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Home » HP Blocco Grande » Un nuovo decennio di povertà e disuguaglianze: i risultati del WeWorld Index 2021. “Serve un’azione generale per far crescere i Paesi più fragili”

Un nuovo decennio di povertà e disuguaglianze: i risultati del WeWorld Index 2021. “Serve un’azione generale per far crescere i Paesi più fragili”

La classifica annuale sul livello di inclusione di donne e bambini, che si basa su 34 indicatori e prende in considerazione 172 Paesi nel mondo, fotografa un drammatico rallentamento – se non addirittura uno stallo – nei progressi raggiunti in termini di povertà e disuguaglianze. La pandemia da coronavirus e i cambiamenti climatici sono le principali cause di questo brusco stop

Domenico Guarino
19 Novembre 2021
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C’era una volta l’Agenda 2030 dell’Onu. Poi è arrivato il Covid. E la triste storia dei progressi per abbattere povertà e disuguaglianze nel mondo potrebbe racchiudersi in queste due brevi frasi.

Foto WeWorld

Al punto che il WeWorld Index – la classifica sul livello di inclusione di donne, bambine e bambini in 172 Paesi, che fotografa ed analizza la situazione di questi soggetti in relazione a 34 indicatori (ambientali, sociali, educativi, economici e di salute) – mette in evidenza un dato chiaro ed incontrovertibile: l’arrivo della pandemia Sars-cov2 ha rallentato, fino quasi a mettere in discussione del tutto, i progressi fatti negli ultimi anni. Tutti gli indicatori principali infatti fanno pensare che il 2021 vada ad aprire un nuovo decennio di povertà e disuguaglianze, confermando il trend negativo iniziato nel 2020. Anche perché le categorie sociali che hanno subito maggiormente le conseguenze sono quelle che già prima della pandemia vivevano in condizioni di marginalizzazione e discriminazione, tra cui donne e bambini.

I numeri del WeWorld Index

Foto: WeWorld

Le evidenze sono drammatiche: alla fine del 2021, nel mondo, 435 milioni di ragazze e donne si troveranno sotto la soglia di povertà; 258 milioni di bambini e bambine, la metà dei quali in Africa subsahariana, non ricevono ancora un’educazione adeguata: 59 milioni dalla primaria, 62 milioni dalla secondaria inferiore e 138 milioni dalla secondaria superiore. E ancora, in conseguenza della crisi ambientale in atto, nel 2030 si prevede che 150 milioni di persone avranno bisogno di aiuti umanitari, 50 milioni in più rispetto a oggi. Nel 2020 più di 50 milioni di persone sono state infatti doppiamente colpite: da disastri legati ai cambiamenti climatici e dalla pandemia di Covid-19. Non a caso, lo scorso anno, i rifugiati e rifugiate in tutto il mondo sono saliti a 26,4 milioni. Il 39% di loro è ospitato in soli 5 Paesi: Turchia, Colombia, Pakistan, Uganda e Germania. A questi vanno poi ad aggiungersi i 40,5 milioni di nuovi sfollati interni, il numero più negli ultimi dieci anni.
Infine, come se non bastasse, la crisi occupazionale e la chiusura delle scuole hanno costretto le famiglie a basso reddito a ricorrere al lavoro minorile o ai matrimoni forzati come meccanismo di risposta. Tanto che a causa del Covid-19, il primo potrebbe aumentare di 8,9 milioni di casi entro la fine del 2022, e più della metà di questi riguarderebbe bambini tra i 5 e gli 11 anni. La 7° edizione di WeWorld Index è stata presentata durante un evento online a cui hanno partecipato il Presidente di WeWorld Marco Chiesara; Elena Caneva, Coordinatrice Centro Studi di WeWorld; l’Ambasciatore Maurizio Massari, Rappresentante Permanente dell’Italia presso le Nazioni Unite; Marina Sereni, Vice-Ministra per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale; Yasmin Sherif e Marco Grazia dal Fondo globale per l’educazione in contesti di emergenza “Education Cannot Wait”; Lia Romano, Emergency Program Coordinator; Meg Gardinier, Segretaria Generale di ChildFund Alliance.

La classifica dell’inclusione

Per quanto concerne la classifica dei Paesi più inclusivi per donne e bambini, anche nel 2021 assistiamo al trionfo dei Paesi scandinavi: le prime posizioni sono occupate infatti da Islanda, Nuova Zelanda e Svezia. La Svizzera è quarta (in ascesa, era settima nel 2020), la Finlandia quinta (in discesa, era seconda).

