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Guerra di donne nella politica italiana: le storie delle protagoniste che sanno come farsi valere

di ETTORE MARIA COLOMBO -
20 maggio 2022
GuerraDonnePolitica

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Nel giorno in cui la premier finlandese Sanna Marin viene a Roma e incontra il premier italiano Mario Draghi, per perorare la causa dell’ingresso della Finlandia nella Nato, rinunciando così a lunghi decenni di neutralità, le donne che stanno sul proscenio della politica italiana se le danno di santa ragione, tra partiti e schieramenti politici, ma dimostrando vitalità e la capacità di imporsi a tanti loro colleghi maschi, ma anche di saper fare politica in modo più sottile e raffinato, imponendosi con la forza delle idee. La ‘guerra delle donne’ impazza in Forza Italia, una donna, Stefania Craxi, viene eletta a sorpresa presidente della commissione Esteri del Senato e una donna, la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni riesce nella incredibile impresa di far fallire il vertice di centrodestra con Salvini e Berlusconi, faticosamente convocato dopo mesi in cui i tre leader si erano guardati in cagnesco. 

L’elezione a sorpresa di Stefania Craxi 

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Stefania Craxi, 61 anni, è stata eletta presidente della Commissione Esteri del Senato

Ma partiamo proprio dalla vicenda di Stefania Craxi. Figlia dell’ex segretario socialista Bettino Craxi, 61 anni, milanese, imprenditrice, produttrice televisiva, è la 'vestale della memoria' del padre e testimonial vivente della persecuzione che ha subito negli anni delle inchieste di Tangentopoli prima e dell’esilio poi. Eletta nel 2006 alla Camera nelle liste di Forza Italia, rieletta alle politiche del 2008 con il Popolo della libertà, è stata sottosegretario di Stato agli Affari Esteri nel governo Berlusconi IV, ma nel 2011 si iscrive al gruppo Misto. Nel 2013 Stefania Craxi riprende il rapporto e la collaborazione con la nuova Forza Italia. Eletta senatrice nel 2018, diventa vicepresidente della commissione Esteri e, da oggi, ne è diventata la nuova presidente. Un vero e proprio, inaspettato, colpo di mano del centrodestra che ha approfittato delle divisioni in campo altrui, quelle dei giallorossi e dentro il M5s. Dopo il ‘caso Petrocelli’ – il compagno Petrov, come era stato soprannominato l’ex presidente Vito Petrocelli poi destituito dal Senato grazie alle dimissioni in massa di tutti i componenti della commissioni per le sue posizioni filo-putiniane e filo-cinesi – e dopo il ‘caso Ferrara’ (Gianluca Ferrara), senatore dei 5Stelle di cui erano venute a galla posizioni antiamericane, il M5s aveva deciso di puntare le sue carte sull’ex capogruppo del Senato, Ettore Licheri, fedelissimo di Conte. La Craxi se ne stava acquattata e in silenzio ma, al momento del voto, la sua candidatura si è imposta in un amen. I 5Stelle, ovviamente, sono andati su tutte le furie (“Prendiamo atto che si è formata un’altra maggioranza, che va da FdI a Iv” hanno detto), ma pagano l’incapacità di puntare su un’altra donna, Simona Nocerino, la cui pecca era di essere ritenuta troppo vicina a Di Maio… E così, sono andati a schiantarsi. Risultato: 12 voti per Craxi (maggioranza assoluta), 9 a Licheri e una scheda bianca. Un altro fallimento per un'altra donna forte’del M5s, Paola Taverna, vicepresidente del Senato e ‘contiana’ che ha, inutilmente, lavorato per settimane su Licheri. Peraltro, la capogruppo del M5s al Senato Mariolina Castellone è donna, ma non ha toccato palla. Un decano del Parlamento come Pierferdinando Casini parla di “dilettantismo politico” dei 5Stelle, che accusano di “scorrettezza” gli altri partiti. Ma in democrazia vince chi ha più voti: la Craxi li aveva (quelli del Misto, oltre ai suoi) e ha lavorato nell’ombra. Impeccabile la sua dichiarazione da neo-presidente: “La politica estera di un grande Paese come l’Italia – ha detto la Craxi –m per ragioni valoriali e culturali, ancor prima che storiche e geopolitiche, non può non avere chiari connotati atlantici, un atlantismo della ragione che non ammette deroghe ma non accetta subalternità”. Una donna alla presidenza di una commissione cruciale come quella degli Esteri, e nella Camera alta, il Senato, è un semi-unicuum di cui il Palazzo ha scarsa memoria. La Craxi, ormai lontana dalla furia anti-magistrati e anche dal ritenersi unica depositaria della memoria del padre, farà di certo assai bene. 

