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Home » HP Blocco Grande » Juana Cecilia Hazana Loayza uccisa dall’uomo che aveva denunciato. L’ennesima vittima di un sistema che non tutela

Juana Cecilia Hazana Loayza uccisa dall’uomo che aveva denunciato. L’ennesima vittima di un sistema che non tutela

Una giovane donna peruviana è stata trovata morta in un parco pubblico a Reggio Emilia. Uccisa dall'ex partner, già condannato per stalking ma libero grazie al patteggiamento e alla pena sospesa. Si tratta della quarta donna ammazzata in quattro giorni in Emilia, in tutto il Paese siamo già oltre le 110 vittime. Mercoledì in Senato il convegno della Commissione parlamentare d'inchiesta sui femminicidi

Marianna Grazi
22 Novembre 2021
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Juana Cecilia Hazana Loayza è stata uccisa, sgozzata in un parco cittadino a Reggio Emilia, dall’ex compagno, Mirko Genco. Una donna peruviana di 34 anni, madre di un bambino di un anno e mezzo, massacrata nella notte tra venerdì e sabato 20 novembre, da un 24enne che non accettava che lei fosse in primis una persona, una ragazza, libera di divertirsi in un pub, libera di uscire, libera di frequentare altre persone.

Il parco dove è stato ritrovato il corpo di Juana Loayza, 34enne, uccisa nella notte tra venerdì 19 e sabato 20 novembre. L’assassino, reo confesso,è Mirko Genco, 24 anni, originario e residente a Parma ANSA

Un femminicidio, l’ennesimo. Il quarto in quattro giorni in Emilia-Romagna. Donne uccise dagli uomini, per motivi legati al genere della vittima. Ecco perché, ‘femminicidio’: una parola entrata ormai a far parte del gergo comune, forse abusata, ma significativa. Non si tratta di ‘semplici’ omicidi, non è un raptus, non è la violenza chiamata da altra violenza o da una lite o da chissà quali motivazioni. Si basa sul fatto che davanti all’assassino c’è una donna, spesso la compagna, la ex, la moglie, la madre dei loro figli.
Uccise in quanto appartenenti al genere femminile, con tutto ciò che questa loro identità comporta, ancora oggi, nella nostra società. Una ogni 3 giorni, 103  tra il primo gennaio e il 7 novembre di quest’anno, su 247 omicidi totali. E 87 donne sono quelle assassinate in ambito familiare/affettivo, di cui 60 hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex partner. Sono alcuni dei dati contenuti nell’ultimo report sugli “Omicidi volontari” curato dal Servizio analisi criminale della Direzione centrale della polizia criminale. Numeri, ma dietro i numeri si sa, ci sono storie, ci sono vite. Spezzate. Come quella della ragazza peruviana a Reggio Emilia.

Il caso di Reggio Emilia

La foto della serata al pub con gli amici che avrebbe spinto Mirko Genco ad andare a Reggio Emilia dove poi ha ucciso Juana Cecilia

