C’era una volta
l'Agenda 2030 dell'Onu. Poi è arrivato il
Covid. E la triste storia dei progressi per abbattere povertà e disuguaglianze nel mondo potrebbe racchiudersi in queste due brevi frasi.
Foto WeWorld
Al punto che il
WeWorld Index –
la classifica sul
livello di inclusione di donne, bambine e bambini in
172 Paesi, che fotografa ed analizza la situazione di questi soggetti in relazione a
34 indicatori (ambientali, sociali, educativi, economici e di salute) – mette in evidenza un dato chiaro ed incontrovertibile: l’arrivo della pandemia Sars-cov2 ha rallentato, fino quasi a mettere in discussione del tutto, i progressi fatti negli ultimi anni. Tutti gli indicatori principali infatti fanno pensare che il 2021 vada ad aprire un
nuovo decennio di povertà e disuguaglianze, confermando il trend negativo iniziato nel 2020. Anche perché le
categorie sociali che hanno subito maggiormente le conseguenze sono quelle che già prima della pandemia vivevano in condizioni di marginalizzazione e discriminazione, tra cui
donne e bambini.
I numeri del WeWorld Index
Foto: WeWorld
Le evidenze sono drammatiche: alla fine del 2021, nel mondo,
435 milioni di ragazze e donne si troveranno sotto la soglia di povertà;
258 milioni di bambini e bambine, la metà dei quali in Africa subsahariana, non ricevono ancora un’educazione adeguata: 59 milioni dalla primaria, 62 milioni dalla secondaria inferiore e 138 milioni dalla secondaria superiore. E ancora, in conseguenza della crisi ambientale in atto, nel 2030 si prevede che
150 milioni di persone avranno bisogno di aiuti umanitari, 50 milioni in più rispetto a oggi. Nel 2020 più di 50 milioni di persone sono state infatti
doppiamente colpite: da disastri legati ai
cambiamenti climatici e dalla pandemia di Covid-19. Non a caso, lo scorso anno,
i rifugiati e rifugiate in tutto il mondo sono saliti a
26,4 milioni. Il 39% di loro è ospitato in soli 5 Paesi: Turchia, Colombia, Pakistan, Uganda e Germania. A questi vanno poi ad aggiungersi i
40,5 milioni di nuovi sfollati interni, il numero più negli ultimi dieci anni. Infine, come se non bastasse, la crisi occupazionale e la chiusura delle scuole hanno costretto le famiglie a basso reddito a ricorrere al
lavoro minorile o ai
matrimoni forzati come meccanismo di risposta. Tanto che a causa del Covid-19, il primo potrebbe aumentare di 8,9 milioni di casi entro la fine del 2022, e più della metà di questi riguarderebbe bambini tra i 5 e gli 11 anni. La 7° edizione di WeWorld Index è stata presentata durante un evento online a cui hanno partecipato il Presidente di WeWorld
Marco Chiesara;
Elena Caneva, Coordinatrice Centro Studi di WeWorld; l’Ambasciatore
Maurizio Massari, Rappresentante Permanente dell’Italia presso le Nazioni Unite;
Marina Sereni, Vice-Ministra per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale;
Yasmin Sherif e
Marco Grazia dal Fondo globale per l’educazione in contesti di emergenza “Education Cannot Wait”;
Lia Romano, Emergency Program Coordinator;
Meg Gardinier, Segretaria Generale di ChildFund Alliance.
La classifica dell'inclusione
Per quanto concerne la classifica dei
Paesi più inclusivi per donne e bambini, anche nel 2021 assistiamo al trionfo dei
Paesi scandinavi: le prime posizioni sono occupate infatti da Islanda, Nuova Zelanda e Svezia. La Svizzera è quarta (in ascesa, era settima nel 2020), la Finlandia quinta (in discesa, era seconda).
Foto: WeWorld
La Norvegia che era prima lo scorso anno si piazza invece al sesto posto. Nelle
ultime posizioni troviamo gli stessi Paesi del 2020:
Repubblica Centrafricana (170° posizione),
Sud Sudan (171°) e
Ciad (172°). In questi Paesi la condizione delle donne e dei bambini è ancora critica in tutte le dimensioni prese in considerazione nell'Indice. "Se non lavoriamo
in modo olistico, un solo evento critico –come il passaggio di un ciclone– è sufficiente perché gli sforzi fatti vengano vanificati e si torni indietro su tutti i diritti, dall’istruzione alla sanità", dichiara Marco Chiesara, Presidente WeWorld . Che aggiunge: "Se non agiamo globalmente, con politiche e interventi che facciano crescere anche i Paesi più fragili, il processo per l’acquisizione, il godimento dei diritti e l'accesso ai servizi non potrà essere che
parziale e temporaneo, escludendo i Paesi più poveri. Ma affinché il cambiamento sia reale gli interventi devono mettere al centro
un approccio di genere e generazionale, in modo che la crescita non sia ad appannaggio solo di chi gode già di maggiori risorse".