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Home » HP Blocco Grande » Chiara e Ludovica, l’ironia sui social: “Parliamo di sordità, un mondo diverso tutto da ascoltare”

Chiara e Ludovica, l’ironia sui social: “Parliamo di sordità, un mondo diverso tutto da ascoltare”

Una toscana, l'altra siciliana, entrambe Graphic Designer e sorde dalla nascita. Da un incontro casuale sui social è nata l'idea di aprire una pagina Instagram dove parlare di tutto ciò che ha a che fare con la sordità "perché c'è un mondo dietro e vogliamo raccontarlo in modo positivo e autoironico. Siamo persone normali, trattateci come tali"

Marianna Grazi
25 Gennaio 2022
Share on FacebookShare on Twitter

“L’udito non significa ascoltare, perché l’udito è un senso, ma ascoltare è un’arte”, recita una celebre frase. E di arte e udito, si intendono bene due straordinarie ragazze, che da una passione comune e dalla loro disabilità hanno deciso di trarre il massimo, per farsi ascoltare. Ludovica Billi ha 24 anni, ne compirà 25 tra poche settimane. Viene da Fucecchio, in provincia di Firenze, poi si è trasferita a Milano per fare un master di Graphic Design. “Sono sorda dalla nascita – spiega – ho portato le protesi acustiche fino ai 7 anni. Poi ho fatto un impianto cocleare e da lì sono ‘rinata’. Dopo, 10 anni di logopedia e… eccomi” dice ridendo.

Chiara Bucello e Ludovica Billi hanno fondato la pagina Instagram The Deaf Soul per sensibilizzare e informare sul tema della sordità

Accanto a lei, nella cucina di casa, c’è Chiara Bucello che invece è siciliana, di Catania. Ha 28 anni e anche lei frequenta un master a Milano, in Creative Direction, dopo due lauree in ambito grafico e un primo master in marketing. “Anche io sono sorda dalla nascita. Però se Ludovica ha fatto l’impianto molto piccola, io l’ho fatto… un po’ troppo tardi, nel 2019. Avrei voluto farlo molto prima però ho sempre usato le protesi”. Poi qualcosa è scattato in lei. Ha deciso di sottoporsi all’intervento e da allora, ci racconta “è tutta un’altra cosa e ora con la logopedia va sempre meglio”. Una scelta che, sul suo profilo Instagram la catanese definisce la prima e più coraggiosa, perché “senza quell’impianto cocleare non sarei la persona che sono ora, ne vado orgogliosa. Per vivere serenamente basta rispettare la scelta altrui e trasmettere l’empatia, non c’è cosa più bella che esista!”.

Mentre scherzano tra loro durante la nostra chiacchierata vedo un legame profondo, un’amicizia che non parla un linguaggio esclusivo – o la lingua dei segni che, tengono a precisare, non conoscono, si sono sempre espresse con la loro voce – ma quello che chiunque può trovare tra anime affini. Nei loro occhi, nei gesti e nelle risate trovo la complicità di due ragazze che insieme portano avanti una campagna di sensibilizzazione e comunicazione importantissima, in modo diretto, colorato, social e… autoironico. Sulla pagina The deaf soul, nata un anno fa, affrontano tutti temi legati alla disabilità uditiva ma lo fanno con un linguaggio che sa coinvolgere tutti e tutte oltre le barriere della disabilità e della diversità. Perché loro, di diverso, hanno solo il mondo di raccontarsi e affrontare la vita: no al vittimismo e sì alla gioia, all’ironia e alla libertà di vivere con spensieratezza quella che non è altro che una caratteristica, tra le tante, che le contraddistingue. Della simpatia, della comunicazione scherzosa, hanno fatto un arma per rispondere a chi proprio non vuol sentire… E le giudica attraverso stereotipi e pregiudizi.

Inutile dire che una volta entrati sarà difficile staccare gli occhi dai post, dai meme e dalle loro divertentissime gag. Forse è proprio questo il loro segreto, hanno trovato un canale giusto per trattare argomenti seri con un linguaggio accessibile –davvero– a tutti. E quindi un modo per farsi sentire da chi non voleva ascoltare. Poi dicono che sono loro, ‘le sorde’…

Chiara Bucello, 28 anni, siciliana, è una Creative Director e Graphic Designer

Chiara, Ludovica, come vi siete conosciute?
“È un po’ particolare – risponde Ludovica –. Io ero su TikTok e vidi per la prima volta un video di lei che parlava di sordità, però lo faceva in maniera ironica. Era la prima volta che vedevo una cosa del genere, che mi faceva sentire ‘normale’, mi sono detta: ‘Ce l’ho anche io l’impianto cocleare’. La contattai su Instagram e da lì ci siamo conosciute tramite messaggi e poi mi venne l’idea: ‘Ma perché non apriamo una pagina per sensibilizzare e per fare informazione sull’argomento?’ Lei accettò, eravamo anche entrambe graphic designer quindi era un vantaggio per fare pubblicità, post… e così è nata la pagina che ancora oggi ha successo”.