Aveva cominciato a frequentarsi con Juana Cecilia sei mesi fa. Poi la relazione era stata interrotta ad agosto, con la denuncia di lei per stalking. Esasperata dal controllo ossessivo che Genco esercitava su di lei lo la 34enne si era rivolta alle autorità, era stata quell’una su 7 (dati tratti dalla relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, ndr) che aveva denunciato il suo futuro assassino. L’uomo viene arrestato due volte, poi le ultime misure cadono a inizio novembre, quando patteggia a due anni. “Lui sostiene che aveva iniziato di nuovo a frequentarsi con la vittima a inizio novembre, quando era tornato libero – spiega l’avvocata della difesa Alessandra Bonini – e che l’elemento scatenante venerdì sera (19 novembre, ndr), che lo ha fatto mettere in macchina da Parma a Reggio Emilia è stata la foto di lei sui social in un pub. Gli sembrava ubriaca e voleva riportarla a casa, dal suo bimbo”. Così non è andata. Il 24enne parmigiano si trova in carcere a Reggio Emilia, dove ha confessato l’omicidio. Che emerge in tutta la sua efferatezza e nella sua crudeltà dalle sue parole e dai riscontri delle indagini. Non ha negato nulla, anzi è stato lui a raccontare di quella foto, che gli avrebbe fatto scattare l’irrefrenabile impulso di vederla la sera stessa. Nel post sui social si vede la donna sorridente, accanto a dei ragazzi conosciuti quella sera. Un’immagine insopportabile per il compagno, che ha iniziato a chiamarla continuamente, mandandole anche un messaggio vocale in cui le chiedeva di vedersi quella sera stessa. Partito da Parma, l’ha raggiunta in un locale messicano in centro a Reggio, e poi racconta di averla accompagnata a casa a piedi. Il tragitto fino al palazzo dove abita Juana Cecilia e dove c’erano il suo bambino e la madre ad aspettarla, di solito dura non più di un quarto d’ora da quel locale. Nel frattempo i due parlano, come qualsiasi coppia. Ma la ragazza, nel suo appartamento, non ci rientrerà mai. A due passi da casa, in un parchetto, Genco l’ha aggredita, prima tentando di strangolarla poi, lasciandola priva di sensi, le avrebbe preso le chiavi dalla borsetta, sarebbe salito in casa a prendere un coltello, con cui poi l’avrebbe uccisa. Sgozzata, come un animale. Ma c’è di più. Un altro particolare inquietante, se confermato: la Procura di Reggio Emilia ha infatti il sospetto che l’uomo abbia addirittura tentato violentare la trentaquattrenne, prima di ucciderla, e per questo ha disposto l’autopsia sul corpo.

Le denunce e le precedenti aggressioni

Il corpo di Juana Cecilia Hazana Loayza viene portato via dal parco dove la 344enne è stata uccisa

Una tragedia annunciata, l’ennesimo femminicidio. Frasi di rito, per raccontare una piaga che nel nostro Paese provoca ancora troppe morti, troppe vittime. Che spesso non hanno la forza o il coraggio o la capacità di denunciare i loro carnefici. Anche se non è questo il caso, perché già in precedenza, come abbiamo visto, Genco era stato accusato di stalking davanti alle autorità competenti dalla stessa Juana Cecilia. Anche se questo non è bastato a salvarle la vita.
Un amico, ex rugbysta di origini sudamericane come lei, che aveva conosciuto la vittima questa estate, ha raccontato ai giornalisti di Quotidiano Nazionale le ultime ore di vita della peruviana. Conoscendo i trascorsi della coppia, aveva provato a chiamarla quella sera, per capire se stesse bene. Uno scrupolo, un gesto di affetto ma anche di preoccupazione di chi, come ha scoperto la mattina dopo, è stato l’ultimo a vederla in vita e sorridente. Nel fascicolo che i carabinieri hanno in mano sulla morte della giovane, c’è anche questo: la deposizione del ragazzo sudamericano che venerdì era andato a prenderla a casa per portarla in un locale in via Guasco a Reggio Emilia, dove trascorrere una serata tra amici. Poi il gruppo si era spostato, intorno alle 2 del mattino, in un pub lì vicino. Al tavolo Cecilia aveva detto “c’è uno stalker che mi perseguita“, mostrando il cellulare che squillava ossessivamente. Era intervenuto uno dei presenti, un avvocato, che subito le aveva consigliato di bloccare Genco e le aveva proposto di scrivere una denuncia fatta bene, pro bono, per liberarsene grazie al cosiddetto ‘Codice Ross’. Ma la ragazza, di denunce, nei mesi precedenti ne aveva presentate già ben tre. Poi un attimo di distrazione, l’amico va in bagno e quando torna lei non c’è più.
Così, anche lui, sì è attaccato al telefono, per provare a contattarla. Al terzo tentativo finalmente l’amica ha risposto: “Sto bene, tranquillo. Sto tornando a casa”. Poche parole, rassicuranti. Mai avrebbero potuto far pensare a ciò che realmente stava accadendo.
L’assassino, comunque, non era nuovo a questo tipo di accuse, né a vicende simili. Addirittura nei primi mesi di frequentazione con la peruviana ne aveva aggredito la madre, arrivata da pochi mesi in Italia, mentre questa teneva il nipotino in braccio. Entrambi erano caduti e anche questo era stato uno dei motivi che aveva spinto Cecilia a denunciarlo, ad agosto scorso. Ma il legame dell’uomo coi femminicidi risale ad anni prima, al 2015 per l’esattezza. Aveva 19 anni quando sua madre, Alessia Della Pia, era stata uccisa a 39 anni. Del delitto era stato accusato l’ex convivente tunisino Mohammed Jella, latitante un anno e mezzo prima di essere arrestato in Tunisia. Mentre nel 2020 un’altra ex compagna di Genco, costretta da questi a chiudere ogni relazione esterna, lo aveva a sua volta denunciato, prima di trovare rifugio in una struttura protetta.

