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Parità di genere? No, parità di bilancino… La sconfitta delle donne candidate a sindaco e il ‘ripescaggio’ nelle nomine a assessore e vice

di ETTORE MARIA COLOMBO -
20 ottobre 2021
sindaciMaschi

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“Brutto spettacolo. Solo uomini sul palco”

  “Nella felicità della vittoria, è stata veramente una nota stonata, che mi ha un po’ indignato, vedere, sul palco di piazza Santi Apostoli (dove lunedì sera il neo-sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha festeggiato l’elezione insieme al segretario del Pd Enrico Letta, al governatore della Regione Nicola Zingaretti, ai principali dirigenti del Pd romano, etc.) tutto quel blu (il colore dei maschi per definizione ndr) e zero rosa (il colore delle donne ndr)”.  

Patrizia Prestipino (a sinistra) con Roberto Gualtieri e Titti Di Salvo

  Parla così, con Luce!, la deputata dem di Roma Patrizia Prestipino, una delle più forti democrat che la piazza della sinistra romana conosca e riconosca. La Prestipino, per capirci, ha piazzato, come elette, a queste elezioni, 20 consiglieri municipali, un consigliere comunale e la presidente del IX Municipio, Titti Di Salvo – un passato da sindacalista ‘rossa’ della Cgil. Donna tosta e combattiva, Prestipino, che, con le altre donne che hanno sostenuto la campagna elettorale e, dunque, la vittoria dem, ha dovuto assistere a una ‘festa di soli uomini’, sul palco della vittoria del sindaco di Roma. Una scenetta, appunto, poco bella, a vedersi, e proprio nel Pd. Un partito che della promozione della ‘differenza di genere’ si fa vanto, praticamente dalla  nascita, ma che ha candidato soltanto ‘uomini’, in tutte le città. E non ha una sola donna fra i presidenti di Regione che fanno riferimento a quel partito.  

Partivano ‘svantaggiate’, le donne, stavolta

 

Sara D'Ambrosio, sindaca Pd di Altopascio (Lucca)

Non una sorpresa, lo scarsissimo numero di donne sindaco, tenuto conto dei numeri ‘rosa’ di questa tornata elettorale. Un dossier del Viminale, già alla vigilia del voto, segnalava che su 145 candidati sindaco dei Comuni capoluogo solo 25 erano donne: 17,2% contro l'82% di uomini. Morale, che il giorno non fosse buono in fatto di presenza delle donne nelle sfide, lo si vedeva dal mattino. Tuttavia, sono 8 le sindache elette ad esempio, nel Molise (dove si passa da 16 a 21 prime cittadine). Passa al primo turno ad Altopascio (Lucca) Sara D'Ambrosio, sindaca riconfermata. Ad Assisi vince subito Stefania Proietti e ad Arzano (Napoli) Vincenza Aruta. In città più piccole sono andate al secondo turno la sindaca uscente Cecilia Francese (liste civiche) e, a Melito, Dominique Pellecchia. Di certo le amministrative di domenica e lunedì 17 e 18 ottobre non hanno contribuito a fare crescere la percentuale di sindache che l'Anci nella scorsa primavera ha calcolato essere intorno al 15%.

Ouidad Bakkali consigliera eletta a Ravenna

Ha invece funzionato la norma della doppia preferenza di genere. In particolare, nelle liste del Pd a Torino le più votate sono risultate quattro donne. A Ravenna successo di voti per Ouidad Bakkali, originaria di Agadir, che ha avuto un successo personale, risultando la più votata. A Bologna, su sei quartieri, cinque hanno eletto donne alla guida. Bene, a Roma, Sabina Anfossi.  