Foto: WeWorld

La Norvegia che era prima lo scorso anno si piazza invece al sesto posto. Nelle ultime posizioni troviamo gli stessi Paesi del 2020: Repubblica Centrafricana (170° posizione), Sud Sudan (171°) e Ciad (172°). In questi Paesi la condizione delle donne e dei bambini è ancora critica in tutte le dimensioni prese in considerazione nell’Indice.
“Se non lavoriamo in modo olistico, un solo evento critico –come il passaggio di un ciclone– è sufficiente perché gli sforzi fatti vengano vanificati e si torni indietro su tutti i diritti, dall’istruzione alla sanità”, dichiara Marco Chiesara, Presidente WeWorld . Che aggiunge: “Se non agiamo globalmente, con politiche e interventi che facciano crescere anche i Paesi più fragili, il processo per l’acquisizione, il godimento dei diritti e l’accesso ai servizi non potrà essere che parziale e temporaneo, escludendo i Paesi più poveri. Ma affinché il cambiamento sia reale gli interventi devono mettere al centro un approccio di genere e generazionale, in modo che la crescita non sia ad appannaggio solo di chi gode già di maggiori risorse”.

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Il protagonista di questa vicenda è Leonardo Lotto, studente aostano, che la mattina del 23 febbraio è rimasto vittima di un incidente in mare. Il ragazzo era a Melbourne con un gruppo di amici quando dopo un tuffo tra le onde sul bagnasciuga ha picchiato violentemente la testa contro il fondale di sabbia. In quel momento è iniziato l’incubo: prima gli amici lo hanno aiutato a uscire dall’acqua, poi la corsa disperata in ospedale. Dopo l’intervento d’urgenza, è arrivato il duro responso: “Frattura delle vertebre C3 e C5, spina dorsale danneggiata". Leonardo Lotto è paralizzato dalla testa in giù e non potrà più camminare.

"Continuerò a lottare e farò tutto il necessario. A volte cadrò, ma alla fine mi rialzerò, vivendo sempre giorno per giorno, superando i momenti più bui”.

Dopo il ricovero all’Alfred Hospital di Melbourne, in Australia, “le sue condizioni sono stabili, e ora è pronto per iniziare il suo lungo percorso riabilitativo a Milano con tutte le energie e la positività che hanno sempre caratterizzato la sua personalità”. E gli amici, proprio per sostenere le cure, hanno organizzato una raccolta fondi online.

✍ Barbara Berti 

#lucenews #lucelanazione #australia #leonardolotto
  • È quanto emerge da uno studio su 1.700 ragazzi toscani realizzato dal Meyer center for health and happiness, di cui è responsabile Manila Bonciani, insieme all’Università di Firenze, e presentato in occasione della Giornata internazionale della felicità nel corso di un evento organizzato al Meyer health campus di Firenze.

Cosa gli adolescenti pensano della felicità? Come la definiscono? Cosa li rende felici? Queste alcune domande dello studio. Dai risultati emerge che i ragazzi spesso non riescono a dare neanche una definizione della felicità. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza e la transitorietà. 

Dalla ricerca emerge così che la manifestazione della felicità si declina in sei dimensioni:
➡ La più rilevante che emerge è quella dell’interesse sociale, data dall’importanza che viene attribuita dai ragazzi alle relazioni interpersonali.
➡ La seconda è l’espressione della soddisfazione verso la propria vita, del fare le cose che piacciono loro.
➡ La terza è vivere emozioni positive, rilevanza che si riscontra anche nelle parole dei ragazzi che esprimono in maniera importante l’idea di essere felici quando sono senza preoccupazioni o pressioni che avvertono frequentemente, come anche quella scolastica.
➡ La quarta è il senso di autorealizzazione insieme a quello di padronanza delle varie situazioni che si trovano ad affrontare.
➡ Infine in misura minore la loro felicità è legata all’ottimismo, cui gli stessi adolescenti non attribuiscono grande rilevanza, sebbene rappresenti la sesta dimensione della felicità identificata.

Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le emozioni e risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé. 

Ancora i maschi risultano essere più felici delle femmine a eccezione della dimensione relazionale e sociale della felicità che non si differenzia in maniera significativa tra i due gruppi, e le fasce di età più piccole, fino ai 15 anni, esprimono maggiormente di essere felici rispetto ai ragazzi di 16-17 o maggiorenni.

