Lettera a Gaia Nanni e a tutte le Gaie del mondo: “Scusate! continuiamo a vigilare insieme”
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Oggi lavora in una scuola, un impiego precario purtroppo, che non è legato solo alla sua disabilità quanto piuttosto una situazione che l’accomuna a migliaia di altre persone nel nostro Paese. Ma questa è un’altra questione, forse. Quella di Maddalena Milone, 39 anni, da Grosseto, è invece la storia di una giovane donna che ha lanciato la campagna online “La disabilità non scade” su Change.org per aggiornare la legge 104, nello specifico chiedendo protesi meno obsolete, congedi lavorativi straordinari e pensioni di invalidità adeguate. Perché? Perché appena un anno fa ha perso la gamba sinistra e sa bene di cosa si parla. Ma riavvolgiamo il nastro. E scopriamo, attraverso la sua voce, chi è questa straordinaria guerriera.
“Nel 2013 abitavo all’estero perché in Italia non riuscivo a trovare lavoro – racconta Maddalena –. Sono stata in Inghilterra e Spagna, ero impiegata d'ufficio, poi ho deciso di dedicarmi ad una mia grande passione, quella per il paracadutismo, trasformandola in un vero e proprio lavoro, che devo dire mi faceva guadagnare un bel po’”. Tutto bene quel che finisce bene insomma. Invece: “Nel 2016 ho avuto un bruttissimo incidente in Spagna”, ricorda. Le operazioni per salvarle la vita e poi il rientro in Italia, un mese dopo, trasferita al CTO di Firenze. Qui è rimasta per un paio di mesi, poi la lunga riabilitazione e “un anno dopo circa sono tornata a camminare. Avevo difficoltà ma questo non mi ha fermata anzi ho iniziato a fare trekking. Ma dal 2018, per una complicanza post operatoria, ho iniziato ad avere problemi alla gamba sinistra. Dopo i primi interventi ho avuto una infezione e da allora mi sono sottoposta a 24 operazioni totali per cercare di salvare la gamba, ma non c’è stato verso”, spiega la 39enne che aggiunge: “A luglio dell’anno scorso non c’era più niente da fare, l’infezione era così estesa che mi mandava continuamente in setticemia. Abbiamo deciso di amputare la gamba”.
In Italia ha poi trovato un lavoro? “No, non lavoravo inizialmente. Nel 2018 sono riuscita a inserirmi negli elenchi delle supplenze e ho iniziato a fare la docente precaria. Lì si apre tutto un mondo a parte. Anni di studi che, per carità è bello imparare, ma poi uno vorrebbe esserne ripagato”.
L’anno scorso le hanno amputato la gamba sinistra. Com’è cambiata la sua vita? “È cambiata parecchio. Sono entrata in un mondo che non conoscevo, scoprendo diverse cose che non mi hanno convinto. Partendo dalle protesi, dagli ausili ortopedici su cui c’è grande confusione se non si è addentro alla questione”.
Ce la spiega?
“Esistono diversi trattamenti: chi è Inail ha un trattamento, chi è militare un altro, chi è Asl ha un terzo trattamento. I militari hanno la pensione militare, quella Inail e a volte anche quella Asl, hanno le protesi pagate dallo Stato (di tutti i tipi). Lo stesso per tutti gli Inail, che però hanno solo la loro pensione. E infine ci sono gli invalidi civili, coloro che non si sono fatti male sul lavoro e quindi sono seguiti da Inps e Asl. Per questo terzo tipo di disabili il sistema sanitario nazionale si rifà a un documento chiamato Nomenclatore tariffario, che è ancora quello del 1999. In questo elenco sono compresi ausili che non esistono più e questa cosa fa sì che si alimenti anche tutto un mercato (alternativo) delle protesi ortopediche non proprio legale, ma soprattutto che io ad esempio non possa accedere agli ausili più costosi né a nessun tipo di protesi o sportiva o estetica. Ti devi prendere di quello che ti passa la Asl, che sono un invaso, un tubo e un piede, con il quale è impossibile camminare ed è quindi la prima cosa che ti devi comprare di tasca tua”.
Di che cifre si parla? “Un piede medio costa almeno 3mila euro. Il mio, tra l’altro, è un caso tra i più ‘fortunati’ perché sono stata amputata sotto il ginocchio. Per chi ha un’amputazione sopra esistono i ginocchi elettronici, che funzionano molto bene. Ecco un ginocchio elettronico costa dai 35mila euro in su e la Asl non li passa. La cifra coperta si aggira intorno ai 3mila euro, a cui è quasi sempre necessario aggiungere componenti personalmente”.
Quindi con queste protesi è già difficile avere una vita ‘normale’, figuriamoci pensare di fare altro… “Almeno il piede devi comprartelo, con quello che ti danno – di legno letteralmente – ti fai solo male. Poi se vuoi fare sport devi procurarti una protesi sportiva. Ora io ammiro gli atleti paralimpici, tra l’altro il piede mi è stato regalato da una di loro, ma bisogna considerare che la protesi di Ambra (Sabatini, ndr) costa 60mila euro, la protesi di Martina (Caironi, ndr) forse 70. Quindi tutto molto bello ma non per tutti, loro sono sponsorizzate”.
Giustamente una persona come lei non può né vuole fermarsi. “Io vorrei lavorare, voglio farlo, ma in Italia c’è una burocrazia assurda. Devi fare moduli su moduli, pratiche, la patente che scade più spesso, pagare marche da bollo più costose, certificare anche che respiri praticamente – dice ironica –. E lavorare facendo tutto questo diventa veramente difficile, perché sei a visita ogni anno, veramente è complicatissimo. Se ne parla poco ma è un aspetto importante. È giusto certificare tutto ma c’è una burocrazia pazzesca. Io oltre ad aver perso una gamba ho una lesione al midollo spinale e ogni anno devi andare all’Inps, ricevi lettere in continuazione che ti dicono che hai il sussidio, poi te lo tolgono… Una situazione grottesca. Non solo la mia, quella di tutti”.
Come ha vissuto questo primo anno della sua 'nuova' vita? “Ho avuto delle difficoltà, mi hanno amputata ad agosto, ho fatto la primissima protesizzazione a inizio ottobre ma è andata male e sono stata ferma per un periodo, senza protesi. Nel frattempo ho fatto la visita all’Inps che mi ha tolto ogni tipo di sussidio. Quindi dovevo rientrare al lavoro, che mi scadeva il certificato per ‘terapie salvavita’, perciò ho chiesto la tutela per ‘lavoratori fragili’ ma non ho avuto nemmeno risposta dall’Istituto per cui lavoro. Mi hanno mandato dal medico competente, che in prima istanza ha scritto che dovevo fare smartworking, anche perché non ero ancora protesizzata. Però il giorno dopo mi hanno dichiarato idonea e sono dovuta andare al lavoro con il moncone infiammato e una protesi non adatta. Visto che continuava a darmi problemi alla fine sono andata al lavoro con le stampelle, senza gamba, perché non avevo più giorni di malattia disponibili”.