Che tipo di lavoro portate avanti su “The Deaf Soul”?
“Nella pagina parliamo un po’ di tutto, riguardo alla sordità. Perché in televisione, sui siti, si dicono cose completamente diverse. Perché ovviamente i giornalisti non sono informati sulla sordità ma perché proprio non sono sordi loro. Quindi noi, essendo sorde, siamo testimoni dirette sul tema e cerchiamo di far capire alle persone come trattare la sordità, ma anche tutto ciò che riguarda le leggi che ci tutelano, i documenti che possono servire per determinate cose. Noi ci focalizziamo su tutto quel mondo che contiene la parola sordità perché ci sono tante persone che non conoscono certe tematiche”.

Spesso apparite in prima persona, nelle storie e nei reel. Che rapporto avete con la vostra immagine?
“A un certo punto lei (Chiara) aveva iniziato a fare spesso dei video sul suo profilo – racconta Ludovica –. Questo, per me che prima mi nascondevo, non volevo farmi vedere da nessuno, uscivo coi capelli sciolti per non far vedere l’impianto, mi aiutato a buttarmi un po’ di più. Mi sono cimentata anche io sui video, simili ai suoi. È stato come se mi fossi tolta un peso: mi aspettavo di ricevere più critiche e non supporto, sostegno, e invece da quello che abbiamo visto, la gente è curiosa di saperne di più”.

Ludovica Billi viene da Fucecchio e ha 24 anni. Anche lei è una Graphic Designer

Qual è la percezione comune che riscontrate più spesso sulla sordità?
“La gente pensa: quella persona è sorda, non capisce quello che dico. E stop. Invece c’è un mondo dietro. Spesso ancora sentiamo parlare di “sordomuti/e” ma è una cosa sbagliata. Il termine da usare è sordo/a, anche secondo la legge. Ma c’è ancora troppa ignoranza in giro. Noi ci stiamo provando a lanciare questo messaggio, ma c’è qualcuno che dice: ‘Ma se una persona sorda non parla allora è sordomuta!’”.

La pandemia, anche sei indirettamente, ha causato molti problemi alle persone sorde
“È stato traumatico. Con la mascherina andare in farmacia, al supermercato, in molti posti, diventa faticoso. Dobbiamo sempre chiedere di abbassare la mascherina, per poter leggere il labiale. Gli altri non sanno come comportarsi con noi, dobbiamo dire loro che siamo sorde e se per favore, stando a distanza possono abbassarla per farci comprendere quel che dicono. Non tutti però vogliono farlo o capiscono la nostra esigenza”.

Ma avete ideato un metodo per rendere la comunicazione più facile. Ce lo raccontate?
“All’inizio c’erano le mascherine trasparenti, ma sono state abbandonate quasi subito. Quindi abbiamo avuto un’idea: mettere un simbolo sulla mascherina che utilizziamo tutti i giorni in modo da essere riconosciute come sorde. Perché capita, parlando con gli altri, di chiedere di abbassare la mascherina, e invece con il simbolo saremmo riconoscibili anche senza chiedere ogni volta. Tanti ragazzi ci hanno chiesto il pdf, ci hanno contattato tantissime persone, il video è diventato virale. Speriamo che sia una cosa utile”.

Le due ragazze hanno ideato un simbolo da applicare sulle mascherine per identificare le persone sorde

Non tutti però comprendono la vostra necessità…
“Ci sono persone che si rifiutano di abbassare la mascherina per il Covid, nonostante siamo distanti e sia per pochi secondi. Oppure altri, e questo è uno stereotipo ormai consolidato, che urlano, pensando che sia un problema di tono di voce”.

