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Home » Politica » Morire per la libertà: a 44 anni di distanza l’assassino di Giorgiana Masi è ancora ignoto

Morire per la libertà: a 44 anni di distanza l’assassino di Giorgiana Masi è ancora ignoto

La studentessa e attivista venne uccisa mentre manifestava a Roma nel terzo anniversario da in una giornata di scontri con i poliziotti infiltrati che non esitarono a sparare sulla folla

Camilla Prato
12 Maggio 2021
Persone depongono fiori sul luogo dove e' stata uccisa Giorgiana Masi, Roma 13 maggio 1977. La ragazza venne uccisa da un colpo d'arma da fuoco durante una manifestazione di piazza. ANSA

Persone depongono fiori sul luogo dove e' stata uccisa Giorgiana Masi, Roma 13 maggio 1977. La ragazza venne uccisa da un colpo d'arma da fuoco durante una manifestazione di piazza. ANSA

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Persone depongono fiori sul luogo dove è stata uccisa Giorgiana Masi, Roma 13 maggio 1977.

Era una studentessa, femminista, e una militante del Partito Radicale. Quel giorno, quel 12 maggio 1977, come molti, stava celebrando il terzo anniversario del referendum sul divorzio. Giorgiana Masi (Giorgina il vero nome) però, è diventata qualcosa di più. Da quel giorno, in cui fu uccisa, divenne il simbolo del clima che si respirava alla metà degli anni ’70, un clima rovente fatto di università occupate, manifestazioni, radio libere dove “i ragazzi del ’77” raccontavano le loro battaglie per un mondo migliore.

Quel giorno la 18enne romana partecipa al sit-in pacifico organizzato dai radicali in Piazza Navona. Una manifestazione che non doveva esserci, per il divieto imposto dall’allora Ministro dell’Interno Francesco Cossiga dopo i fatti del 21 aprile 1977, quando in una sparatoria fra alcuni manifestanti di Autonomia Operaia e i poliziotti venne ucciso Settimio Passamonti. I manifestanti del 12 maggio, però, scendono in piazza solo per celebrare il terzo anniversario della vittoria del referendum sul divorzio. La sera prima, Marco Pannella, leader del Partito Radicale, aveva pubblicato un comunicato: si annunciava la totale rinuncia a ogni intervento politico. Un clima pacifista che viene interrotto dalle forze dell’ordine. Il subbuglio esplode in varie zone della città: 5mila agenti in divisa e tantissimi in borghese iniziano a lanciare lacrimogeni, picchiare, utilizzare armi da fuoco.

Giorgiana Masi è lì. Insieme al fidanzato è tra i giovani che riempiono le strade di Roma e sta cercando rifugio dalla pioggia di candelotti lacrimogeni provenienti dal cielo. All’improvviso da Ponte Garibaldi – dove si trovano i reparti della polizia – parte una sequenza di colpi: alcuni proiettili feriscono alla gamba una ragazza. Giorgiana corre poi alcuni presenti la vedono cadere a terra “come fosse inciampata”. Non è così: la ragazza cade perché raggiunta alle spalle da un proiettile calibro 22. Inutile la corsa in ospedale, dove la giovane arriva già morta.

Quella sera stessa, Francesco Cossiga, dichiara di non aver mandato alcun agente in borghese nel corteo, asserendo il non utilizzo delle armi da fuoco per ripristinare l’ordine pubblico. L’indomani, riferendo in Parlamento, elogia anzi il “grande senso di prudenza e moderazione delle forze dell’ordine”.  Ma il Partito Radicale non ci sta ed effettua un puntuale lavoro di ricostruzione dei fatti: vengono raccolte numerose testimonianze e soprattutto inequivocabili foto e filmati che riprendono agenti armati, in divisa e in borghese, mentre puntano le armi contro i manifestanti. Così il ministro è costretto ad ammettere la presenza di squadre speciali ma, come spesso accade, anche per l’omicidio della giovane studentessa i responsabili non si troveranno mai.