Un momento del corteo in ricordo di Juana Cecilia Hazana Loayza, la 34enne trovata sgozzata ieri mattina in un parco a Reggio Emilia, 21 novembre 2021. ANSA/STEFANO ROSSI

“Ammazzata due volte, dalla legge e da quell’orco”, ha detto un’amica della vittima al TgR Rai Emilia-Romagna. Non ci stanno, gli amici e tutte le persone più vicine alla 34enne, ad accettare che Juana Cecilia sia stata uccisa così ‘facilmente’. E centinaia di cittadini, per questo, sono scese in strada l’indomani della tragedia, in un sit-in silenzioso, per protestare contro il meccanismo di legge che ha permesso, legittimamente, a Genco di essere libero. Il patteggiamento a due anni, per il tipo di reati contenuti nel ‘Codice rosso’, prevede che la pena sospesa “possa essere concessa ma subordinata a percorsi di riabilitazione. Un gran bel nome, ma è qualche cosa, e qui ne è la palese dimostrazione, che non funziona”, ha detto all’Ansa la legale Bonini. Quel patteggiamento, quella pena sospesa, quella libertà, in fondo, che il 24enne parmigiano aveva ottenuto, prevede in effetti che l’autore di stalking e molestie segua dei percorsi di riabilitazione e colloqui con psicoterapeuti, che possano aiutarlo a liberarsi da quelle forme di comportamento vessatorie. “Ho contattato il centro ‘Liberiamoci dalla violenza’ dell’Usl di Parma – spiega ancora l’avvocata – che accettava solo persone che, in modo volontario, li avessero contattati. Genco non aveva molta scelta e li ha chiamati”. Un primo colloquio appena libero e poi “mi ha detto di averne avuto un altro il 16 novembre”. Tre giorni prima del delitto. Un percorso di riabilitazione simile “è giusto”, “il giudice ha applicato la legge, l’avvocato fa il suo mestiere”, ma in questo caso “non ha funzionato”, conclude amara Bonini.
Un percorso legale che ha portato alla morte di una donna, l’ennesima. Una donna coraggiosa, che aveva avuto la forza di denunciare il suo aggressore, che aveva fatto tutto quello in suo potere per salvarsi la vita. Ma che comunque è stata ammazzata. No, in effetti il meccanismo non ha funzionato. E allora è necessario chiedersi perché e intervenire. Prima che la stessa cosa porti ad altre morti.