Vi è mai capitato di sentirvi giudicate o discriminate, o avete ricevuto offese?
“I primi tempi con l’impianto anche noi abbiamo avuto un po’ di timore a mostrarci, ma è una cosa normale. Però in generale sì, ci giudicano dall’apparenza. In passato – dice Ludovica – alle medie ma anche alle elementari, i miei compagni di classe non facevano altro che fissarmi, mi offendevano, dicevano : ‘Ma come parli? Ma da dove vieni? Hai la era moscia’. Sono stata sempre criticata e questo non ha fatto altro che far abbassare la mia autostima. Poi però alle superiori ho trovato una classe eccezionale, in cui nessuno mi giudicava. In questi ultimi due anni mi sono sentita spesso osservata, perché le persone sono curiose, non hanno mai visto l’impianto. Sui social mi sono arrivati anche messaggi tipo: ‘Ti fingi sorda per avere più followers’ e altre cose stupide. Ma rispetto al passato per me le cose sono cambiate sicuramente in meglio”.

E per Chiara?
“Io ho sempre ricevuto critiche, sin da piccola. Ero una bambina molto chiusa, non facevo vedere che avevo un problema di udito. Non facevo amicizia, ero molto riservata. Poi al liceo ho iniziato a farmi degli amici. Ovviamente la sordità non è che la racconti, se parli si capisce che hai un problema di udito. Ho trovato tanti amici per bene, poi quando è arrivato il Covid mi sono aperta ancora di più. Quando andavo a fare la spesa, se non capivo, dovevo dire che ero sorda. Da quel momento mi sono sentita più libera. Ho iniziato a parlare su Instagram, sui social, ho fatto TikTok e mi sono sentita meglio. Se vedo un lato positivo del Covid è che mi ha fatto aprire. Ho conosciuto lei (Ludovica), ho aperto la pagina… Ma soprattutto lei”, sorride.

“Le caratteristiche che definiscono la mia personalità” ha scritto su un post sul suo account Instagram Ludovica

E in ambito scolastico/universitario che tipo di atteggiamento c’è stato nei vostri confronti?
“Non proprio discriminazioni ma ci siamo sentite etichettate come sorde. Ad esempio durante un’interrogazione il prof ti ferma dopo poco e ti dà mezzo voto in più. Solo perché sei sorda. A me capitava – spiega Ludovica– soprattutto nelle lingue straniere. Io volevo meritarmi il giudizio e invece mi davano mezzo voto in più pensando ‘tanto è sorda, non capisce’. Quando facevo l’università – aggiunge Chiara – ho sempre seguito senza problemi le lezioni. Durante gli esami l’assistente accanto professore, sapendo della mia sordità, diceva al docente: ‘Mi raccomando parli piano e ad alta voce’ e questo mi parlava come se fossi una ritardata. Ma senza motivo. Per loro il fatto che sei sorda significa non capire niente. Mi è capitato quasi sempre. Alla fine, in privato, all’assistente ho detto che non c’era bisogno di dire al professore che ero sorda

Avete fatto l’impianto cocleare in due diversi momenti della vita. Vi capita che vi contattino genitori per chiedervi pareri in merito?
“Si si accade spesso. I miei genitori ad esempio – spiega Chiara – sono udenti. Quindi il mio è un caso più difficile di altri, perché se a genitori sordi nasce un figlio sordo i medici sanno come comportarsi, fanno fare l’impianto o utilizzare le protesi o la lingua dei segni. I casi come il mio sono più complicati”. “Io sono stata contattata da una famiglia – aggiunge l’amica – che già conoscevo. Sono entrambi sordi, portano entrambi le protesi acustiche e parlano solo con la lingua dei segni che noi non conosciamo. Hanno avuto un figlio, la mamma mi aveva contattato per sapere che futuro potevano garantire al bambino. Alla fine hanno deciso di far operare il bambino. Ora ha 4 anni e ha iniziato a dire qualche parola. A volte invece ci sono famiglie che ci contattano sia nei profili privati che nella pagina, chiedendo consigli sull’intervento, per quanto riguarda la logopedia e altro”.

