralmente “intelligente”, ma il termine “smart” racchiude in sé un numero di sfumature illimitate. Così come illimitate sono le sfumature delle mamme in questa pandemia. Mamme diventate “4.0” a causa del covid-19. Proprio per questo motivo la Festa della mamma quest’anno ha un sapore particolare per molte donne. Donne che non si sono arrese alle difficoltà del momento, donne che non hanno potuto farlo. Superdonne, verrebbe da pensare. Ma in realtà donne che hanno dovuto e saputo cambiare pelle. “Cosa è cambiato per me con la pandemia? Praticamente tutto – racconta Annalisa, madre di Legnano in provincia di Milano che ha vissuto la pandemia con il marito e i tre figli: uno di 9, uno di 7 e uno di quattro anni. “Mio marito ed io siamo operai e non sapevamo nulla di didattica a distanza – racconta -. Abbiamo imparato insieme ai nostri bambini”. Fino all’inizio del 2020 il termine “dad” evocava per gli anglofili il termine “papà” tradotto in inglese. Oggi la stragrande maggioranza degli italiani leggerebbe in ogni caso il termine come scritto, ovvero “dad”, e non “ded” come sarebbe in inglese. “Con il passare del tempo la didattica a distanza è entrata nel nostro quotidiano, ma all’inizio è stata dura – ricorda Annalisa -. Gestire le lezioni di tre bambini non era facile: uno usava il mio cellulare, un altro computer di casa e per il terzo abbiamo chiesto a mio fratello di prestarci il suo pc”.

Dopo l’organizzazione pratica, si è dovuti passare al cambio di mentalità. “Le prime settimane sono state disastrose – spiega la 42enne legnanese -. Io ero in cassa integrazione, per fortuna mio marito ha ripreso a lavorare presto. Praticamente non avevo il tempo neppure di fare la doccia. Avere tre bimbi in casa tutto il giorno ha richiesto pazienza e tanta fantasia. Ho dovuto inventarmi di tutto per tenerli impegnati”.

Lo smartwork, da opportunità ad obbligo

Anche chi è più tecnologico e ha fatto della flessibilità la propria cifra distintiva ha dovuto cambiare parte della propria natura. “Non siamo supermamme – commenta Erika -. Siamo mamme. Le mamme hanno sempre risorse nascoste, risorse che riescono a tirare fuori nei momenti difficili. In questo anno e mezzo il mio compagno mi ha aiutata molto, ma inevitabilmente nostra figlia si è affidata molto a me. Ho dovuto modificare i ritmi delle mie giornate: con la bimba a casa e le lezioni in didattica a distanza, tutto è cambiato. Essendo una freelance, lo smart working rappresenta la mia quotidianità ormai da oltre dieci anni. Non è stato facile e non lo è tutt’oggi, ma con un po’ di organizzazione ci si riesce”.

“Lo smart working? All’inizio per me ha rappresentato una vera svolta, poi però ho sentito la necessità di evadere – racconta Cristina – Però non lo potevo fare. I miei due figli, Letizia di 8 anni e Paolo di 11, ne avrebbero risentito. Ho imparato la dad insieme a loro, ho cercato di portare avanti il mio lavoro dando ai bimbi la massima attenzione”.

 

 

 

 

 

 

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
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Lo smartwork, da opportunità ad obbligo

Anche chi è più tecnologico e ha fatto della flessibilità la propria cifra distintiva ha dovuto cambiare parte della propria natura. “Non siamo supermamme - commenta Erika -. Siamo mamme. Le mamme hanno sempre risorse nascoste, risorse che riescono a tirare fuori nei momenti difficili. In questo anno e mezzo il mio compagno mi ha aiutata molto, ma inevitabilmente nostra figlia si è affidata molto a me. Ho dovuto modificare i ritmi delle mie giornate: con la bimba a casa e le lezioni in didattica a distanza, tutto è cambiato. Essendo una freelance, lo smart working rappresenta la mia quotidianità ormai da oltre dieci anni. Non è stato facile e non lo è tutt’oggi, ma con un po’ di organizzazione ci si riesce”. “Lo smart working? All’inizio per me ha rappresentato una vera svolta, poi però ho sentito la necessità di evadere - racconta Cristina - Però non lo potevo fare. I miei due figli, Letizia di 8 anni e Paolo di 11, ne avrebbero risentito. Ho imparato la dad insieme a loro, ho cercato di portare avanti il mio lavoro dando ai bimbi la massima attenzione”.  
 
     
 
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