Il Convegno “Donne uccise dagli uomini: i numeri di una strage”

Il 25 novembre, ogni anno, si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, nata per volere dell’ONU nel 1999 e celebrata ogni anno per ricordare a tutti che la violenza di genere è purtroppo ancora una realtà diffusa da combattere, e che la strada da percorrere è ancora lunga. La Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere ha organizzato, proprio in occasione di questo appuntamento, il convegno dal titolo “Donne uccise dagli uomini: i numeri di una strage. Dove sbagliamo?”. Nel corso dell’iniziativa, che si terrà al Senato mercoledì 24 novembre alle ore 16.00 (Sala Capitolare presso il Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva) sarà presentata l’inchiesta della Commissione sulla “Risposta giudiziaria ai femminicidi in Italia negli anni 2017-2018”. Ad aprire i lavori sarà la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e alla conferenza, suddivisa in due tavole rotonde, parteciperanno tante donne impegnate ogni giorno, in vari settori, a combattere questa piaga della società. Tra queste la senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione di inchiesta sul femminicidio; Maria Rizzotti, vicepresidente della Commissione di inchiesta sul femminicidio; Rik Daems, presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa; Helena Dalli, commissaria europea per l’uguaglianza (videomessaggio); Cinzia Leone, vicepresidente della Commissione di inchiesta sul femminicidio; Paola Di Nicola Travaglini, magistrata; Fabio Roia, magistrato; Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale Istat. Inoltra interverranno la ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, quella della Giustizia, Marta Cartabia e Luciana Lamorgese, ministra dell’Interno.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
Juana Cecilia Hazana Loayza è stata uccisa, sgozzata in un parco cittadino a Reggio Emilia, dall'ex compagno, Mirko Genco. Una donna peruviana di 34 anni, madre di un bambino di un anno e mezzo, massacrata nella notte tra venerdì e sabato 20 novembre, da un 24enne che non accettava che lei fosse in primis una persona, una ragazza, libera di divertirsi in un pub, libera di uscire, libera di frequentare altre persone.
Il parco dove è stato ritrovato il corpo di Juana Loayza, 34enne, uccisa nella notte tra venerdì 19 e sabato 20 novembre. L'assassino, reo confesso,è Mirko Genco, 24 anni, originario e residente a Parma ANSA
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Il caso di Reggio Emilia

La foto della serata al pub con gli amici che avrebbe spinto Mirko Genco ad andare a Reggio Emilia dove poi ha ucciso Juana Cecilia
Aveva cominciato a frequentarsi con Juana Cecilia sei mesi fa. Poi la relazione era stata interrotta ad agosto, con la denuncia di lei per stalking. Esasperata dal controllo ossessivo che Genco esercitava su di lei lo la 34enne si era rivolta alle autorità, era stata quell'una su 7 (dati tratti dalla relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio, ndr) che aveva denunciato il suo futuro assassino. L'uomo viene arrestato due volte, poi le ultime misure cadono a inizio novembre, quando patteggia a due anni. "Lui sostiene che aveva iniziato di nuovo a frequentarsi con la vittima a inizio novembre, quando era tornato libero - spiega l'avvocata della difesa Alessandra Bonini - e che l'elemento scatenante venerdì sera (19 novembre, ndr), che lo ha fatto mettere in macchina da Parma a Reggio Emilia è stata la foto di lei sui social in un pub. Gli sembrava ubriaca e voleva riportarla a casa, dal suo bimbo". Così non è andata. Il 24enne parmigiano si trova in carcere a Reggio Emilia, dove ha confessato l'omicidio. Che emerge in tutta la sua efferatezza e nella sua crudeltà dalle sue parole e dai riscontri delle indagini. Non ha negato nulla, anzi è stato lui a raccontare di quella foto, che gli avrebbe fatto scattare l'irrefrenabile impulso di vederla la sera stessa. Nel post sui social si vede la donna sorridente, accanto a dei ragazzi conosciuti quella sera. Un'immagine insopportabile per il compagno, che ha iniziato a chiamarla continuamente, mandandole anche un messaggio vocale in cui le chiedeva di vedersi quella sera stessa. Partito da Parma, l'ha raggiunta in un locale messicano in centro a Reggio, e poi racconta di averla accompagnata a casa a piedi. Il tragitto fino al palazzo dove abita Juana Cecilia e dove c'erano il suo bambino e la madre ad aspettarla, di solito dura non più di un quarto d'ora da quel locale. Nel frattempo i due parlano, come qualsiasi coppia. Ma la ragazza, nel suo appartamento, non ci rientrerà mai. A due passi da casa, in un parchetto, Genco l'ha aggredita, prima tentando di strangolarla poi, lasciandola priva di sensi, le avrebbe preso le chiavi dalla borsetta, sarebbe salito in casa a prendere un coltello, con cui poi l’avrebbe uccisa. Sgozzata, come un animale. Ma c'è di più. Un altro particolare inquietante, se confermato: la Procura di Reggio Emilia ha infatti il sospetto che l'uomo abbia addirittura tentato violentare la trentaquattrenne, prima di ucciderla, e per questo ha disposto l'autopsia sul corpo.