Per Chiara la pandemia di Covid è stato uno stimolo ad aprirsi, a parlare della sua sordità

Che consiglio dareste ad un’adolescente sorda che affronta un momento di difficoltà?
Ludovica: “Io direi di non nascondere questa propria disabilità. Essendoci passata ho perso attimi o anni della mia vita per una caratteristica, non lo definisco un problema. Di farsi forza, di andare avanti. Io mi ero fatta un tatuaggio, che ho ancora: c’è scritto ‘Volere è potere’. Perché se io voglio una cosa sono in grado di farla. Per me è un consiglio utile per chi si trova in difficoltà.
Chiara: “Mi hai rubato l’idea, lo volevo dire io –ride– Io direi di aprirsi, di ‘aprire’ agli altri la propria diversità”

Perché non è la sordità che vi definisce, è solo una caratteristica tra tante…
Chiara: “Siamo tutti diversi, comunque. Abbiamo un mondo dietro ed è bello perché ognuno di noi ha un racconto diverso dall’altro”.
Ludovica: “Alla fine voglio fare questo paragone: alle persone che portano gli occhiali da vista nessuno ci fa caso, quindi spero in futuro che a questo impianto cocleare non ci faccia caso nessuno perché diventa una cosa normale. Ci meritiamo di essere trattate come persone normali”.

 

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#lucenews #lucelanazione #mua #cina #bacistellari ellari
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  • "È passato un mese dall’incidente, e ogni giorno, penso costantemente a come le cose possano cambiare rapidamente e drasticamente, in un batter d’occhio, e in modi che non avrei mai potuto immaginare.”

Il protagonista di questa vicenda è Leonardo Lotto, studente aostano, che la mattina del 23 febbraio è rimasto vittima di un incidente in mare. Il ragazzo era a Melbourne con un gruppo di amici quando dopo un tuffo tra le onde sul bagnasciuga ha picchiato violentemente la testa contro il fondale di sabbia. In quel momento è iniziato l’incubo: prima gli amici lo hanno aiutato a uscire dall’acqua, poi la corsa disperata in ospedale. Dopo l’intervento d’urgenza, è arrivato il duro responso: “Frattura delle vertebre C3 e C5, spina dorsale danneggiata". Leonardo Lotto è paralizzato dalla testa in giù e non potrà più camminare.

"Continuerò a lottare e farò tutto il necessario. A volte cadrò, ma alla fine mi rialzerò, vivendo sempre giorno per giorno, superando i momenti più bui”.

Dopo il ricovero all’Alfred Hospital di Melbourne, in Australia, “le sue condizioni sono stabili, e ora è pronto per iniziare il suo lungo percorso riabilitativo a Milano con tutte le energie e la positività che hanno sempre caratterizzato la sua personalità”. E gli amici, proprio per sostenere le cure, hanno organizzato una raccolta fondi online.

✍ Barbara Berti 

#lucenews #lucelanazione #australia #leonardolotto
  • È quanto emerge da uno studio su 1.700 ragazzi toscani realizzato dal Meyer center for health and happiness, di cui è responsabile Manila Bonciani, insieme all’Università di Firenze, e presentato in occasione della Giornata internazionale della felicità nel corso di un evento organizzato al Meyer health campus di Firenze.

Cosa gli adolescenti pensano della felicità? Come la definiscono? Cosa li rende felici? Queste alcune domande dello studio. Dai risultati emerge che i ragazzi spesso non riescono a dare neanche una definizione della felicità. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza e la transitorietà. 

Dalla ricerca emerge così che la manifestazione della felicità si declina in sei dimensioni:
➡ La più rilevante che emerge è quella dell’interesse sociale, data dall’importanza che viene attribuita dai ragazzi alle relazioni interpersonali.
➡ La seconda è l’espressione della soddisfazione verso la propria vita, del fare le cose che piacciono loro.
➡ La terza è vivere emozioni positive, rilevanza che si riscontra anche nelle parole dei ragazzi che esprimono in maniera importante l’idea di essere felici quando sono senza preoccupazioni o pressioni che avvertono frequentemente, come anche quella scolastica.
➡ La quarta è il senso di autorealizzazione insieme a quello di padronanza delle varie situazioni che si trovano ad affrontare.
➡ Infine in misura minore la loro felicità è legata all’ottimismo, cui gli stessi adolescenti non attribuiscono grande rilevanza, sebbene rappresenti la sesta dimensione della felicità identificata.

Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le emozioni e risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé. 

Ancora i maschi risultano essere più felici delle femmine a eccezione della dimensione relazionale e sociale della felicità che non si differenzia in maniera significativa tra i due gruppi, e le fasce di età più piccole, fino ai 15 anni, esprimono maggiormente di essere felici rispetto ai ragazzi di 16-17 o maggiorenni.