Il flop delle sindache candidate alle comunali

  Partivano con molte speranze, le donne, ma poi hanno portato a casa lo scarso risultato delle candidate del M5S non elette, o di Alessandra Clemente, che correva a Napoli per DeMa. Su otto città chiave al voto, dove c’era una donna candidata sindaco, nessuna è arrivata al ballottaggio. È un quadro a tinte ormai fosche: Roma, Torino, Milano, Napoli, Salerno, Benevento, Rimini e Trieste, come pure altrove, tranne qualche eccezione nei piccoli centri, nessuna donna è arrivata al secondo turno. Numeri alla mano, è la conseguenza scontata di un quadro di partenza scoraggiante: su 145 candidati sindaco nei 17 Comuni capoluogo delle Regioni a statuto ordinario al voto figuravano solo 25 donne: appena il 17,2% rispetto all’82,8% degli uomini (120 in tutto). La più forte mediaticamente, per la sua visibilità, era solo Virginia Raggi, quarta con il suo 19%. Ma per un’altra pentastellata, Layla Pavone a Milano, è andata ben peggio: 2,7% i voti raccolti. Male è andata anche per Valentina Sganga, fedelissima dell’uscente Chiara Appendino a Torino: 9%.  Appena meglio, sempre tra le fila del Movimento, è andata per Alessandra Richetti a Trieste: 3,4%. A Napoli Alessandra Clemente, fedelissima dell’uscente Luigi de Magistris, incassa il 5,7%. Sempre al Sud, Rosetta De Stasio, aspirante sindaca di Benevento per il centrodestra, si è fermata al 5%, dovendo fare anche i conti con una corazzata come quella di Clemente Mastella. Mentre ha sfiorato il 9% Gloria Lisi (M5S), in corsa per guidare il Comune di Rimini. Un riequilibrio delle quote di genere, analizzando il dettagliato rapporto redatto dal ministero dell’Interno alla vigilia delle elezioni amministrative, si era verificato (ma solo teoricamente) nella corsa ai Consigli comunali, dove la presenza di candidate donne (grazie alla doppia preferenza) è normata da una regola precisa: un obbligo, insomma. Di conseguenza, su 13.281 candidati totali alle assemblee dei medesimi 17 Comuni capoluogo: le donne in corsa erano 5.956 (44,9%), mentre gli uomini 7.325 (55,1%). Ma anche su questo fronte, la partecipazione (in forze) delle donne alla vita politica è rimasta una chimera: molte candidature femminili spesso si sono rivelate sono solo di facciata, fatte solo per rispettare la norma della doppia preferenza di genere. Proprio per questo motivo, anche nei Consigli comunali, nonostante l’apparente riequilibrio, le elette sono state molte meno rispetto alle proporzioni di genere delle candidature.

Donne, poche e perdenti: tranne i 5Stelle, centrodestra e centrosinistra sono ‘maschi’…

  Certo, alcuni candidati, nel centrosinistra, sono usciti dal ‘sacro’ lavacro delle primarie (Lepore a Bologna, Lorusso a Torino) ma solo sotto le due Torri concorreva una donna (la renziana Isabella Conti), peraltro finita battuta. Per il resto, tutti i maschi, gambe in spalla e pedalare, nel senso di cercare i voti di elettori che, però, sono ormai più donne che uomini. Sarà un caso, ma tutte le elezioni comunali, dai centri piccoli e medi, in formato più attenuato, fino alle grandi città, in forma eclatante, sono state contraddistinte dall’elevato astensionismo (ha votato solo il 54% dell’elettorato in Italia che risulta il dato più basso dal 1948 in poi). Una donna, a dirla tutta, c’era, in zona Pd, la ricercatrice Amalia Bruni, in Calabria, per il centrosinistra), ma al netto di una – rovinosa – sconfitta, il suo nome è ‘uscito’ dal cilindro dell’alleanza tra Pd e M5s solo dopo molti rifiuti (di entrambi i sessi) e ha perso lo stesso. Anche il centrodestra, che pure di candidati donne ne ha cercati parecchi, specie a Milano, ma senza riuscire a convincerne nessuna, ha candidato, praticamente, quasi tutti uomini. Solo a Roma aveva lanciato, in teoria, una vicesindaca, che doveva far coppia con il candidato, Enrico Michetti, la magistrata Simonetta Matone. Peccato sia subito uscita dai radar, in campagna elettorale: scomparsa, silente, mai presente, anche perché – pare, così si dice – assai scettica sulle uscite di Michetti. Solo i 5Stelle si sono distinti, questo pure va detto, in quanto a difesa della ‘parità di genere’. Tre candidate donne tre in tre città grandi: la sindaca uscente, Virginia Raggi, a Roma, la manager del Fatto quotidiano, Layla Pavone, a Milano e la capogruppo uscente in consiglio comunale Valentina Sganga, a Torino. Considerando che, nelle altre due grandi città in lizza (Bologna e Napoli), i 5Stelle hanno scelto di appoggiare i candidati del Pd, si potrebbe dire che, per le donne, le scelte del M5s sono state ‘un bell’acchiappo’. Peccato, però, che sono state scelte ‘a perdere’: Sganga a Torino e Pavone a Milano hanno raggiunto percentuali infime o imbarazzanti (dal 3% al 9%), Raggi a Roma con una buona percentuale (20%), ma comunque quarta, dietro Calenda, e ovviamente fuori dal ballottaggio.  

