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Home » Politica » Il Senato blocca l’iter parlamentare sul Ddl Zan: affossata la legge contro l’omolesbobitransfobia

Il Senato blocca l’iter parlamentare sul Ddl Zan: affossata la legge contro l’omolesbobitransfobia

Ventitré voti di differenza hanno deciso lo stop all'esame della legge sull'omolesbobitransfobia: 154 a favore, 131 contrari, 2 astenuti. La presidente Casellati ha approvato la "tagliola" di Lega e FdI che esultano, rabbia e delusione da Pd, Leu e M5S

Marianna Grazi
27 Ottobre 2021
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Ha vinto la paura. Il Ddl Zan non passa la prova del Senato e viene di fatto affossato: con 154 voti favorevoli, 131 contrari e 2 astenuti è stata approvata a voto segreto la proposta di Lega e Fratelli d’Italia di non discutere nemmeno gli articoli e passare direttamente al voto finale. La cosiddetta “tagliola” (art.96 regolamento del Senato).

Ora il testo torna in Commissione Giustizia, dove non potrà essere ridiscusso – ma modificato – prima di sei mesi. I tempi si allungano e difficilmente la discussione sul Ddl Zan potrà essere completata entro la fine della legislatura. Un tempo infinito per chi ogni giorno si scontra con la realtà fuori dal Parlamento, con la violenza, la discriminazione, l’odio che gli viene rivolto solo per le sue scelte personali, identitarie.

Il deputato Alessandro Zan commenta il voto del Senato

Una sconfitta per chi, come il ‘padre’ del ddl, il dem Alessandro Zan, si era speso fino all’ultimo per trovare un compromesso con le altre forze politiche, sorde alle richieste di milioni di cittadini. “Chi per mesi, dopo l’approvazione alla Camera, ha seguito le sirene sovraniste che volevano affossare il ddl Zan è il responsabile del voto di oggi al Senato. È stato tradito un patto politico che voleva far fare al Paese un passo di civiltà. Le responsabilità sono chiare” è stato il suo commento amareggiato dopo la decisione a Palazzo Madama.

Una scelta ventilata, minacciata, temuta, scongiurata, che alla fine si è avverata (ne avevamo parlato qui). Il Ddl Zan cade alla prova dell’Aula, nell’anonimato del voto segreto richiesto da Lega e FdI. L’Italia rimarrà quindi senza una legge contro l’omolesbobitransfobia, la misoginia e l’abilismo. Una decisione he arriva dopo mesi di ostruzionismo, di rinvii, di propaganda fuorviante da parte degli oppositori della destra, di pressioni indebite del Vaticano e di un atteggiamento costantemente ambiguo dei centristi di Italia Viva, ancora una volta ago della bilancia di un Paese appeso a poche manciate di voti.

A Palazzo Madama l’esame del provvedimento, approvato dalla Camera circa un anno fa, nel novembre 2020, era stato interrotto il 20 luglio per la pausa estiva. Ma, come si temeva, la ripresa dei lavori non ha fatto altro che sancire la definitiva morte della legge. La pietra tombale l’ha posta la presidente del Senato Elisabetta Casellati, quando ha dato il via libera alle due richieste di non passaggio all’esame degli articoli del ddl Zan e, ha definito “ammissibile” in base ai regolamenti e ai precedenti il voto segreto chiesto dai senatori Calderoli (Lega) e La Russa (FdI). Inevitabili quanto ormai inutili le proteste che si sono scatenate dai banchi del Pd, M5S e Leu, in particolare dai senatori Luigi Zanda (Pd), Loredana De Petris (Leu) e Gianluca Perilli (M5S). “La mia decisione ha solide fondamenta di carattere giuridico” è stata la secca replica della presidente. Lapidaria.

