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Home » HP Blocco Grande » L’oro di Jacobs o Tamberi “paga” più del doppio di quello di chi vince alle Paralimpiadi

L’oro di Jacobs o Tamberi “paga” più del doppio di quello di chi vince alle Paralimpiadi

180.000 euro per la vittoria olimpica, 90.000 per l'argento e 60.000 per il bronzo, contro i 75.000 per il successo paralimpico con 40.000 al secondo e 25.000 per il terzo posto. Ecco i perché di quella che sui social è definita una discriminazione, considerando che in entrambi i casi fatica e sacrifici sono almeno equivalenti

Doriano Rabotti
27 Agosto 2021
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Le Paralimpiadi sono partite con una pioggia di medaglie per l’Italia, che di questo passo potrebbe benissimo superare la quota quaranta fissata dall’edizione record delle Olimpiadi, qualche settimana fa. Quanto un’impresa sia legata all’altra, quanto sia stato contagioso l’entusiasmo provocato dai Tamberi, Jacobs, Paltrinieri o Dell’Aquila solo per citare qualche nome, quanto le prodezze degli azzurri olimpici abbiano gasato e stimolato quelli paralimpici, non è materialmente possibile stabilirlo.

Per fortuna, le emozioni non si possono mettere sul bilancino.

 

Marcel Jacobs

Centottantamila euro per l’oro olimpico

 

I soldi sì, invece. Ed è su questo punto che sta pian piano emergendo una piccola polemica, alimentata soprattutto sui social dove un’occasione per discutere in modo non esattamente razionale e civile non passa mai indenne. Però un dato concreto c’è, e può servire quanto meno ad aprire un ragionamento, se non proprio un dibattito.
Perché le medaglie che i quaranta reduci dalle Olimpiadi hanno portato a casa frutteranno come prima conseguenza premi in denaro che spesso, soprattutto per quelle discipline per cui il professionismo è un sogno visto alla tv, sono determinanti per dare un senso alle fatiche di anni. Nessuno si scandalizza se un oro alle Olimpiadi, prima ancora dell’indotto che può generare in termini di contratti pubblicitari e compensi collegati alla botta di notorietà, porta nelle tasche di un atleta vincente un premio da 180mila euro. Se un argento frutta 90mila euro e un bronzo 60mila euro. E se qualcuno vince più di una medaglia, i soldi ovviamente si sommano.
Nessuno storce il naso perché è chiaro che quei soldi sono coperti dalle sponsorizzazioni, e soprattutto vanno a premiare atleti che a volte hanno dedicato tutta una vita sportiva a rincorrere quell’occasione.

 

Il campione paralimpico Boggiardo

Settantacinquemila per la vittoria paralimpica

 

Non è diversa, però, la condizione dei ragazzi che stanno affrontando le Paralimpiadi e stanno portando lustro all’Italia con le loro vittorie, con le loro parole spesso meno retoriche e più vere di tante interviste che rilasciano i professionisti.
Un oro alle Paralimpiadi vale ‘soltanto’ 75mila euro, meno della metà di quello che si mette in tasca un atleta ’normodotato’. Un argento porta 40mila euro, un bronzo 25mila euro.
E’ il caso, per non trasformare un dibattito che può essere un’occasione di crescita in un paese civile, di spiegare un dettaglio tecnico che non è secondario, trattandosi di soldi: il Coni, per fare un esempio pratico, deve ’premiare’ una sola gara maschile e una femminile per una specialità, mettiamo i 100 stile libero per amore di ragionamento. Nel caso della Paralimpiadi, la differenza nelle disabilità porta a moltiplicare il numero delle gare sulla stessa distanza. E quindi il Cip potenzialmente avrebbe molti più atleti da premiare, se anche avesse lo stesso budget a disposizione del Coni. E’ da ingenui far finta di non sapere che il ’mercato’ generato dalle Olimpiadi è, almeno per ora, più ricco di quello delle Paralimpiadi.