La promessa: vice-sindaci donne

  Ora, però, molti sindaci neo-eletti, a partire proprio da Gualtieri, ma anche gli altri delle più grandi città (Lorusso a Torino, Sala a Milano, Lepore a Bologna, Manfredi a Napoli, tutti dem) hanno già nominato o promettono di elevare, nel ruolo di vice-sindaco (spesso un puro orpello, in una Giunta comunale, solo a volte con veri poteri), sempre e solo ‘donne’. Per non dire, ovviamente, di quella ‘parità di genere’ che, nella scelta dei vari assessorati, i candidati del Pd e del centrosinistra ‘devono’ rispettare (per il centrodestra la ‘regola’, si sa, non vale, o vale solo quando ‘gli gira’ bene): un po’ perché è un ‘mantra’ dei dem e un po’ perché, insomma, avere donne, dentro alla propria giunta, è un bel ‘fiore all’occhiello’ (da maschilisti, si può anche dire: un bel vaso da esporre su finestra per far vedere che è curata).  

Il ‘toto-nomi’ già impazza forte

 

A Roma, per dire, che ci sarà una vice-sindaca donna è una certezza, chi lo sarà un enigma. Girano, come variabili impazzite, una serie di nomi, tutti, ovviamente, di donne e ‘di peso’. Si parte da Francesca Bria, attuale consigliere nel cda della Rai (che, però, dovrebbe dimettersi da un incarico appena iniziato), si passa per la ex ministra, ai tempi dell’Ulivo, Giovanna Melandri (la quale, a sua volta, dovrebbe dimettersi dal vertice del Museo Maxxi). O ancora, da Michela De Biase, consigliera comunale e  moglie del ministro ai Beni culturali, Dario Franceschini.

Michela De Biase

Si finisce con Cecilia D’Elia, ex Fgci, zingarettiana doc, oggi a capo del Forum delle Donne del Pd, che è assai meno nota, ma ha le migliori chanche: Gualtieri è espressione del ‘giro’ di Bettini, Zingaretti, che gli ha già messo di fianco il suo capo di gabinetto, vuole un suo ‘uomo’ (cioè, nel caso, una donna…) dentro la Giunta, accanto al neo-sindaco. Per mille motivi – più politici che ‘femministi’ – potrebbe essere lei, la D’Elia, la ‘ecce foemina’ della Capitale.