La ‘guerra di donne’ scuote Forza Italia

Licia Ronzulli, senatrice di Forza Italia e principale consigliera di Silvio Berlusconi

Impazza, però, dentro il suo partito, Forza Italia, una vera e propria ‘guerra delle donne’. Tagliando con l’accetta le posizioni, da un lato ci sono le due ministre – Mara Carfagna e Mariastella Gelmini – e dall’altra l’ultima ‘vestale’ di Arcore, la senatrice Licia Ronzulli. Milanese, classe 1975, manager ospedaliero, ex eurodeputata, dal 2018 senatrice, è diventata – in pratica dal 2016, sostituendo la ex storica ‘badante’ del Cavaliere, Mariarosaria Rossi (senatrice a sua volta, ma uscita da FI e oggi nel Misto), quando questi subì un delicato intervento al cuore – la principale assistente e consigliera del leader di FI. La sua vicinanza a Salvini e alla Lega è nota e, proprio per questo motivo, viene da tempo molto criticata, dentro il partito azzurro. Ora è diventata la nuova commissaria di FI per la Lombardia, bacino di voti azzurri, ed ha dunque acquisito ancora più potere, ma proprio la nomina ha scatenato le ire della ministra Gelmini perché la testa che è rotolata, in quell’incarico, è di un suo fedelissimo, Massimiliano Salini. La Ronzulli – famosa per la foga con cui difende il Cav in tv, che ha rilasciato una dichiarazione altisonante all’atto della nomina (“Sono un soldato nelle mani del presidente Berlusconi. Mi ha chiamato e, da figlia dell’Arma, ho risposto: presente!”) – è una pasdaran sia del centrodestra che di un’alleanza sempre più stretta con Salvini, alle soglie di un ‘partito unico’ tra la Lega e FI che molti, tra gli azzurri, vivono come la peste. 

Di tutt’altra pasta, tempra e modi è fatta la Mariastella Gelmini. Classe 1973, lombarda, in Parlamento dal 2006, ministro all’Istruzione nel IV governo Berlusconi, capogruppo di FI dal 2018 al 2021, oggi ministra agli Affari regionali e Autonomie nel governo Draghi, discreta e mite, gentile e affabile, nel corso degli anni si è spostata su posizioni sempre più moderate e liberal, dall’iniziale super-berlusconismo, diventando una delle ‘bestie nere’ della corte di Arcore. Draghiana di ferro, fa asse con l’altra ministra azzurra, Mara Carfagna, e con il liberal, ex socialista, ministro Renato Brunetta. Dopo aver affrontato il coordinatore nazionale, Antonio Tajani, a brutto muso, per la defenestrazione del 'suo' Salini (“La Ronzulli porterà allo sfascio il partito. Io mi sono stancata. Non credo di meritarmelo. C’è un odio nei miei confronti. Vuole sfregiare i miei uomini”), martedì ha dato un’intervista al Corriere della Sera dal contenuto politicamente dirompente: “Le ambiguità pro-Putin dentro FI sono un danno al Paese. Non riconosco più lo spirito di Berlusconi. FI non può che essere atlantista. Nel partito c’è un deficit sempre più evidente di discussione e condivisione, di selezione della classe dirigente”. Parole pesanti che danno il climax della divisione e di una possibile, definitiva, rottura dentro FI.

Mariastella Gelmini e Mara Carfagna

Le ministre di Forza Italia Mariastella Gelmini (dx) e Mara Carfagna (sx)