Eppure, dal punto di vista di un atleta, c’è davvero tutta questa differenza, nell’impegno personale, per arrivare a giocarsi una vittoria?

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Instagram

  • Per la prima volta nella storia del calcio, un arbitro ha estratto il cartellino bianco. No, non si tratta di un errore: se il giallo e il rosso fanno ormai parte di tantissimi anni delle regole del gioco ed evidenziano un comportamento scorretto, quello bianco vuole invece "premiare", in maniera simbolica, un gesto di fair play. Il tutto è avvenuto in Portogallo, durante un match di coppa nazionale tra il Benfica e lo Sporting Lisbona femminile.

Benfica-Sporting Lisbona femminile, quarti di finale della Coppa del Portogallo. I padroni di casa si trovano in vantaggio per 3-0 e vinceranno la sfida con un netto 5-0, ma un episodio interrompe il gioco: un tifoso sugli spalti accusa un malore, tanto che gli staff medici delle due squadre corrono verso le tribune per soccorrerlo. Dopo qualche minuto di paura, non solo per le giocatrici in campo ma anche per gli oltre quindicimila spettatori presenti allo stadio, il supporter viene stabilizzato e il gioco può riprendere. Prima, però, la direttrice di gara Catarina Campos effettua un gesto che è destinato a rimanere nella storia del calcio: estrae il cartellino bianco nei confronti dei medici delle due squadre.

Il cartellino bianco non influenza in alcun modo il match, né il risultato o il referto arbitrale; chissà che, da oggi in poi, gli arbitri non cominceranno ad agire più spesso, per esaltare un certo tipo di condotta eticamente corretta portata avanti anche dai calciatori.

#lucenews #cartellinobianco #calcio #fairplay
  • Son tutte belle le mamme del mondo. Soprattutto… quando un bambino si stringono al cuor… I versi di un vecchio brano ricordano lo scatto che sta facendo il giro del web. Quella di una madre che allatta il proprio piccino sul posto di lavoro. In questo caso la protagonista è una supermodella –  Maggie Maurer – che ha postato uno degli scatti più teneri e glamour di sempre. La super top si è fatta immortalare mentre nutre al seno la figlia Nora-Jones nel backstage dello show couture di Schiaparelli, tenutosi a Parigi.

La top model americana 32enne, che della maison è già musa, tanto da aver ispirato una clutch – non proprio una pochette ma una borsa che si indossa a mano che riproduce il suo volto –  nell’iconico scatto ha ancora il viso coperto dal make-up dorato realizzato dalla truccatrice-star Path McGrath, ed è coperta solo sulle spalle da un asciugamano e un telo protettivo trasparente. 

L’immagine è forte, intensa, accentuata dalla vernice dorata che fa apparire mamma Maurer come una divinità dell’Olimpo, una creatura divina ma squisitamente terrena, colta nel gesto di nutrire il proprio piccolo.

Ed è un’immagine importante, perché contribuisce a scardinare lo stigma dell’allattamento al seno in pubblico, sul luogo di lavoro e in questo caso anche sui social, su cui esistono ancora molti tabù. L’intera gravidanza di Maggie Maurer è stata vissuta in chiave di empowerment, e decisamente glamour. Incinta di circa sei mesi, ha sfilato per Nensi Dojaka sfoggiando un capo completamente trasparente della collezione autunno inverno 2022, e con il pancione.

Nell’intimo post su Instagram, Maggie Maurer ha deciso quindi condividere con i propri follower la sua immagine che la ritrae sul luogo di lavoro con il volto dipinta d’oro, una parte del suo look, pocoprima di sfilare per la casa di moda italiana, Schiaparelli. In grembo, ha sua figlia, che sta allattando dietro le quinte della sfilata. Le parole scritte a finco della foto, la modella ha scritto “#BTS #mommy”, evidenziando il lavoro senza fine della maternità, nonostante i suoi successi.

di Letizia Cini ✍🏻

#lucenews #maggiemaurer #materintà #mommy
  • La tolleranza, l’inclusione e il rispetto svaniscono nel momento in cui ci si mette davanti alla tastiera di un computer. Gli haters non sono spariti né accennano a diminuire. Esistono, sono molti più di prima, attaccano e anzi rilanciano. Oltre lo schermo, sono le donne soprattutto, e poi le persone con disabilità e le persone omosessuali, a essere i destinatari di insulti e offese di ogni tipo.

