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Home » HP Trio » Alice Bellandi: “Amo Chiara e il judo. Queste sono le Olimpiadi dell’inclusione. Adesso approvate il Ddl Zan”

Alice Bellandi: “Amo Chiara e il judo. Queste sono le Olimpiadi dell’inclusione. Adesso approvate il Ddl Zan”

È alla sua prima olimpiade ma sogna già in grande: "Il momento è qui, è ora". Ma alla passione per lo sport la judoka affianca il grande amore per la fidanzata. Dai Giochi dell'inclusione alla politica italiana: "Il mondo sta cambiando, in meglio. Il Ddl Zan? Sacrosanto"

Marianna Grazi
28 Luglio 2021
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È una delle atlete italiane dichiaratamente Lgbt+ ai Giochi olimpici di Tokyo 2020. Alice Bellandi, judoka bresciana di 22 anni, non fa un vero coming out parlando di Chiara, la sua fidanzata. Da tempo infatti è nota la sua relazione con la compagna, “Lavora in un chiosco non lontano dal centro tecnico federale dove mi alleno. È stata la prima ragazza che ho portato a casa, a Brescia”, a cui dedica bellissime frasi d’amore sui social.

Alice insieme alla fidanzata Chiara. Nel post su Instagram si legge una dedica: “Mi hai cambiato la vita, stravolto le priorità, aggiustato i sogni”.

In un’intervista dalla sua stanza nel villaggio olimpico a Tokyo, Alice racconta gli ultimi anni, svelando anche qualche segreto, a partire dall’inferno dei disturbi alimentari da cui, grazie alla sua tenacia e al supporto dei suoi allenatori, è riuscita ad uscire. E poi la laurea in Scienze motorie che sta per conseguire, il suo judo frenetico di cui va fiera e la prima esperienza olimpica in questo strano contesto, segnato dalla pandemia: “Non ho paragoni con altre Olimpiadi, a Rio non c’ero e chissà fra tre anni, il momento è questo, è qui ed è ora“. E di sicuro, nonostante l’eliminazione di oggi nell’incontro di ripescaggio, le lacrime dell’azzurra dimostrano che la sua carriera tra le grandi è appena iniziata, e che la sua passione per quello sport è veramente molto forte.

Nel suo cuore, infatti, il judo occupa una buona metà. L’altra però è riservata a Chiara. Alice ha scoperto scoperto la sua omosessualità quando era molto giovane: “Un’amicizia davvero forte a 15 anni con una ragazza è diventata un amore. I miei genitori l’hanno capito da soli, non mi hanno detto nulla se non ‘L’amore è amore’. Il mondo sta cambiando, in meglio”, dichiara felice.

“La società sta diventando più libera su questo aspetto e lo sport sta perdendo anche la sua aura machista per diventare davvero un posto inclusivo, per tutti”, commenta l’atleta.

In effetti quelli di Tokyo saranno i Giochi Olimpici con il più alto numero di atleti lgbt+ (ne abbiamo parlato qui): 168 quelli che saranno presenti e che hanno fatto coming out nel corso degli anni. A Rio erano una cinquantina e in tutta la storia olimpica il totale complessivo non raggiungeva 300. E nella capitale giapponese va in scena un altro primato: sono in gara anche due persone transessuali e non era mai accaduto in precedenza.

C’è chi poi, come Alice e il neo campione olimpico della piattaforma 10 m nella gara di coppia, Tom Daley, della loro sessualità vanno talmente fieri da volerlo ‘urlare’ al mondo intero (qui il racconto del campione britannico). Secondo Bellandi l’amore lesbico è più accettato dalla società, ed è più facile da dichiarare pubblicamente: “Ancora di più nello sport, dove, come dicevo, l’uomo deve sempre essere muscoloso, forte, fare paura”. Ma la ‘miglior accoglienza’ riservata alle ragazze omosessuali non deve ingannare. La discriminazione e l’odio verso la comunità Lgbt+ sono profondamente radicati nel nostro Paese, come dimostrano i recenti casi di aggressione verso i suoi appartenenti.

Per questo la judoka, che ha tutte le ‘armi’ per difendersi, si dice totalmente a favore del Ddl Zan contro l’omotransfobia, perché non si può rispondere alla violenza con la violenza, bensì con metodi legali. “Un provvedimento sacrosanto. Istituire il reato di discriminazione omofoba sarebbe un deterrente contro l’arretratezza che ancora si annida in alcuni angoli del nostro Paese”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere

È una delle atlete italiane dichiaratamente Lgbt+ ai Giochi olimpici di Tokyo 2020. Alice Bellandi, judoka bresciana di 22 anni, non fa un vero coming out parlando di Chiara, la sua fidanzata. Da tempo infatti è nota la sua relazione con la compagna, "Lavora in un chiosco non lontano dal centro tecnico federale dove mi alleno. È stata la prima ragazza che ho portato a casa, a Brescia", a cui dedica bellissime frasi d’amore sui social.

Alice insieme alla fidanzata Chiara. Nel post su Instagram si legge una dedica: "Mi hai cambiato la vita, stravolto le priorità, aggiustato i sogni".

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Nel suo cuore, infatti, il judo occupa una buona metà. L’altra però è riservata a Chiara. Alice ha scoperto scoperto la sua omosessualità quando era molto giovane: "Un'amicizia davvero forte a 15 anni con una ragazza è diventata un amore. I miei genitori l'hanno capito da soli, non mi hanno detto nulla se non 'L'amore è amore'. Il mondo sta cambiando, in meglio”, dichiara felice.

"La società sta diventando più libera su questo aspetto e lo sport sta perdendo anche la sua aura machista per diventare davvero un posto inclusivo, per tutti", commenta l'atleta.

In effetti quelli di Tokyo saranno i Giochi Olimpici con il più alto numero di atleti lgbt+ (ne abbiamo parlato qui): 168 quelli che saranno presenti e che hanno fatto coming out nel corso degli anni. A Rio erano una cinquantina e in tutta la storia olimpica il totale complessivo non raggiungeva 300. E nella capitale giapponese va in scena un altro primato: sono in gara anche due persone transessuali e non era mai accaduto in precedenza.

C’è chi poi, come Alice e il neo campione olimpico della piattaforma 10 m nella gara di coppia, Tom Daley, della loro sessualità vanno talmente fieri da volerlo ‘urlare’ al mondo intero (qui il racconto del campione britannico). Secondo Bellandi l’amore lesbico è più accettato dalla società, ed è più facile da dichiarare pubblicamente: "Ancora di più nello sport, dove, come dicevo, l'uomo deve sempre essere muscoloso, forte, fare paura". Ma la ‘miglior accoglienza’ riservata alle ragazze omosessuali non deve ingannare. La discriminazione e l’odio verso la comunità Lgbt+ sono profondamente radicati nel nostro Paese, come dimostrano i recenti casi di aggressione verso i suoi appartenenti.

Per questo la judoka, che ha tutte le ‘armi’ per difendersi, si dice totalmente a favore del Ddl Zan contro l’omotransfobia, perché non si può rispondere alla violenza con la violenza, bensì con metodi legali. "Un provvedimento sacrosanto. Istituire il reato di discriminazione omofoba sarebbe un deterrente contro l'arretratezza che ancora si annida in alcuni angoli del nostro Paese".

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