Intanto la Carfagna tesse la sua area moderata

Da questo punto di vista, almeno per ora, l’altra ministra – storicamente capofila dell’ala moderata e liberal – Mara Carfagna (classe 1975, salernitana, all’origine modella e showgirl, poi un lungo, serio e denso lavoro per costruire una immagine politica tutta diversa; parlamentare dal 2006, ministra alle Pari opportunità nel IV governo Berlusconi, vicepresidente della Camera, ora ministra al Sud), ha mantenuto nello scontro tra Gelmini e Ronzulli un profilo basso, senza dire una parola. Ma per chi vadano le sue simpatie è chiaro. Fondatrice di un’area schiettamente moderata, ‘Voce libera’, dentro FI, anti-sovranista e anti-salviniana da anni, ha costruito, lo scorso week end, a Napoli, un mega-evento (“Verso Sud”) con l’intero gotha della politica e dell’imprenditoria (Mattarella e Draghi in prima fila). Una esibizione di muscoli, in piena filosofia ‘soft power’, che è servita per accreditarla ancora di più come il punto di riferimento di liberal, moderati e riformisti che, se FI si schiaccerà sulla Lega in un partito unico e nell’alleanza con la Meloni, potrebbe prendere cappello e cappotto per dare vita a un nuovo schieramento politico, di area centrista, coi vari Renzi, Calenda, Bonino, specialmente se passasse una riforma della legge elettorale in senso proporzionale. E, magari, portandosi dietro proprio la Gelmini e soci. 

Meloni, la leader che ha il potere di far fallire persino i vertici del centrodestra

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La leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni

E si arriva, così, alla leader di FdI, Giorgia Meloni, che – proprio come il protagonista de “La Grande Bellezza” – le feste ha il grande potere di “farle fallire”. Nella fattispecie, si tratta del tanto atteso e agognato vertice del centrodestra che si è tenuto lunedì ad Arcore con Salvini e Berlusconi. Forte dei consensi che miete nel Paese (ormai FdI è stabilmente il primo partito in tutti i sondaggi), la Meloni ha deciso – da sola – che è finito il tempo in cui tutto andava bene, nascondendo i dissidi sotto il tappeto. Lo ha detto in privato e pure pubblicamente. La Meloni pensa che, da parte dei suoi alleati, sia in atto il tentativo di “imbrigliare e fermare” la sua corsa, di metterla ai margini. Addirittura di “essere disposti a perdere” pur di “addossarmi la colpa” e “impedire la vittoria dei sovranisti”. Il risultato è stato che, invece della classica nota congiunta, alla fine del vertice, la Meloni ne ha prodotta una solo di FdI in cui ha messo in fila tutte le cose che non vanno: alleanze zoppicanti nelle città al voto, caso Sicilia (dove gli alleati non vogliono ricandidare il suo Musumeci), ma anche le regole d’ingaggio per le prossime elezioni, a partire da quel ‘patto anti-inciucio’ che gli alleati non vogliono concedere. Un clima gelido, al vertice, che la Meloni ha contribuito a rendere di ghiaccio anche perché – come ha fatto sapere – non ama "quel modo molto maschile di considerarmi una ragazzina". Una stoccata di genere allo storico predominio maschile che, specie a destra, l’ha sempre fatta da padrone. 

La marcia in più delle donne in lotta tra loro 

La Meloni, invece, si sente donna, e pure fatta, e pensa di essere lei la leader del centrodestra, oggi e nel futuro. I maschietti non sono d’accordo? Lei andrà avanti per la sua strada. Come pure faranno, forse, le ministre Carfagna e Gelmini contro la donna di ros’ che comanda al cuore del Cavaliere, la Ronzulli. La Craxi, invece, dopo anni in sordina, ha vinto la sua buona battaglia. Ma cosa contraddistingue, in positivo e negativo, le battaglie politiche di queste donne rispetto a quelle degli uomini? Non solo la brama di Potere, come è scontato – e pure lecito – aspettarsi, ma anche un nuovo approccio alla Politica fatto di pugno di ferro in guanto di velluto, di polemiche civili, ma mai irate, di posizionamenti tattici ma forti di una robusta identità politica alle spalle, di rivendicazione della propria specificità femminile ma senza rinunciare a pretendere di avere ruoli, di capacità di tessere relazioni – e trame – in modo aperto, e legittimo, senza doversi più nascondere. Perché le donne, anche in politica, dimostrano di avere una marcia in più sugli uomini e tra di loro. 

Ps. Se in questo articolo non abbiamo citato neppure una donna di centrosinistra è perché, almeno in questa fase, hanno assai poco da dire. Certo, il Pd ha due capigruppo donne (Malpezzi e Serracchiani) e l’M5s una (la Castellone) ma il loro potere e il loro contributo al dibattito politico è sempre, o per lo più, a ricasco e a rimorchio dei loro leader, che sono tutti ‘maschi’ (da Letta a Conte, da Renzi a Calenda). Insomma, per paradosso, la sinistra ne ha ancora di strada da fare per mettere in campo donne di grande rilievo.