È questo il triste podio che ci consegna la ricerca condotta da Vox, Osservatorio italiano sui diritti, che ha fotografato l’odio via social, in particolare attraverso l’esame dei tweet. E le cose non vanno meglio rispetto all’anno precedente, anzi. Dalla settima edizione di questa ricerca è emerso infatti che nel 2022, da gennaio a ottobre, sono stati estratti quasi 630mila tweet, 583mila dei quali negativi, pari al 93% del totale, mentre invece l’anno prima i tweet presi in esame erano stati poco più di 797mila, 550mila dei quali erano negativi, cioè il 69% del totale.

Le donne si confermano essere il bersaglio numero uno, seguite appunto dalle persone con disabilità e dalle persone omosessuali, tornate nuovamente al centro del mirino, e non solo di quello che fa riferimento all’hate speech.

Oltre agli onnipresenti atteggiamenti di body shaming, molti attacchi hanno avuto come contenuto la competenza e la professionalità delle donne stesse. E, dunque, è il lavoro delle donne a emergere anche quest’anno quale co-fattore scatenante lo hate speech misogino, a conferma di una tendenza già rilevata lo scorso anno. Quanto alle persone con disabilità, risultata la seconda categoria più colpita.

Per quanto concerne invece gli stranieri e i migranti, la categoria sociale con una percentuale più alta di incremento di tweet negativi all’interno del cluster rispetto al 2021. Anche qui, va sottolineata la forte attenzione mediatica che si accende sugli sbarchi dei migranti e sulla situazione dei profughi provenienti dall’Ucraina, nonché dal contesto politico italiano e dalla sua relazione con l’Unione europea circa la gestione della situazione migratoria.

📲Come difendersi? Qual è la cura contro l
  • “Sesso. Libertà. Uguaglianza. Amore in tutti i sensi. E tutti a tavola!”. È il messaggio che Rosa Chemical, all’anagrafe Manuel Franco Rocati, porta a Sanremo 2023 per quello che sarà il suo esordio al festival con il brano “Made in Italy”.

Il rapper classe 1998, arriva da debuttante, ma con una storia già ben definita alle spalle. Poliedrico, eclettico, difficilmente etichettabile, ha dato sfogo alla sua creatività non solo a livello musicale – con influenze che spaziano dall’hiphop alla trap all’elettronica -, ma lavorando anche come modello per Gucci, come art and creative director e dedicandosi anche alla scrittura di videoclip. 

Nel 2019 ha pubblicato “Forever”, il suo primo album, che è stato certificato disco d’oro, da lì una serie di collaborazioni che lo hanno portato anche ad affiancare Tananai l’anno scorso nella serata cover del Festival.

“Molto spesso sono giudicato perché diverso, ma dal diverso bisogna imparare, assorbire. In Italia invece ciò che è diverso è giudicato. E io da diverso in passato mi sono sentito sbagliato” racconta Rosa Chemical. 

Non a caso, a Sanremo, il 25enne paladino della libertà di essere se stessi senza farsi condizionare dalle norme della società, arriva con il brano “Made in Italy” e un obiettivo ben preciso: “portare un messaggio di libertà contro ogni tipo di discriminazione, per promuovere l’uguaglianza e il rispetto. Cerco di creare dibattito: sono sempre pronto a spiegare il mio punto di vista, ma se non c’è apertura mentale non mi sento di dover dire nulla”.

Il brano “È piedi, con cui calpestare ciò che è generalista e che chiude tutto dentro una gabbia fatta di tabù. ‘Made in Italy vuole’ liberarci dalle censure, dagli stereotipi e dal politicamente corretto”. 

