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Home » Politica » Stepchild Adoption, a che punto siamo in Italia? Le discriminazioni vissute dai bambini delle famiglie arcobaleno

Stepchild Adoption, a che punto siamo in Italia? Le discriminazioni vissute dai bambini delle famiglie arcobaleno

Donatella Sirigo, Agedo Genova: "Per i bambini avere due mamme o due papà è una cosa normale. Lo Stato invece li discrimina. Serve al più presto una legge". Con il Covid la condizione delle famiglie composte da persone LGBTI è peggiorata

Elisa Serafini
20 Aprile 2021
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Una coppia di donne con il loro neonato

Hanno cinque, dieci, vent’anni. Ma ci sono casi di persone molto più adulte. Conducono una vita felice e ordinaria come  qualunque bambino, come qualunque figlio. Eppure figli ‘qualunque’ non sono: si tratta dei bambini (e anche molti adulti) nati in famiglie arcobaleno, composte da persone LGBTI.
Famiglie che per la legge italiana spesso non esistono e di conseguenza non esistono né diritti, né doveri.

 

In Italia la legge è ancora lontana: a farne le spese sono i bambini

La legge sulle unioni civili, varata dal Governo Renzi nel 2014 dopo un lungo dibattito, non è stata sufficiente a normare le condizioni di diritto dei figli nati o adottati all’interno di relazioni omogenitoriali: il tema della Stepchild adoption aveva incontrato le resistenze di molti esponenti del mondo politico, da destra a sinistra.

Così, mentre giustamente si festeggiava una prima (e anche ritardataria) conquista nell’ambito dei diritti civili, una buona parte del mondo politico decideva di ignorare il tema forse più delicato, e per questo importante, della legge: la tutela dei bambini.
Ad oggi, in mancanza di una legge, sono i tribunali a sancire le responsabilità genitoriali delle famiglie LGBTI. Numerose sentenze hanno dimostrato che per la legge italiana, deve prevalere sempre l’interesse del minore a vedere mantenuta la continuità genitoriale. Ma tra sentenze e carte, passano vite intere, vite di famiglie a metà, dove i diritti di chi è più vulnerabile, come un bambino, vengono messi in secondo piano.

 

Nonni e genitori di famiglie arcobaleno: “Approvate la legge sulla stepchild adoption” 

Donatella Siringo è la presidente della sezione genovese di AGEDO, l’associazione nazionale di genitori, parenti, amiche e amici di persone LGBTIQ+. Da anni aiuta, in particolare, i genitori a gestire il percorso di coming out dei figli (spesso complesso, come dimostra la vicenda della giovane Malika, la ragazza di Castelfiorentino cacciata dalla famiglia dopo aver dichiarato la sua relazione con una ragazza).

Molti genitori di AGEDO sono nonni di bambini nati nelle famiglie arcobaleno e da questa posizione osservano ogni giorno le contraddizioni di una legge che ancora non c’è. “Questi bambini sono felici, sereni, non si pongono problemi su chi è genitore. Chiamano “papà Stefano” e “papà Giovanni”, “mamma Francesca” e mamma “Checca”, insomma per loro i genitori sono quelli. Lo stesso però non si può dire per le istituzioni” – racconta a Luce!. “Se oggi uno dei due genitori, non biologico, va a prendere il bambino all’asilo, deve portare una delega dell’altro genitore. Lo stesso accade negli ospedali o in altri contesti”.

Le discriminazioni sono aumentate durante il periodo del Covid-19. Da casi di coppie omosessuali separate, in cui un membro della coppia non aveva la possibilità (e il diritto) di poter vedere i figli cresciuti insieme all’ex partner, ad altre situazioni paradossali, come l’impossibilità di uscire di casa con il genitore non biologico. “Se un bambino ha la fortuna di poter avere due genitori, perché negargli questa opportunità?” – conclude Donatella.

Nonostante i tanti casi positivi lo Stato italiano non sempre ha ammesso appieno la stepchild adoption, respingendo alcune richieste. Situazioni simili si sono verificate nei Comuni e nelle anagrafi, dove alcune coppie hanno tentato la strada del riconoscimento giuridico spesso senza successo. Anche per questa ragione, l’esigenza di definire diritti e doveri dei genitori sociali (e non solo biologici) di figli nati in famiglie arcobaleno, risulta sempre più importante.
Perché oltre le leggi esistono le persone, persone che chiedono semplicemente diritti e doveri per tutelare i propri figli.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
Una coppia di donne con il loro neonato

Hanno cinque, dieci, vent’anni. Ma ci sono casi di persone molto più adulte. Conducono una vita felice e ordinaria come  qualunque bambino, come qualunque figlio. Eppure figli 'qualunque' non sono: si tratta dei bambini (e anche molti adulti) nati in famiglie arcobaleno, composte da persone LGBTI. Famiglie che per la legge italiana spesso non esistono e di conseguenza non esistono né diritti, né doveri.

 

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Nonni e genitori di famiglie arcobaleno: "Approvate la legge sulla stepchild adoption" 

Donatella Siringo è la presidente della sezione genovese di AGEDO, l’associazione nazionale di genitori, parenti, amiche e amici di persone LGBTIQ+. Da anni aiuta, in particolare, i genitori a gestire il percorso di coming out dei figli (spesso complesso, come dimostra la vicenda della giovane Malika, la ragazza di Castelfiorentino cacciata dalla famiglia dopo aver dichiarato la sua relazione con una ragazza).

Molti genitori di AGEDO sono nonni di bambini nati nelle famiglie arcobaleno e da questa posizione osservano ogni giorno le contraddizioni di una legge che ancora non c’è. "Questi bambini sono felici, sereni, non si pongono problemi su chi è genitore. Chiamano "papà Stefano" e "papà Giovanni", "mamma Francesca" e mamma "Checca", insomma per loro i genitori sono quelli. Lo stesso però non si può dire per le istituzioni” - racconta a Luce!. "Se oggi uno dei due genitori, non biologico, va a prendere il bambino all’asilo, deve portare una delega dell’altro genitore. Lo stesso accade negli ospedali o in altri contesti".

Le discriminazioni sono aumentate durante il periodo del Covid-19. Da casi di coppie omosessuali separate, in cui un membro della coppia non aveva la possibilità (e il diritto) di poter vedere i figli cresciuti insieme all’ex partner, ad altre situazioni paradossali, come l’impossibilità di uscire di casa con il genitore non biologico. "Se un bambino ha la fortuna di poter avere due genitori, perché negargli questa opportunità?" - conclude Donatella. Nonostante i tanti casi positivi lo Stato italiano non sempre ha ammesso appieno la stepchild adoption, respingendo alcune richieste. Situazioni simili si sono verificate nei Comuni e nelle anagrafi, dove alcune coppie hanno tentato la strada del riconoscimento giuridico spesso senza successo. Anche per questa ragione, l’esigenza di definire diritti e doveri dei genitori sociali (e non solo biologici) di figli nati in famiglie arcobaleno, risulta sempre più importante. Perché oltre le leggi esistono le persone, persone che chiedono semplicemente diritti e doveri per tutelare i propri figli.
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