#felicità #ospedalemeyer #adolescenza
C’era una volta l'Agenda 2030 dell'Onu. Poi è arrivato il Covid. E la triste storia dei progressi per abbattere povertà e disuguaglianze nel mondo potrebbe racchiudersi in queste due brevi frasi.
Foto WeWorld
Al punto che il WeWorld Index – la classifica sul livello di inclusione di donne, bambine e bambini in 172 Paesi, che fotografa ed analizza la situazione di questi soggetti in relazione a 34 indicatori (ambientali, sociali, educativi, economici e di salute) – mette in evidenza un dato chiaro ed incontrovertibile: l’arrivo della pandemia Sars-cov2 ha rallentato, fino quasi a mettere in discussione del tutto, i progressi fatti negli ultimi anni. Tutti gli indicatori principali infatti fanno pensare che il 2021 vada ad aprire un nuovo decennio di povertà e disuguaglianze, confermando il trend negativo iniziato nel 2020. Anche perché le categorie sociali che hanno subito maggiormente le conseguenze sono quelle che già prima della pandemia vivevano in condizioni di marginalizzazione e discriminazione, tra cui donne e bambini.

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Foto: WeWorld
Le evidenze sono drammatiche: alla fine del 2021, nel mondo, 435 milioni di ragazze e donne si troveranno sotto la soglia di povertà; 258 milioni di bambini e bambine, la metà dei quali in Africa subsahariana, non ricevono ancora un’educazione adeguata: 59 milioni dalla primaria, 62 milioni dalla secondaria inferiore e 138 milioni dalla secondaria superiore. E ancora, in conseguenza della crisi ambientale in atto, nel 2030 si prevede che 150 milioni di persone avranno bisogno di aiuti umanitari, 50 milioni in più rispetto a oggi. Nel 2020 più di 50 milioni di persone sono state infatti doppiamente colpite: da disastri legati ai cambiamenti climatici e dalla pandemia di Covid-19. Non a caso, lo scorso anno, i rifugiati e rifugiate in tutto il mondo sono saliti a 26,4 milioni. Il 39% di loro è ospitato in soli 5 Paesi: Turchia, Colombia, Pakistan, Uganda e Germania. A questi vanno poi ad aggiungersi i 40,5 milioni di nuovi sfollati interni, il numero più negli ultimi dieci anni. Infine, come se non bastasse, la crisi occupazionale e la chiusura delle scuole hanno costretto le famiglie a basso reddito a ricorrere al lavoro minorile o ai matrimoni forzati come meccanismo di risposta. Tanto che a causa del Covid-19, il primo potrebbe aumentare di 8,9 milioni di casi entro la fine del 2022, e più della metà di questi riguarderebbe bambini tra i 5 e gli 11 anni. La 7° edizione di WeWorld Index è stata presentata durante un evento online a cui hanno partecipato il Presidente di WeWorld Marco Chiesara; Elena Caneva, Coordinatrice Centro Studi di WeWorld; l’Ambasciatore Maurizio Massari, Rappresentante Permanente dell’Italia presso le Nazioni Unite; Marina Sereni, Vice-Ministra per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale; Yasmin Sherif e Marco Grazia dal Fondo globale per l’educazione in contesti di emergenza “Education Cannot Wait”; Lia Romano, Emergency Program Coordinator; Meg Gardinier, Segretaria Generale di ChildFund Alliance.

La classifica dell'inclusione

Per quanto concerne la classifica dei Paesi più inclusivi per donne e bambini, anche nel 2021 assistiamo al trionfo dei Paesi scandinavi: le prime posizioni sono occupate infatti da Islanda, Nuova Zelanda e Svezia. La Svizzera è quarta (in ascesa, era settima nel 2020), la Finlandia quinta (in discesa, era seconda).
Foto: WeWorld
La Norvegia che era prima lo scorso anno si piazza invece al sesto posto. Nelle ultime posizioni troviamo gli stessi Paesi del 2020: Repubblica Centrafricana (170° posizione), Sud Sudan (171°) e Ciad (172°). In questi Paesi la condizione delle donne e dei bambini è ancora critica in tutte le dimensioni prese in considerazione nell'Indice. "Se non lavoriamo in modo olistico, un solo evento critico –come il passaggio di un ciclone– è sufficiente perché gli sforzi fatti vengano vanificati e si torni indietro su tutti i diritti, dall’istruzione alla sanità", dichiara Marco Chiesara, Presidente WeWorld . Che aggiunge: "Se non agiamo globalmente, con politiche e interventi che facciano crescere anche i Paesi più fragili, il processo per l’acquisizione, il godimento dei diritti e l'accesso ai servizi non potrà essere che parziale e temporaneo, escludendo i Paesi più poveri. Ma affinché il cambiamento sia reale gli interventi devono mettere al centro un approccio di genere e generazionale, in modo che la crescita non sia ad appannaggio solo di chi gode già di maggiori risorse".
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