Voto segreto e voti mancanti

Non è bastato neppure l’appello rivolto dal deputato alla presidente Casellati perché non concedesse il voto segreto,  che, come poi è avvenuto, “avrebbe potuto uccidere la legge”. Detto fatto. E mentre fuori, sui social, si scatena l’indignazione dei movimenti pro lgbtq+, degli attivisti, dei personaggi dello spettacolo che si erano schierati a favore del ddl, in Aula vanno in scena grida goliardiche di esultanza per l’affossamento. Nei palazzi della politica intanto si è aperta la caccia ai voti mancanti. I primi ad essere annoverati tra i franchi tiratori, i senatori di Italia Viva: “Se Iv avesse ri-votato al Senato la legge che aveva votato alla Camera, non ci saremmo trovati in questa situazione. Il Paese ne esce mortificato”, afferma la parlamentare grillina Alessandra Maiorino. La sconfitta brucia nel Pd, il senatore Andrea Marcucci parla di un “gravissimo danno per il Paese. Si dovrà riflettere su quanto accaduto, è una grave sconfitta di tutto il Parlamento. Sono mancati almeno 20 voti, sinceramente non mi aspettavo questo voto – aggiunge – bisogna fare una riflessione su come è stata gestita perché se questa è la conclusione vuol dire che degli errori sono stati fatti ma non arrivo a emettere sentenze”. E il segretario dem Enrico Letta tuona: “Hanno voluto fermare il futuro, ma il Paese è altro”.

Alessandro Zan con Enrico Letta in Parlamento

Ventitré voti. Numeri che, profeticamente, qualcuno aveva già preannunciato sarebbero mancati. Sulla carta il Centrosinistra avrebbe dovuto avere la meglio: “Avevamo 149 voti, contati e controllati”, fa sapere Loredana De Petris, Leu. “Quindi c’è stata una defezione di 18 voti, 16 sono andati al Centrodestra, 2 astenuti. Le assenze non sono state rilevanti. Il problema è di chi dice una cosa e poi ne fa un’altra“, sottolinea. Nelle file dei democratici c’è chi non si arrende all’evidenza e punta il dito contro gli avversari: “Bisogna chiedere le dimissioni a chi ha gestito questa vicenda. Sono sconvolta– accusa la senatrice Valeria Fedeli –. Non credo che fosse previsto questo andare a un voto al buio. Mi si diceva sempre che i numeri c’erano, lo ha fatto anche il segretario Letta…”. E chi ammette le proprie colpe: “Avevamo fatto dei calcoli che si sono rivelati sbagliati – precisa Monica Cirinnà –. Guardate il pallottoliere e valutate voi. Il centrosinistra della maggioranza Conte è seppellito. Il centro sinistra riparte da Pd, LeU e M5s”. E aggiunge che il testo del ddl Zan “è morto”: “Il regolamento dice che tra sei mesi se ne può presentare un altro diverso sullo stesso tema. Tutto lavoro buttato“, sottolinea ancora Cirinnà.

“Non è una bocciatura”: la replica dei contrari al ddl

A chiedere la “tagliola” erano stati Lega e Fratelli d’Italia: “Piuttosto di fare una porcata, e io me ne intendo, preferisco fermarci qui“. Con queste parole il senatore leghista Roberto Calderoli ha illustrato la richiesta di andare direttamente al voto finale a scrutinio segreto, bypassando l’esame degli emendamenti articolo per articolo. “Mi appello a tutti perché ciascuno possa esprimersi liberamente nel segreto dell’urna. Fermiamoci oggi – ha aggiunto Calderoli –. Non è una bocciatura di una legge, si può ripartire immediatamente ad esaminare un testo vero, meglio uno stop oggi che un ahimé domani”. Dello stesso parere anche i sentori forzisti, che attraverso la capogruppo Annamaria Bernini hanno annunciato il voto a favore della proposta leghista contro il ddl Zan: “Non possiamo firmare cambiali in bianco. Il testo tornerà in commissione tra sei mesi“, apre.

C’è chi vota sì

La senatrice di Forza Italia, Barbara Masini con la compagna

Anche in Forza Italia, però, non tutti erano d’accordo. La senatrice Barbara Masini, ad esempio, che già in passato aveva chiesto ai suoi di aprirsi al dialogo sul tema dell’omotransfobia, è stata tra i 131 che hanno votato a favore dello Zan.

Ma non sente di aver tradito i compagni di scranno: “Non sono non sono delusa dal mio partito, mi hanno dato la possibilità di votare in dissenso dal gruppo. I franchi tiratori non sono certo dalla nostra parte, il centro sinistra si deve interrogare”.

Infine Italia Viva, che alla Camera aveva votato a favore del ddl, poi però aveva chiesto una “mediazione in particolare sugli articoli 1, 4 e 7” ha di nuovo fatto marcia indietro, votando a favore dell’esame. “Faremo il nostro dovere fino in fondo anche se siamo contrari al muro contro muro – dice in Aula il capogruppo Davide Faraone –. Auspichiamo che con il nostro voto la legge rimanga dentro il binario”. Mai auspicio – o forse sì – fu meno fortunato.