#felicità #ospedalemeyer #adolescenza
“L'udito non significa ascoltare, perché l'udito è un senso, ma ascoltare è un'arte”, recita una celebre frase. E di arte e udito, si intendono bene due straordinarie ragazze, che da una passione comune e dalla loro disabilità hanno deciso di trarre il massimo, per farsi ascoltare. Ludovica Billi ha 24 anni, ne compirà 25 tra poche settimane. Viene da Fucecchio, in provincia di Firenze, poi si è trasferita a Milano per fare un master di Graphic Design. “Sono sorda dalla nascita – spiega – ho portato le protesi acustiche fino ai 7 anni. Poi ho fatto un impianto cocleare e da lì sono ‘rinata’. Dopo, 10 anni di logopedia e... eccomi” dice ridendo.
Chiara Bucello e Ludovica Billi hanno fondato la pagina Instagram The Deaf Soul per sensibilizzare e informare sul tema della sordità
Accanto a lei, nella cucina di casa, c’è Chiara Bucello che invece è siciliana, di Catania. Ha 28 anni e anche lei frequenta un master a Milano, in Creative Direction, dopo due lauree in ambito grafico e un primo master in marketing. “Anche io sono sorda dalla nascita. Però se Ludovica ha fatto l’impianto molto piccola, io l’ho fatto… un po’ troppo tardi, nel 2019. Avrei voluto farlo molto prima però ho sempre usato le protesi”. Poi qualcosa è scattato in lei. Ha deciso di sottoporsi all’intervento e da allora, ci racconta “è tutta un’altra cosa e ora con la logopedia va sempre meglio”. Una scelta che, sul suo profilo Instagram la catanese definisce la prima e più coraggiosa, perché "senza quell’impianto cocleare non sarei la persona che sono ora, ne vado orgogliosa. Per vivere serenamente basta rispettare la scelta altrui e trasmettere l’empatia, non c’è cosa più bella che esista!". Mentre scherzano tra loro durante la nostra chiacchierata vedo un legame profondo, un’amicizia che non parla un linguaggio esclusivo – o la lingua dei segni che, tengono a precisare, non conoscono, si sono sempre espresse con la loro voce – ma quello che chiunque può trovare tra anime affini. Nei loro occhi, nei gesti e nelle risate trovo la complicità di due ragazze che insieme portano avanti una campagna di sensibilizzazione e comunicazione importantissima, in modo diretto, colorato, social e… autoironico. Sulla pagina The deaf soul, nata un anno fa, affrontano tutti temi legati alla disabilità uditiva ma lo fanno con un linguaggio che sa coinvolgere tutti e tutte oltre le barriere della disabilità e della diversità. Perché loro, di diverso, hanno solo il mondo di raccontarsi e affrontare la vita: no al vittimismo e sì alla gioia, all'ironia e alla libertà di vivere con spensieratezza quella che non è altro che una caratteristica, tra le tante, che le contraddistingue. Della simpatia, della comunicazione scherzosa, hanno fatto un arma per rispondere a chi proprio non vuol sentire... E le giudica attraverso stereotipi e pregiudizi. Inutile dire che una volta entrati sarà difficile staccare gli occhi dai post, dai meme e dalle loro divertentissime gag. Forse è proprio questo il loro segreto, hanno trovato un canale giusto per trattare argomenti seri con un linguaggio accessibile –davvero– a tutti. E quindi un modo per farsi sentire da chi non voleva ascoltare. Poi dicono che sono loro, 'le sorde'...
Chiara Bucello, 28 anni, siciliana, è una Creative Director e Graphic Designer
Chiara, Ludovica, come vi siete conosciute? “È un po’ particolare – risponde Ludovica –. Io ero su TikTok e vidi per la prima volta un video di lei che parlava di sordità, però lo faceva in maniera ironica. Era la prima volta che vedevo una cosa del genere, che mi faceva sentire ‘normale’, mi sono detta: ‘Ce l’ho anche io l’impianto cocleare’. La contattai su Instagram e da lì ci siamo conosciute tramite messaggi e poi mi venne l’idea: ‘Ma perché non apriamo una pagina per sensibilizzare e per fare informazione sull’argomento?’ Lei accettò, eravamo anche entrambe graphic designer quindi era un vantaggio per fare pubblicità, post… e così è nata la pagina che ancora oggi ha successo”. Che tipo di lavoro portate avanti su “The Deaf Soul”? “Nella pagina parliamo un po’ di tutto, riguardo alla sordità. Perché in televisione, sui siti, si dicono cose completamente diverse. Perché ovviamente i giornalisti non sono informati sulla sordità ma perché proprio non sono sordi loro. Quindi noi, essendo sorde, siamo testimoni dirette sul tema e cerchiamo di far capire alle persone come trattare la sordità, ma anche tutto ciò che riguarda le leggi che ci tutelano, i documenti che possono servire per determinate cose. Noi ci focalizziamo su tutto quel mondo che contiene la parola sordità perché ci sono tante persone che non conoscono certe tematiche”. Spesso apparite in prima persona, nelle storie e nei reel. Che rapporto avete con la vostra immagine? “A un certo punto lei (Chiara) aveva iniziato a fare spesso dei video sul suo profilo – racconta Ludovica –. Questo, per me che prima mi nascondevo, non volevo farmi vedere da nessuno, uscivo coi capelli sciolti per non far vedere l’impianto, mi aiutato a buttarmi un po’ di più. Mi sono cimentata anche io sui video, simili ai suoi. È stato come se mi fossi tolta un peso: mi aspettavo di ricevere più critiche e non supporto, sostegno, e invece da quello che abbiamo visto, la gente è curiosa di saperne di più”.
Ludovica Billi viene da Fucecchio e ha 24 anni. Anche lei è una Graphic Designer
Qual è la percezione comune che riscontrate più spesso sulla sordità? “La gente pensa: quella persona è sorda, non capisce quello che dico. E stop. Invece c’è un mondo dietro. Spesso ancora sentiamo parlare di “sordomuti/e” ma è una cosa sbagliata. Il termine da usare è sordo/a, anche secondo la legge. Ma c’è ancora troppa ignoranza in giro. Noi ci stiamo provando a lanciare questo messaggio, ma c’è qualcuno che dice: ‘Ma se una persona sorda non parla allora è sordomuta!’”. La pandemia, anche sei indirettamente, ha causato molti problemi alle persone sorde “È stato traumatico. Con la mascherina andare in farmacia, al supermercato, in molti posti, diventa faticoso. Dobbiamo sempre chiedere di abbassare la mascherina, per poter leggere il labiale. Gli altri non sanno come comportarsi con noi, dobbiamo dire loro che siamo sorde e se per favore, stando a distanza possono abbassarla per farci comprendere quel che dicono. Non tutti però vogliono farlo o capiscono la nostra esigenza”. Ma avete ideato un metodo per rendere la comunicazione più facile. Ce lo raccontate? “All’inizio c’erano le mascherine trasparenti, ma sono state abbandonate quasi subito. Quindi abbiamo avuto un’idea: mettere un simbolo sulla mascherina che utilizziamo tutti i giorni in modo da essere riconosciute come sorde. Perché capita, parlando con gli altri, di chiedere di abbassare la mascherina, e invece con il simbolo saremmo riconoscibili anche senza chiedere ogni volta. Tanti ragazzi ci hanno chiesto il pdf, ci hanno contattato tantissime persone, il video è diventato virale. Speriamo che sia una cosa utile”.
Le due ragazze hanno ideato un simbolo da applicare sulle mascherine per identificare le persone sorde
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"Le caratteristiche che definiscono la mia personalità" ha scritto su un post sul suo account Instagram Ludovica
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Per Chiara la pandemia di Covid è stato uno stimolo ad aprirsi, a parlare della sua sordità
Che consiglio dareste ad un’adolescente sorda che affronta un momento di difficoltà? Ludovica: “Io direi di non nascondere questa propria disabilità. Essendoci passata ho perso attimi o anni della mia vita per una caratteristica, non lo definisco un problema. Di farsi forza, di andare avanti. Io mi ero fatta un tatuaggio, che ho ancora: c’è scritto ‘Volere è potere’. Perché se io voglio una cosa sono in grado di farla. Per me è un consiglio utile per chi si trova in difficoltà. Chiara: “Mi hai rubato l’idea, lo volevo dire io –ride– Io direi di aprirsi, di ‘aprire’ agli altri la propria diversità” Perché non è la sordità che vi definisce, è solo una caratteristica tra tante… Chiara: “Siamo tutti diversi, comunque. Abbiamo un mondo dietro ed è bello perché ognuno di noi ha un racconto diverso dall’altro”. Ludovica: “Alla fine voglio fare questo paragone: alle persone che portano gli occhiali da vista nessuno ci fa caso, quindi spero in futuro che a questo impianto cocleare non ci faccia caso nessuno perché diventa una cosa normale. Ci meritiamo di essere trattate come persone normali”.  
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