Quattro anni dopo, nel 1981, l’inchiesta viene archiviata “per essere rimasti ignoti i responsabili del reato”. Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione Stragi, successivamente ha affermato che “quel giorno ci possa essere stato un atto di strategia della tensione, un omicidio deliberato per far precipitare una situazione e determinare una soluzione involutiva dell’ordine democratico, quasi un tentativo di anticipare un risultato al quale, per via completamente diversa, si arrivò nel 1992-1993″. E di nuovo, come spesso succede, anche chi conosceva il nome del colpevole non lo ha mai detto: in un’intervista del 2007, lo stesso Francesco Cossiga ha infatti dichiarato di essere tra le cinque persone che sapevano chi uccise Giorgiana Masi. Un segreto che probabilmente, non verrà mai disseppellito.

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  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
Persone depongono fiori sul luogo dove è stata uccisa Giorgiana Masi, Roma 13 maggio 1977.
Era una studentessa, femminista, e una militante del Partito Radicale. Quel giorno, quel 12 maggio 1977, come molti, stava celebrando il terzo anniversario del referendum sul divorzio. Giorgiana Masi (Giorgina il vero nome) però, è diventata qualcosa di più. Da quel giorno, in cui fu uccisa, divenne il simbolo del clima che si respirava alla metà degli anni ’70, un clima rovente fatto di università occupate, manifestazioni, radio libere dove "i ragazzi del '77" raccontavano le loro battaglie per un mondo migliore. Quel giorno la 18enne romana partecipa al sit-in pacifico organizzato dai radicali in Piazza Navona. Una manifestazione che non doveva esserci, per il divieto imposto dall'allora Ministro dell’Interno Francesco Cossiga dopo i fatti del 21 aprile 1977, quando in una sparatoria fra alcuni manifestanti di Autonomia Operaia e i poliziotti venne ucciso Settimio Passamonti. I manifestanti del 12 maggio, però, scendono in piazza solo per celebrare il terzo anniversario della vittoria del referendum sul divorzio. La sera prima, Marco Pannella, leader del Partito Radicale, aveva pubblicato un comunicato: si annunciava la totale rinuncia a ogni intervento politico. Un clima pacifista che viene interrotto dalle forze dell’ordine. Il subbuglio esplode in varie zone della città: 5mila agenti in divisa e tantissimi in borghese iniziano a lanciare lacrimogeni, picchiare, utilizzare armi da fuoco. Giorgiana Masi è lì. Insieme al fidanzato è tra i giovani che riempiono le strade di Roma e sta cercando rifugio dalla pioggia di candelotti lacrimogeni provenienti dal cielo. All'improvviso da Ponte Garibaldi – dove si trovano i reparti della polizia – parte una sequenza di colpi: alcuni proiettili feriscono alla gamba una ragazza. Giorgiana corre poi alcuni presenti la vedono cadere a terra "come fosse inciampata". Non è così: la ragazza cade perché raggiunta alle spalle da un proiettile calibro 22. Inutile la corsa in ospedale, dove la giovane arriva già morta. Quella sera stessa, Francesco Cossiga, dichiara di non aver mandato alcun agente in borghese nel corteo, asserendo il non utilizzo delle armi da fuoco per ripristinare l’ordine pubblico. L'indomani, riferendo in Parlamento, elogia anzi il "grande senso di prudenza e moderazione delle forze dell'ordine".  Ma il Partito Radicale non ci sta ed effettua un puntuale lavoro di ricostruzione dei fatti: vengono raccolte numerose testimonianze e soprattutto inequivocabili foto e filmati che riprendono agenti armati, in divisa e in borghese, mentre puntano le armi contro i manifestanti. Così il ministro è costretto ad ammettere la presenza di squadre speciali ma, come spesso accade, anche per l'omicidio della giovane studentessa i responsabili non si troveranno mai. Quattro anni dopo, nel 1981, l'inchiesta viene archiviata "per essere rimasti ignoti i responsabili del reato". Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione Stragi, successivamente ha affermato che "quel giorno ci possa essere stato un atto di strategia della tensione, un omicidio deliberato per far precipitare una situazione e determinare una soluzione involutiva dell'ordine democratico, quasi un tentativo di anticipare un risultato al quale, per via completamente diversa, si arrivò nel 1992-1993". E di nuovo, come spesso succede, anche chi conosceva il nome del colpevole non lo ha mai detto: in un'intervista del 2007, lo stesso Francesco Cossiga ha infatti dichiarato di essere tra le cinque persone che sapevano chi uccise Giorgiana Masi. Un segreto che probabilmente, non verrà mai disseppellito.
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