E ora il cammino sulla strada dei diritti è di nuovo da tracciare.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

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  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

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  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

#lucenews #isaacortman #minnesota #boyscout
Ha vinto la paura. Il Ddl Zan non passa la prova del Senato e viene di fatto affossato: con 154 voti favorevoli, 131 contrari e 2 astenuti è stata approvata a voto segreto la proposta di Lega e Fratelli d’Italia di non discutere nemmeno gli articoli e passare direttamente al voto finale. La cosiddetta "tagliola" (art.96 regolamento del Senato). Ora il testo torna in Commissione Giustizia, dove non potrà essere ridiscusso – ma modificato – prima di sei mesi. I tempi si allungano e difficilmente la discussione sul Ddl Zan potrà essere completata entro la fine della legislatura. Un tempo infinito per chi ogni giorno si scontra con la realtà fuori dal Parlamento, con la violenza, la discriminazione, l'odio che gli viene rivolto solo per le sue scelte personali, identitarie.
Il deputato Alessandro Zan commenta il voto del Senato

Una sconfitta per chi, come il 'padre' del ddl, il dem Alessandro Zan, si era speso fino all'ultimo per trovare un compromesso con le altre forze politiche, sorde alle richieste di milioni di cittadini. "Chi per mesi, dopo l'approvazione alla Camera, ha seguito le sirene sovraniste che volevano affossare il ddl Zan è il responsabile del voto di oggi al Senato. È stato tradito un patto politico che voleva far fare al Paese un passo di civiltà. Le responsabilità sono chiare" è stato il suo commento amareggiato dopo la decisione a Palazzo Madama.

Una scelta ventilata, minacciata, temuta, scongiurata, che alla fine si è avverata (ne avevamo parlato qui). Il Ddl Zan cade alla prova dell'Aula, nell'anonimato del voto segreto richiesto da Lega e FdI. L'Italia rimarrà quindi senza una legge contro l’omolesbobitransfobia, la misoginia e l'abilismo. Una decisione he arriva dopo mesi di ostruzionismo, di rinvii, di propaganda fuorviante da parte degli oppositori della destra, di pressioni indebite del Vaticano e di un atteggiamento costantemente ambiguo dei centristi di Italia Viva, ancora una volta ago della bilancia di un Paese appeso a poche manciate di voti. A Palazzo Madama l'esame del provvedimento, approvato dalla Camera circa un anno fa, nel novembre 2020, era stato interrotto il 20 luglio per la pausa estiva. Ma, come si temeva, la ripresa dei lavori non ha fatto altro che sancire la definitiva morte della legge. La pietra tombale l'ha posta la presidente del Senato Elisabetta Casellati, quando ha dato il via libera alle due richieste di non passaggio all'esame degli articoli del ddl Zan e, ha definito "ammissibile" in base ai regolamenti e ai precedenti il voto segreto chiesto dai senatori Calderoli (Lega) e La Russa (FdI). Inevitabili quanto ormai inutili le proteste che si sono scatenate dai banchi del Pd, M5S e Leu, in particolare dai senatori Luigi Zanda (Pd), Loredana De Petris (Leu) e Gianluca Perilli (M5S). "La mia decisione ha solide fondamenta di carattere giuridico" è stata la secca replica della presidente. Lapidaria.

Voto segreto e voti mancanti

Non è bastato neppure l'appello rivolto dal deputato alla presidente Casellati perché non concedesse il voto segreto,  che, come poi è avvenuto, "avrebbe potuto uccidere la legge". Detto fatto. E mentre fuori, sui social, si scatena l'indignazione dei movimenti pro lgbtq+, degli attivisti, dei personaggi dello spettacolo che si erano schierati a favore del ddl, in Aula vanno in scena grida goliardiche di esultanza per l'affossamento. Nei palazzi della politica intanto si è aperta la caccia ai voti mancanti. I primi ad essere annoverati tra i franchi tiratori, i senatori di Italia Viva: "Se Iv avesse ri-votato al Senato la legge che aveva votato alla Camera, non ci saremmo trovati in questa situazione. Il Paese ne esce mortificato", afferma la parlamentare grillina Alessandra Maiorino. La sconfitta brucia nel Pd, il senatore Andrea Marcucci parla di un "gravissimo danno per il Paese. Si dovrà riflettere su quanto accaduto, è una grave sconfitta di tutto il Parlamento. Sono mancati almeno 20 voti, sinceramente non mi aspettavo questo voto – aggiunge – bisogna fare una riflessione su come è stata gestita perché se questa è la conclusione vuol dire che degli errori sono stati fatti ma non arrivo a emettere sentenze". E il segretario dem Enrico Letta tuona: "Hanno voluto fermare il futuro, ma il Paese è altro".

