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Home » Politica » Polonia, nuovo attacco ai diritti civili: la guerra contro le donne, le minoranze e la comunità Lgbtq+ continua

Polonia, nuovo attacco ai diritti civili: la guerra contro le donne, le minoranze e la comunità Lgbtq+ continua

Una super procura e un super procuratore, con gli occhi puntati su tutti quei cittadini che 'si differenziano' dallo standard imposto. Il governo avrà accesso a tutti i dati personali dei cittadini e potrà perseguitarli. Intanto non si arresta la battaglia per bandire del tutto l'interruzione di gravidanza

Marianna Grazi
4 Dicembre 2021
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Non bastava la contestatissima norma, entrata in vigore ormai da quasi un anno, a gennaio 2021, che vieta l’aborto anche in caso di malformazione del feto e che in pratica sancisce il divieto quasi totale di abortire. Non bastava la morte, una su chissà quante altre, di Izabela Sajbor, una giovane parrucchiera stroncata dalla sepsi dopo che i medici si sono rifiutati di praticare l’interruzione di gravidanza sul feto, malformato (leggi qui). Non sono bastate le proteste, ininterrotte da mesi, che hanno tinto di rosso le strade della Polonia. Battaglie perse, battaglie vinte, battaglie di una guerra che non sembra voler cessare. La guerra alle donne.

L'(in)giustizia polacca

Nel Paese, da tempo ormai, si sta provando a far approvare una legge ancora più restrittiva, che introduca il divieto totale alle interruzioni di gravidanza. Dopo varie bocciature in Parlamento il partito di governo, PiS (Diritto e Giustizia), si è rivolto alla Corte costituzionale, la quale in una pronuncia ha stabilito che l’aborto, se non nei casi di stupro e di pericolo –certificato dai medici– di vita della madre, non rispetta i valori della carta fondamentale polacca. Insomma la vita di migliaia di donne è appesa ad un filo, in bilico nella bilancia di potere della politica. E a nulla, finora, è servita la protesta sulla dubbia imparzialità della Consulta da parte dell’opposizione polacca e della stessa Unione europea, la cui Corte di Giustizia ha condannato di recente lo Stato a pagare una multa di un milione di euro al giorno proprio per questo motivo. Tra i giudici della massima giustizia polacca, infatti, ci sono membri molto vicini al Pis – tra cui il portavoce Aleksander Stepkowski – e diversi di loro fanno parte del gruppo fondamentalista religioso Ordo Iuris, promotore in questi anni di alcune delle leggi sui diritti civili più aberranti, come quella che ha istituito le “zone libere da LGBTQ+”, quella che equipara l’educazione sessuale alla pedofilia e quella che ha approvato la fuoriuscita del Paese dalla Convezione di Istanbul contro la violenza sulle donne.

Il nuovo Istituto: un superprocuratore “Grande Fratello” orwelliano

Ora la Polonia compie un altro passo avanti verso quella che ai media internazionali appare come l’instaurazione di un Grande Fratello medievale: in Parlamento si sta per approvare la creazione di un Istituto per la famiglia e la demografia, guidato dal cattolico fondamentalista Bart łomiej Wróblewski, con lo scopo ufficiale di scoraggiare divorzi, impedire aborti e disgregare le famiglie arcobaleno. Per questo è stata prevista la figura di un superprocuratore, che avrà accesso a tutti i dati personali dei cittadini e potrà perseguitarli penalmente.

Le proteste nelle strade e nelle piazze polacche contro la legge che vieta quasi totalmente l’aborto(EPA)