Le denunce e le precedenti aggressioni

Il corpo di Juana Cecilia Hazana Loayza viene portato via dal parco dove la 344enne è stata uccisa
Una tragedia annunciata, l'ennesimo femminicidio. Frasi di rito, per raccontare una piaga che nel nostro Paese provoca ancora troppe morti, troppe vittime. Che spesso non hanno la forza o il coraggio o la capacità di denunciare i loro carnefici. Anche se non è questo il caso, perché già in precedenza, come abbiamo visto, Genco era stato accusato di stalking davanti alle autorità competenti dalla stessa Juana Cecilia. Anche se questo non è bastato a salvarle la vita. Un amico, ex rugbysta di origini sudamericane come lei, che aveva conosciuto la vittima questa estate, ha raccontato ai giornalisti di Quotidiano Nazionale le ultime ore di vita della peruviana. Conoscendo i trascorsi della coppia, aveva provato a chiamarla quella sera, per capire se stesse bene. Uno scrupolo, un gesto di affetto ma anche di preoccupazione di chi, come ha scoperto la mattina dopo, è stato l'ultimo a vederla in vita e sorridente. Nel fascicolo che i carabinieri hanno in mano sulla morte della giovane, c'è anche questo: la deposizione del ragazzo sudamericano che venerdì era andato a prenderla a casa per portarla in un locale in via Guasco a Reggio Emilia, dove trascorrere una serata tra amici. Poi il gruppo si era spostato, intorno alle 2 del mattino, in un pub lì vicino. Al tavolo Cecilia aveva detto "c’è uno stalker che mi perseguita", mostrando il cellulare che squillava ossessivamente. Era intervenuto uno dei presenti, un avvocato, che subito le aveva consigliato di bloccare Genco e le aveva proposto di scrivere una denuncia fatta bene, pro bono, per liberarsene grazie al cosiddetto 'Codice Ross'. Ma la ragazza, di denunce, nei mesi precedenti ne aveva presentate già ben tre. Poi un attimo di distrazione, l'amico va in bagno e quando torna lei non c'è più. Così, anche lui, sì è attaccato al telefono, per provare a contattarla. Al terzo tentativo finalmente l'amica ha risposto: "Sto bene, tranquillo. Sto tornando a casa". Poche parole, rassicuranti. Mai avrebbero potuto far pensare a ciò che realmente stava accadendo. L'assassino, comunque, non era nuovo a questo tipo di accuse, né a vicende simili. Addirittura nei primi mesi di frequentazione con la peruviana ne aveva aggredito la madre, arrivata da pochi mesi in Italia, mentre questa teneva il nipotino in braccio. Entrambi erano caduti e anche questo era stato uno dei motivi che aveva spinto Cecilia a denunciarlo, ad agosto scorso. Ma il legame dell'uomo coi femminicidi risale ad anni prima, al 2015 per l'esattezza. Aveva 19 anni quando sua madre, Alessia Della Pia, era stata uccisa a 39 anni. Del delitto era stato accusato l'ex convivente tunisino Mohammed Jella, latitante un anno e mezzo prima di essere arrestato in Tunisia. Mentre nel 2020 un'altra ex compagna di Genco, costretta da questi a chiudere ogni relazione esterna, lo aveva a sua volta denunciato, prima di trovare rifugio in una struttura protetta.
Un momento del corteo in ricordo di Juana Cecilia Hazana Loayza, la 34enne trovata sgozzata ieri mattina in un parco a Reggio Emilia, 21 novembre 2021. ANSA/STEFANO ROSSI
"Ammazzata due volte, dalla legge e da quell'orco", ha detto un'amica della vittima al TgR Rai Emilia-Romagna. Non ci stanno, gli amici e tutte le persone più vicine alla 34enne, ad accettare che Juana Cecilia sia stata uccisa così 'facilmente'. E centinaia di cittadini, per questo, sono scese in strada l'indomani della tragedia, in un sit-in silenzioso, per protestare contro il meccanismo di legge che ha permesso, legittimamente, a Genco di essere libero. Il patteggiamento a due anni, per il tipo di reati contenuti nel 'Codice rosso', prevede che la pena sospesa "possa essere concessa ma subordinata a percorsi di riabilitazione. Un gran bel nome, ma è qualche cosa, e qui ne è la palese dimostrazione, che non funziona", ha detto all'Ansa la legale Bonini. Quel patteggiamento, quella pena sospesa, quella libertà, in fondo, che il 24enne parmigiano aveva ottenuto, prevede in effetti che l'autore di stalking e molestie segua dei percorsi di riabilitazione e colloqui con psicoterapeuti, che possano aiutarlo a liberarsi da quelle forme di comportamento vessatorie. "Ho contattato il centro 'Liberiamoci dalla violenza' dell'Usl di Parma - spiega ancora l'avvocata - che accettava solo persone che, in modo volontario, li avessero contattati. Genco non aveva molta scelta e li ha chiamati". Un primo colloquio appena libero e poi "mi ha detto di averne avuto un altro il 16 novembre". Tre giorni prima del delitto. Un percorso di riabilitazione simile "è giusto", "il giudice ha applicato la legge, l'avvocato fa il suo mestiere", ma in questo caso "non ha funzionato", conclude amara Bonini. Un percorso legale che ha portato alla morte di una donna, l'ennesima. Una donna coraggiosa, che aveva avuto la forza di denunciare il suo aggressore, che aveva fatto tutto quello in suo potere per salvarsi la vita. Ma che comunque è stata ammazzata. No, in effetti il meccanismo non ha funzionato. E allora è necessario chiedersi perché e intervenire. Prima che la stessa cosa porti ad altre morti.