Alessandro Zan con Enrico Letta in Parlamento

Ventitré voti. Numeri che, profeticamente, qualcuno aveva già preannunciato sarebbero mancati. Sulla carta il Centrosinistra avrebbe dovuto avere la meglio: "Avevamo 149 voti, contati e controllati", fa sapere Loredana De Petris, Leu. "Quindi c'è stata una defezione di 18 voti, 16 sono andati al Centrodestra, 2 astenuti. Le assenze non sono state rilevanti. Il problema è di chi dice una cosa e poi ne fa un’altra", sottolinea. Nelle file dei democratici c'è chi non si arrende all'evidenza e punta il dito contro gli avversari: "Bisogna chiedere le dimissioni a chi ha gestito questa vicenda. Sono sconvolta– accusa la senatrice Valeria Fedeli –. Non credo che fosse previsto questo andare a un voto al buio. Mi si diceva sempre che i numeri c'erano, lo ha fatto anche il segretario Letta...". E chi ammette le proprie colpe: "Avevamo fatto dei calcoli che si sono rivelati sbagliati – precisa Monica Cirinnà –. Guardate il pallottoliere e valutate voi. Il centrosinistra della maggioranza Conte è seppellito. Il centro sinistra riparte da Pd, LeU e M5s". E aggiunge che il testo del ddl Zan "è morto": "Il regolamento dice che tra sei mesi se ne può presentare un altro diverso sullo stesso tema. Tutto lavoro buttato", sottolinea ancora Cirinnà.

"Non è una bocciatura": la replica dei contrari al ddl

A chiedere la "tagliola" erano stati Lega e Fratelli d'Italia: "Piuttosto di fare una porcata, e io me ne intendo, preferisco fermarci qui". Con queste parole il senatore leghista Roberto Calderoli ha illustrato la richiesta di andare direttamente al voto finale a scrutinio segreto, bypassando l'esame degli emendamenti articolo per articolo. "Mi appello a tutti perché ciascuno possa esprimersi liberamente nel segreto dell'urna. Fermiamoci oggi – ha aggiunto Calderoli –. Non è una bocciatura di una legge, si può ripartire immediatamente ad esaminare un testo vero, meglio uno stop oggi che un ahimé domani". Dello stesso parere anche i sentori forzisti, che attraverso la capogruppo Annamaria Bernini hanno annunciato il voto a favore della proposta leghista contro il ddl Zan: "Non possiamo firmare cambiali in bianco. Il testo tornerà in commissione tra sei mesi", apre.

C'è chi vota sì

La senatrice di Forza Italia, Barbara Masini con la compagna

Anche in Forza Italia, però, non tutti erano d'accordo. La senatrice Barbara Masini, ad esempio, che già in passato aveva chiesto ai suoi di aprirsi al dialogo sul tema dell'omotransfobia, è stata tra i 131 che hanno votato a favore dello Zan.

Ma non sente di aver tradito i compagni di scranno: "Non sono non sono delusa dal mio partito, mi hanno dato la possibilità di votare in dissenso dal gruppo. I franchi tiratori non sono certo dalla nostra parte, il centro sinistra si deve interrogare".

Infine Italia Viva, che alla Camera aveva votato a favore del ddl, poi però aveva chiesto una "mediazione in particolare sugli articoli 1, 4 e 7" ha di nuovo fatto marcia indietro, votando a favore dell'esame. "Faremo il nostro dovere fino in fondo anche se siamo contrari al muro contro muro – dice in Aula il capogruppo Davide Faraone –. Auspichiamo che con il nostro voto la legge rimanga dentro il binario". Mai auspicio – o forse sì – fu meno fortunato.

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