Ecco se avete letto 1984 di George Orwell sapete benissimo di cosa sto parlando: quell’occhio del dittatore costantemente puntato sugli individui, schedati, seguiti, sorvegliati, in una sorta di regime pervasivo che, in barba a qualsiasi legge sulla privacy, scandaglierà la popolazione per rintracciare donne in procinto di abortire o coppie in crisi o famiglie arcobaleno. Tutto ciò che è fuori dagli schemi di un ordine (feudale) prestabilito verrà visto, preso, punito. Adesso che avete in mente quell’immagine, scacciatela e aprite i giornali, accendete le tv o il computer. Non è più finzione, in Polonia è realtà. O almeno lo diventerà tra breve. L’approvazione al Senato è infatti prevista per metà dicembre e la figura del superprocuratore sarà introdotta dal mese successivo. Una seconda legge è stata esaminata mercoledì 1 dicembre sempre dal Sejm, la Camera Bassa del Parlamento polacco, ma non è passata, anche se per pochissimi voti. In essa veniva riproposto il divieto assoluto e totale all’interruzione di gravidanza. In violazione di ciò che la stessa giustizia (o ‘ingiustizia’) polacca aveva stabilito nella pronuncia.  “Nonostante la morte di Izabel la legge punta a punire le donne con 25 anni di carcere per aborto e 5 anni per aborto spontaneo“, spiega Irene Donadio, membro dell’associazione umanitaria International Planned Parenthood Federation European Network (Ippf), di stanza a Bruxelles. “Il modello è il Salvador” aggiunge, riferendosi quindi ad uno dei Paesi più retrogradi al mondo nel campo dei diritti delle donne. Il guanto di sfida lanciato dal governo di Mateusz Morawiecki, anche se momentaneamente ‘caduto’, è all’Unione Europea, che sta cercando di ‘intralciarne i piani’ con multe salate e richieste ufficiali di scioglimento della Camera disciplinare dei giudici, una sorta di Inquisizione dei togati.

La piazza rossa polacca

L’appello alla reazione, più forte, incisiva, da parte di Bruxelles intanto arriva dalle piazze, dove da mesi donne (e uomini) protestano ininterrottamente contro l’instaurazione di quello che agli occhi di molti appare come uno Stato totalitario, senza diritti fondamentali, senza possibilità di essere se stess* diversamente dallo standard imposto, senza privacy. Un abominio, in una nazione che, sotto regimi totalitari c’è stata ben due volte. Ma con la superprocura dell’Istituto per la famiglia e la demografia, la Polonia sferra “un nuovo, micidiale attacco alle donne, alle minoranze, agli oppositori, alle persone Lgbtq+ – afferma l’attivista Marta Lempart –. L’Europa non può più stare con le mani in mano, deve agire. Queste leggi sono una provocazione, uno schiaffo in faccia anche all’Unione europea”.

La manifestazione “Non chiedermi il sangue” davanti alla sede del partito di governo Diritto e Giustizia

“Potranno sorvegliare le donne per capire se vogliono abortire o prendere la pillola del giorno dopo, perseguitare le famiglie arcobaleno, strappare i figli alle persone Lgbtq+, impedire divorzi. Stanno chiudendo il cerchio“. Lempart, vittima a sua volta di una durissima persecuzione legale  sta subendo 83 processi, uno dei quali potrebbe mandarla in carcere per otto anni, madre delle piazze polacche, cofondatrice dell’organizzazione “Sciopero delle donne”, da anni si batte per i diritti delle donne, delle minoranze e della comunità Lgbtq+. Non ha paura per sé, piuttosto per quello che potrebbe accadere alle sue connazionali. E quel cerchio di repressione, discriminazione, odio, lo vuole rompere ad ogni costo. Davanti al quartier generale del Pis (Diritto e Giustizia), si è sdraiata in terra, con centinaia di altri manifestanti coperti da lenzuola tinte di rosso, durante le proteste di questi giorni intitolate “Non chiedermi il sangue”. Perché tante, troppe persone, quel sangue, lo stanno perdendo, stanno perdendo la vita, la dignità, la forza di reagire. Le strade e le piazze di Varsavia e della Polonia si tingono di rosso, la battaglia continua. E la guerra non è ancora finita.

 

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Instagram

  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
Non bastava la contestatissima norma, entrata in vigore ormai da quasi un anno, a gennaio 2021, che vieta l'aborto anche in caso di malformazione del feto e che in pratica sancisce il divieto quasi totale di abortire. Non bastava la morte, una su chissà quante altre, di Izabela Sajbor, una giovane parrucchiera stroncata dalla sepsi dopo che i medici si sono rifiutati di praticare l'interruzione di gravidanza sul feto, malformato (leggi qui). Non sono bastate le proteste, ininterrotte da mesi, che hanno tinto di rosso le strade della Polonia. Battaglie perse, battaglie vinte, battaglie di una guerra che non sembra voler cessare. La guerra alle donne.

