Hanno ragione i Pinguini Tattici Nucleari a voler andare in Islanda, dove donne e uomini sono uguali

Il tasso di impiego femminile è pari all’83%. La media europea si attesta attorno al 69,3%. In Italia, l’asticella non va oltre il 55%

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
28 aprile 2025
Kristrùn Frostadòttir, Primo Ministro dell'Islanda

Kristrùn Frostadòttir, Primo Ministro dell'Islanda

Hanno ragione i Pinguini Tattici Nucleari a voler andare in Islanda. Se vi state già cimentando in uno di quei sorrisetti amari, pensando agli inverni lunghi, bui e freddi all’ombra della chiesa luterana Hallgrímskirkja nel cuore di Reykjavík, mettete da parte i sogni di gloria. Gli islandesi, infatti, sul fronte della parità di genere hanno fatto passi da giganti e, seppur in scala, hanno ben più di qualcosa da insegnarci. Partiamo dai numeri: l’Islanda ha un tasso di impiego femminile pari all’83%. Per comprendere questo dato, basti pensare che la media europea si attesta attorno al 69,3% e che in Italia si aggira attorno al 55% Avrete ragione a pensare che, in un Paese con una così bassa densità, tutto possa sembrare più facile da gestire, ma fate attenzione: sono proprio i modelli replicabili quelli che hanno cambiato le cose nella storia. Tra questi c'è il fatto che ogni 17 settembre, nella terra del ghiaccio, si celebra la Giornata internazionale della parità di genere salariale. Un evento che non solo omaggia, ma misura i risultati di una legge epocale. Approvata nel 2018, questa normativa stabilisce un principio semplice ma rivoluzionario: non spetta alle donne dimostrare che i loro salari sono inferiori rispetto a quelli degli uomini, ma sono le aziende a dover giustificare la differenza retributiva delle donne, attraverso controlli sistematici da parte delle autorità. Un ribaltamento dell'onere della prova che ha rappresentato una vera e propria rivoluzione per le islandesi. L’Islanda, pioniera sul fronte della parità di genere, ha introdotto la prima legge per ridurre il gap tra uomini e donne già nel 1961. Nel 1975, poi, il 90% delle islandesi scese in piazza per rivendicare diritti e parità. Un evento che segnò l’inizio di un cammino che ha visto l’isola nordica diventare il primo Paese al mondo ad eleggere, nel 1980, una presidente donna tramite suffragio universale diretto (Vigdís Finnbogadóttir). Non a caso, oggi le donne in Islanda sono ben rappresentate anche in Parlamento, nei Ministeri e nella Pubblica Amministrazione. Anche in tema di condivisione genitoriale l’asticella è alta: entrambi i genitori hanno diritto a sei mesi di congedo retribuito, con la possibilità di trasferire sei settimane tra di loro. Una cosa è certa: la legge islandese ha contribuito a generare una presa di coscienza collettiva, a porre fine a salari sottodimensionati e a introdurre maggiore trasparenza, a beneficio di tutti. Un modello che, sebbene possa sembrare lontano, ha tutte le caratteristiche per divenire un faro per le politiche comunitarie. Purtroppo, però, troppo spesso questo esempio rimane relegato al margine del quotidiano e trova terreno fertile solo in pochi contesti. L’Islanda ci dimostra che la parità di genere non è un sogno irraggiungibile, ma una questione di volontà politica e di scelte coraggiose. Se davvero vogliamo costruire una società giusta e equa, non possiamo più permetterci di rimandare. Le leggi sono strumenti di cambiamento, ma è l’impegno collettivo che trasforma il cambiamento in realtà. È ora che anche l’Italia e l’Europa smettano di accontentarsi di misure simboliche e facciano del principio di parità un impegno concreto, sistematico, misurabile. Perché il futuro che vogliamo è un futuro in cui le donne non dovranno più lottare per la propria dignità, ma godranno di pari opportunità in ogni ambito, a partire dal lavoro.