Come il titolo e la copertina, anche il testo è provocatorio e racchiude al suo interno tutta l’essenza e l’irriverenza prorompente di Rosa Chemical perché parla in maniera sfrontata di temi ancora oggi considerati tabù come il sesso, la fluidità e il poliamore. 

“Non c’è cosa più ‘Made in Italy’ del Festival di Sanremo. Non vedo l’ora di salire su quel palco”.

#lucenews #sanremo2023 #rosachemical
Le Paralimpiadi sono partite con una pioggia di medaglie per l’Italia, che di questo passo potrebbe benissimo superare la quota quaranta fissata dall’edizione record delle Olimpiadi, qualche settimana fa. Quanto un’impresa sia legata all’altra, quanto sia stato contagioso l’entusiasmo provocato dai Tamberi, Jacobs, Paltrinieri o Dell’Aquila solo per citare qualche nome, quanto le prodezze degli azzurri olimpici abbiano gasato e stimolato quelli paralimpici, non è materialmente possibile stabilirlo. Per fortuna, le emozioni non si possono mettere sul bilancino.  
Marcel Jacobs

Centottantamila euro per l'oro olimpico

  I soldi sì, invece. Ed è su questo punto che sta pian piano emergendo una piccola polemica, alimentata soprattutto sui social dove un’occasione per discutere in modo non esattamente razionale e civile non passa mai indenne. Però un dato concreto c’è, e può servire quanto meno ad aprire un ragionamento, se non proprio un dibattito. Perché le medaglie che i quaranta reduci dalle Olimpiadi hanno portato a casa frutteranno come prima conseguenza premi in denaro che spesso, soprattutto per quelle discipline per cui il professionismo è un sogno visto alla tv, sono determinanti per dare un senso alle fatiche di anni. Nessuno si scandalizza se un oro alle Olimpiadi, prima ancora dell’indotto che può generare in termini di contratti pubblicitari e compensi collegati alla botta di notorietà, porta nelle tasche di un atleta vincente un premio da 180mila euro. Se un argento frutta 90mila euro e un bronzo 60mila euro. E se qualcuno vince più di una medaglia, i soldi ovviamente si sommano. Nessuno storce il naso perché è chiaro che quei soldi sono coperti dalle sponsorizzazioni, e soprattutto vanno a premiare atleti che a volte hanno dedicato tutta una vita sportiva a rincorrere quell’occasione.  
Il campione paralimpico Boggiardo

Settantacinquemila per la vittoria paralimpica

  Non è diversa, però, la condizione dei ragazzi che stanno affrontando le Paralimpiadi e stanno portando lustro all’Italia con le loro vittorie, con le loro parole spesso meno retoriche e più vere di tante interviste che rilasciano i professionisti. Un oro alle Paralimpiadi vale ‘soltanto’ 75mila euro, meno della metà di quello che si mette in tasca un atleta ’normodotato’. Un argento porta 40mila euro, un bronzo 25mila euro. E’ il caso, per non trasformare un dibattito che può essere un’occasione di crescita in un paese civile, di spiegare un dettaglio tecnico che non è secondario, trattandosi di soldi: il Coni, per fare un esempio pratico, deve ’premiare’ una sola gara maschile e una femminile per una specialità, mettiamo i 100 stile libero per amore di ragionamento. Nel caso della Paralimpiadi, la differenza nelle disabilità porta a moltiplicare il numero delle gare sulla stessa distanza. E quindi il Cip potenzialmente avrebbe molti più atleti da premiare, se anche avesse lo stesso budget a disposizione del Coni. E’ da ingenui far finta di non sapere che il ’mercato’ generato dalle Olimpiadi è, almeno per ora, più ricco di quello delle Paralimpiadi. Eppure, dal punto di vista di un atleta, c’è davvero tutta questa differenza, nell’impegno personale, per arrivare a giocarsi una vittoria?
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