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Home » HP Trio » Allarme plastica negli Stati Uniti: solo il 5% dei rifiuti viene riciclato correttamente

Allarme plastica negli Stati Uniti: solo il 5% dei rifiuti viene riciclato correttamente

Dal rapporto di Last Beach Cleanup and Beyond Plastics emerge un quadro drammatico. Ma perché c'è così scarsa sensibilità nonostante gli allarmi degli esperti e le campagne contro l'inquinamento?

Domenico Guarino
7 Maggio 2022
rifiuti-plastica-usa

Rifiuti di plastica

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L’85% in discarica, il 10% agli inceneritori: alla fine negli Stati Uniti, solo il 5% della plastica viene correttamente riciclata. E come se non bastasse, anche quando questo accade, circa un terzo del materiale (ad esempio di una bottiglia di plastica PET ) viene scartato nel processo. Lo testimonia il rapporto di Last Beach Cleanup and Beyond Plastics, appena pubblicato. Numeri preoccupati che ci dicono come, nonostante tutti i discorsi sulla sostenibilità, sul futuro green e sulla necessità di limitare l’inquinamento, i risultati al momento sono del tutto sufficienti. Per non dire tragici.

USA_Rifiuti_Plastica
Negli Stati Uniti solo il 5% dei rifiuti di plastica viene correttamente riciclato

C’è di più: secondo quanto riporta il Guardian, il Dipartimento dell’Energia USA ha pubblicato un documento di ricerca che, analizzando i dati del 2019 ed è arrivato alle stesse conclusioni: negli States solo il 5% della plastica viene riciclato.
Come mai, dopo anni di campagne di sensibilizzazione mediatiche pervasive? Le ragioni sono diverse. Ci sono la crescita della popolazione, il fatto che si continua a preferire la plastica monouso, le basse tasse di smaltimento, innanzitutto. Senza contare che i produttori se la cavano generalmente a cuor leggero, indicando la riciclabilità del contenitore, salvo poi ‘lavarsi le mani’ circa il successo del processo, che va dal momento in cui la bottiglia o il flacone di plastica viene gettato nella pattumiera al suo smaltimento finale.

Finora gli Stati uniti se l’erano cavata anche delocalizzando il problema dello smaltimento. Ad esempio verso la Cina. Ma dal 2017 l’ex Impero Celeste ha bannato la maggior parte delle esportazioni di plastica degli Usa. Il risultato è che, siccome gli impianti di smaltimento e riciclaggio negli States sono pochissimi, la massima parte della plastica viene rigenerata e recuperata. E una frazione non secondaria finisce direttamente per strada, o nell’ambiente in generale. Al punto che problemi di inquinamento da plastiche si stanno evidenziando anche nei parchi naturali. Il rapporto di Last Beach Cleanup and Beyond Plastics ha anche rivelato che mentre il riciclaggio della plastica è in declino, la produzione di rifiuti di plastica per persona negli Stati Uniti è aumentata del 263% dal 1980, da 60 sterline a persona a 218 sterline a persona.

La plastica è il caso limite, ma ritardi e difficoltà nel riciclaggio delle materie seconde si riscontrano anche in altri settori: la carta, ad esempio, viene riciclata solo al 66%, secondo l’American Forest Products Association, le lattine di alluminio al 50,4%, secondo l’EPA. Ovviamente si sta cercando di correre al riparo. Nestlé, ad esempio, ha sostituito la plastica con la carta sulle caramelle nel Regno Unito, e si sta puntando al riutilizzo e alla ricarica delle bottiglie. Allo stesso modo i divieti sugli articoli di plastica monouso come sacchetti, contenitori per alimenti e utensili sono sempre più popolari, ad esempio in California e a Los Angeles. Ma si tratta di palliativi, che non risolvono certo il problema. Servono interventi drastici, altrimenti il rischio è di annegare. In un mare di plastica.

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  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
L'85% in discarica, il 10% agli inceneritori: alla fine negli Stati Uniti, solo il 5% della plastica viene correttamente riciclata. E come se non bastasse, anche quando questo accade, circa un terzo del materiale (ad esempio di una bottiglia di plastica PET ) viene scartato nel processo. Lo testimonia il rapporto di Last Beach Cleanup and Beyond Plastics, appena pubblicato. Numeri preoccupati che ci dicono come, nonostante tutti i discorsi sulla sostenibilità, sul futuro green e sulla necessità di limitare l’inquinamento, i risultati al momento sono del tutto sufficienti. Per non dire tragici.
USA_Rifiuti_Plastica
Negli Stati Uniti solo il 5% dei rifiuti di plastica viene correttamente riciclato
C’è di più: secondo quanto riporta il Guardian, il Dipartimento dell'Energia USA ha pubblicato un documento di ricerca che, analizzando i dati del 2019 ed è arrivato alle stesse conclusioni: negli States solo il 5% della plastica viene riciclato. Come mai, dopo anni di campagne di sensibilizzazione mediatiche pervasive? Le ragioni sono diverse. Ci sono la crescita della popolazione, il fatto che si continua a preferire la plastica monouso, le basse tasse di smaltimento, innanzitutto. Senza contare che i produttori se la cavano generalmente a cuor leggero, indicando la riciclabilità del contenitore, salvo poi 'lavarsi le mani' circa il successo del processo, che va dal momento in cui la bottiglia o il flacone di plastica viene gettato nella pattumiera al suo smaltimento finale. Finora gli Stati uniti se l’erano cavata anche delocalizzando il problema dello smaltimento. Ad esempio verso la Cina. Ma dal 2017 l’ex Impero Celeste ha bannato la maggior parte delle esportazioni di plastica degli Usa. Il risultato è che, siccome gli impianti di smaltimento e riciclaggio negli States sono pochissimi, la massima parte della plastica viene rigenerata e recuperata. E una frazione non secondaria finisce direttamente per strada, o nell’ambiente in generale. Al punto che problemi di inquinamento da plastiche si stanno evidenziando anche nei parchi naturali. Il rapporto di Last Beach Cleanup and Beyond Plastics ha anche rivelato che mentre il riciclaggio della plastica è in declino, la produzione di rifiuti di plastica per persona negli Stati Uniti è aumentata del 263% dal 1980, da 60 sterline a persona a 218 sterline a persona. La plastica è il caso limite, ma ritardi e difficoltà nel riciclaggio delle materie seconde si riscontrano anche in altri settori: la carta, ad esempio, viene riciclata solo al 66%, secondo l'American Forest Products Association, le lattine di alluminio al 50,4%, secondo l'EPA. Ovviamente si sta cercando di correre al riparo. Nestlé, ad esempio, ha sostituito la plastica con la carta sulle caramelle nel Regno Unito, e si sta puntando al riutilizzo e alla ricarica delle bottiglie. Allo stesso modo i divieti sugli articoli di plastica monouso come sacchetti, contenitori per alimenti e utensili sono sempre più popolari, ad esempio in California e a Los Angeles. Ma si tratta di palliativi, che non risolvono certo il problema. Servono interventi drastici, altrimenti il rischio è di annegare. In un mare di plastica.
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