A Torino, invece, sono in pole position, sempre come vice-sindachesse, altre due donne: Chiara Foglietta e Gianna Pentemero, che però più diverse di così non potrebbero essere. La Foglietta, infatti, consigliera comunale uscente, è una militante del movimento Lgbt+ e, soprattutto, è madre di due bambini figli suoi e della sua compagna, Micaela Ghisleni. La sua è una coppia omogenitoriale e fu proprio la sindaca uscente, Chiara Appendino (M5s) a iscriverne i figli allo stato civile dell’anagrafe della città della Mole antonelliana. Un atto, datato ormai 2018, che ebbe del rivoluzionario: una svolta epocale, per l’Italia, dato che la coppia Foglietta-Ghisleni, sposate con il rito delle unioni civili, insieme ad altre due coppie, non avevano mai visto un primo cittadino firmare un atto del genere senza la disposizione di un tribunale, a causa del vuoto normativo. La Pentemero, ex assessore regionale a Istruzione, Lavoro e Formazione professionale, capolista del Pd alle comunali, invece, è cattolica, ma milita nella sinistra interna Pd (area Cuperlo). Ora, dunque, sta al sindaco Lorusso scegliere quale delle due sarà vicesindaca.   Scendendo per lo Stivale, è andando a Napoli, il neo-sindaco Gaetano Manfredi non ha ancora sciolto le riserve sulla sua giunta, ma sulle ‘quote rose’ dovrebbe comportarsi in modo salomonico. Dato che, sotto il Vesuvio, si è registrata la sola alleanza ‘organica’ tra Pd e M5s, bisogna scegliere come ‘dividere’ le cariche, tra le donne. E, dato che Enza Amato (43 anni, laureata in Sociologia, e figlia d’arte, di Tonino Amato, ex sindacalista, assessore al Comune con Bassolino sindaco e per ben 15 anni consigliere regionale) sta per essere eletta presidente del consiglio comunale, ‘è d’uopo’ – spiega un parlamentare partenopeo dem di lungo corso, a Montecitorio – “eleggere una 5Stelle a vice-sindaca. Il guaio, un guaio grosso, è che quelli non trovano accordo su ‘chi mettere’, quindi noi stamm’ acca’ che aspettamm’ a lor’”. Insomma, vero è che, a Napoli, la politica si fa così (“è sangue e merda”, diceva Rino Formica), ma certo è, anche, che la scelta di ‘una donna’, per il ruolo di vice-sindaco, ha molto poco di ‘nobile’ e molto ‘assaie’ di tatticismi politicisti.  

Gaia Romani

Naturalmente, nella ‘civile’ e ‘laboriosa’ Milano, le cose vanno assai diversamente. Il neo-sindaco, già sindaco uscente, Beppe Sala, ha rotto gli indugi e nominato la giunta in tempi record. Una settimana dopo il voto i dodici assessori, metà uomini e metà donne, erano già schierati. Solo tre le riconferme, il resto della giunta è tutta nuova. Inoltre, a soli 25 anni e oltre duemila preferenze, Gaia Romani è il più giovane assessore, e donna. Per lei la delega a Servizi civici, partecipazione e decentramento. Un riconoscimento importante per una giovane che è risultata la terza più votata delle donne presenti nelle liste schierate con Sala. Una laurea in giurisprudenza, conseguita sei mesi fa, da dieci anni iscritta ai circoli del Pd, Romani, giustamente, esulta per la nomina: “Se accade qui si può è possibile ovunque”, dice con ottimismo. Non è la rottamazione renziana (la Romani lo è, fiera di esserlo, contenta lei…), ma una svolta sì.   A Bologna, anche, l’ex assessore, ora sindaco, Matteo Lepore, si è mosso con rapidità e forza.

Emily Clancy

Sarà Emily Clancy, giovane consigliera comunale uscente, guida della lista di sinistra-sinistra Coalizione civica, che ha anche il record di preferenze, la vice del neo-sindaco di Bologna. Per lei anche le deleghe a Casa, Economia della notte, Pari opportunità e Diritti Lgbtq+. Lo dice lo stesso Lepore, presentando la propria giunta, composta da dieci assessori (cinque uomini e cinque donne). Fuori a sorpresa, nonostante l’elezione in Consiglio comunale con 2.586 preferenze, il leader delle Sardine, Mattia Santori, che sarà consigliere delegato al Turismo, alle Politiche giovanili e ai Grandi eventi turistici. Uno di quei casi in cui, decisamente, a un uomo (solo sorridente, ma banale) anche chi scrive preferisce di gran lunga una donna tosta e capace. Perché la ‘parità di genere’ va bene, ma poi – vivaddio – bisognerà pur premiare le capacità…