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Il nuovo Istituto: un superprocuratore "Grande Fratello" orwelliano

Ora la Polonia compie un altro passo avanti verso quella che ai media internazionali appare come l'instaurazione di un Grande Fratello medievale: in Parlamento si sta per approvare la creazione di un Istituto per la famiglia e la demografia, guidato dal cattolico fondamentalista Bart łomiej Wróblewski, con lo scopo ufficiale di scoraggiare divorzi, impedire aborti e disgregare le famiglie arcobaleno. Per questo è stata prevista la figura di un superprocuratore, che avrà accesso a tutti i dati personali dei cittadini e potrà perseguitarli penalmente.
Le proteste nelle strade e nelle piazze polacche contro la legge che vieta quasi totalmente l'aborto(EPA)
Ecco se avete letto 1984 di George Orwell sapete benissimo di cosa sto parlando: quell'occhio del dittatore costantemente puntato sugli individui, schedati, seguiti, sorvegliati, in una sorta di regime pervasivo che, in barba a qualsiasi legge sulla privacy, scandaglierà la popolazione per rintracciare donne in procinto di abortire o coppie in crisi o famiglie arcobaleno. Tutto ciò che è fuori dagli schemi di un ordine (feudale) prestabilito verrà visto, preso, punito. Adesso che avete in mente quell'immagine, scacciatela e aprite i giornali, accendete le tv o il computer. Non è più finzione, in Polonia è realtà. O almeno lo diventerà tra breve. L'approvazione al Senato è infatti prevista per metà dicembre e la figura del superprocuratore sarà introdotta dal mese successivo. Una seconda legge è stata esaminata mercoledì 1 dicembre sempre dal Sejm, la Camera Bassa del Parlamento polacco, ma non è passata, anche se per pochissimi voti. In essa veniva riproposto il divieto assoluto e totale all'interruzione di gravidanza. In violazione di ciò che la stessa giustizia (o 'ingiustizia') polacca aveva stabilito nella pronuncia.  "Nonostante la morte di Izabel la legge punta a punire le donne con 25 anni di carcere per aborto e 5 anni per aborto spontaneo", spiega Irene Donadio, membro dell’associazione umanitaria International Planned Parenthood Federation European Network (Ippf), di stanza a Bruxelles. "Il modello è il Salvador" aggiunge, riferendosi quindi ad uno dei Paesi più retrogradi al mondo nel campo dei diritti delle donne. Il guanto di sfida lanciato dal governo di Mateusz Morawiecki, anche se momentaneamente 'caduto', è all'Unione Europea, che sta cercando di 'intralciarne i piani' con multe salate e richieste ufficiali di scioglimento della Camera disciplinare dei giudici, una sorta di Inquisizione dei togati.

La piazza rossa polacca

L'appello alla reazione, più forte, incisiva, da parte di Bruxelles intanto arriva dalle piazze, dove da mesi donne (e uomini) protestano ininterrottamente contro l'instaurazione di quello che agli occhi di molti appare come uno Stato totalitario, senza diritti fondamentali, senza possibilità di essere se stess* diversamente dallo standard imposto, senza privacy. Un abominio, in una nazione che, sotto regimi totalitari c'è stata ben due volte. Ma con la superprocura dell'Istituto per la famiglia e la demografia, la Polonia sferra "un nuovo, micidiale attacco alle donne, alle minoranze, agli oppositori, alle persone Lgbtq+ – afferma l'attivista Marta Lempart –. L'Europa non può più stare con le mani in mano, deve agire. Queste leggi sono una provocazione, uno schiaffo in faccia anche all’Unione europea".
La manifestazione "Non chiedermi il sangue" davanti alla sede del partito di governo Diritto e Giustizia
"Potranno sorvegliare le donne per capire se vogliono abortire o prendere la pillola del giorno dopo, perseguitare le famiglie arcobaleno, strappare i figli alle persone Lgbtq+, impedire divorzi. Stanno chiudendo il cerchio". Lempart, vittima a sua volta di una durissima persecuzione legale  sta subendo 83 processi, uno dei quali potrebbe mandarla in carcere per otto anni, madre delle piazze polacche, cofondatrice dell'organizzazione "Sciopero delle donne", da anni si batte per i diritti delle donne, delle minoranze e della comunità Lgbtq+. Non ha paura per sé, piuttosto per quello che potrebbe accadere alle sue connazionali. E quel cerchio di repressione, discriminazione, odio, lo vuole rompere ad ogni costo. Davanti al quartier generale del Pis (Diritto e Giustizia), si è sdraiata in terra, con centinaia di altri manifestanti coperti da lenzuola tinte di rosso, durante le proteste di questi giorni intitolate "Non chiedermi il sangue". Perché tante, troppe persone, quel sangue, lo stanno perdendo, stanno perdendo la vita, la dignità, la forza di reagire. Le strade e le piazze di Varsavia e della Polonia si tingono di rosso, la battaglia continua. E la guerra non è ancora finita.  
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