Il Convegno "Donne uccise dagli uomini: i numeri di una strage"

Il 25 novembre, ogni anno, si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, nata per volere dell’ONU nel 1999 e celebrata ogni anno per ricordare a tutti che la violenza di genere è purtroppo ancora una realtà diffusa da combattere, e che la strada da percorrere è ancora lunga. La Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere ha organizzato, proprio in occasione di questo appuntamento, il convegno dal titolo "Donne uccise dagli uomini: i numeri di una strage. Dove sbagliamo?". Nel corso dell'iniziativa, che si terrà al Senato mercoledì 24 novembre alle ore 16.00 (Sala Capitolare presso il Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva) sarà presentata l'inchiesta della Commissione sulla "Risposta giudiziaria ai femminicidi in Italia negli anni 2017-2018". Ad aprire i lavori sarà la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e alla conferenza, suddivisa in due tavole rotonde, parteciperanno tante donne impegnate ogni giorno, in vari settori, a combattere questa piaga della società. Tra queste la senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione di inchiesta sul femminicidio; Maria Rizzotti, vicepresidente della Commissione di inchiesta sul femminicidio; Rik Daems, presidente dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa; Helena Dalli, commissaria europea per l'uguaglianza (videomessaggio); Cinzia Leone, vicepresidente della Commissione di inchiesta sul femminicidio; Paola Di Nicola Travaglini, magistrata; Fabio Roia, magistrato; Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale Istat. Inoltra interverranno la ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, quella della Giustizia, Marta Cartabia e Luciana Lamorgese, ministra dell'Interno.
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