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Home » HP Trio » Benjamin Carpenter, papà single e gay da record: ha adottato cinque bambini con disabilità

Benjamin Carpenter, papà single e gay da record: ha adottato cinque bambini con disabilità

“Se io ho cambiato la loro vita, loro hanno fatto altrettanto con la mia”. Jack, Ruby, Lily, Joseph e l'ultimo arrivato, il piccolo Louis: c'è chi è affetto da autismo, chi ha la sindrome di Down, chi è sorda. Ma tutti si amano e si sostengono a vicenda

Marianna Grazi
19 Giugno 2021
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Benjamin Carpenter, gay e single di 37 anni, non ha aspettato che arrivasse l’anima gemella per realizzare il sogno di diventare papà. Ha fatto tutto da solo e dopo infinite e tormentate lotte per ottenere l’ok da parte dei servizi sociali, è riuscito a costruire il suo tanto agognato impero, la sua famiglia “speciale”. Il suo tesoro più prezioso, infatti, sono i suoi cinque bambini, tre maschi e due femmine, tutti affetti da disabilità di varia natura: Jack di quattordici anni, le sorelle Ruby e Lily, di undici e nove anni, ed infine Joseph e Louis, rispettivamente di sei ed un anno, entrambi con la sindrome di down. Jack, il primogenito di Ben, ha l’autismo, Ruby ha la sindrome di Pierre Robin e l’uso limitato delle braccia a causa di ossa mancanti, mentre Lily è sorda.

L’uomo, originario del West Yorkshire, Gran Bretagna, ammette che fin dalla tenera età ha maturato il desiderio di diventare genitore: “L’adozione è sempre stata al centro dei miei pensieri – sostiene – A 21 anni ho capito che volevo diventare padre il prima possibile, forse ero giovane ma ho sempre avuto una testa da vecchio sulle spalle. Da single, ero convinto che anche loro non mi avrebbero preso sul serio, ma ero al settimo cielo quando è successo. A causa del precedente lavoro con adulti e bambini disabili, sapevo che era giusto per me adottare un bambino disabile, perché sapevo che sarei stato in grado di prendermi correttamente cura di loro. All’inizio ho visto una pubblicità dei servizi sociali locali di adozione in cerca di genitori adottivi, e ho pensato che mai avrebbero voluto come un ragazzo single. Ma ho detto loro chi ero e dove lavoravo e sono stati davvero positivi e molto entusiasti di me, così ho adottato un bambino. Nove anni dopo, ho cinque figli e non cambierei nulla.”

A Benjamin ci sono voluti 3 anni per convincere le autorità della serietà della sua richiesta e nel 2005, quando si è coronato il suo sogno, è diventato anche uno dei più giovani uomini gay del Paese a ottenere l’adozione di un bambino. Il suo è stato un gesto molto impegnativo: “Promuovere l’adozione è la cosa più gratificante, soddisfacente e impegnativa che ho fatto, ma ho sempre detto che l’adozione di un figlio disabile non è per tutti“. E sui bambini con questo tipo di difficoltà dice: “Sono le creature più vulnerabili di questo mondo e quelle che più hanno bisogno di una casa amorevole e piena di attenzioni”.

Purtroppo, Ben ha subito una perdita devastante quando, nel novembre 2019, ha perso un figlio, Noah, a causa della sindrome di Cornelia de Lange, rara malattia genetica che può ritardare lo sviluppo. A colmare quel vuoto nel suo cuore e ad aiutarlo a rimarginare in parte la ferita, per fortuna, c’erano gli altri quattro fratelli, che gli sono sempre stati accanto. In ogni momento difficile i bimbi ci sono sempre gli uni per gli altri. A tal proposito, Ben dice che “è bello vedere come si sostengano tutti a vicenda e sono anche orgoglioso di aver dato loro un ambiente stabile e felice in cui crescere. Se io ho cambiato la loro vita, loro hanno fatto altrettanto con la mia”.

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  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

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Benjamin Carpenter, gay e single di 37 anni, non ha aspettato che arrivasse l'anima gemella per realizzare il sogno di diventare papà. Ha fatto tutto da solo e dopo infinite e tormentate lotte per ottenere l'ok da parte dei servizi sociali, è riuscito a costruire il suo tanto agognato impero, la sua famiglia "speciale". Il suo tesoro più prezioso, infatti, sono i suoi cinque bambini, tre maschi e due femmine, tutti affetti da disabilità di varia natura: Jack di quattordici anni, le sorelle Ruby e Lily, di undici e nove anni, ed infine Joseph e Louis, rispettivamente di sei ed un anno, entrambi con la sindrome di down. Jack, il primogenito di Ben, ha l’autismo, Ruby ha la sindrome di Pierre Robin e l’uso limitato delle braccia a causa di ossa mancanti, mentre Lily è sorda. L'uomo, originario del West Yorkshire, Gran Bretagna, ammette che fin dalla tenera età ha maturato il desiderio di diventare genitore: "L'adozione è sempre stata al centro dei miei pensieri – sostiene – A 21 anni ho capito che volevo diventare padre il prima possibile, forse ero giovane ma ho sempre avuto una testa da vecchio sulle spalle. Da single, ero convinto che anche loro non mi avrebbero preso sul serio, ma ero al settimo cielo quando è successo. A causa del precedente lavoro con adulti e bambini disabili, sapevo che era giusto per me adottare un bambino disabile, perché sapevo che sarei stato in grado di prendermi correttamente cura di loro. All'inizio ho visto una pubblicità dei servizi sociali locali di adozione in cerca di genitori adottivi, e ho pensato che mai avrebbero voluto come un ragazzo single. Ma ho detto loro chi ero e dove lavoravo e sono stati davvero positivi e molto entusiasti di me, così ho adottato un bambino. Nove anni dopo, ho cinque figli e non cambierei nulla.” A Benjamin ci sono voluti 3 anni per convincere le autorità della serietà della sua richiesta e nel 2005, quando si è coronato il suo sogno, è diventato anche uno dei più giovani uomini gay del Paese a ottenere l'adozione di un bambino. Il suo è stato un gesto molto impegnativo: "Promuovere l'adozione è la cosa più gratificante, soddisfacente e impegnativa che ho fatto, ma ho sempre detto che l'adozione di un figlio disabile non è per tutti". E sui bambini con questo tipo di difficoltà dice: "Sono le creature più vulnerabili di questo mondo e quelle che più hanno bisogno di una casa amorevole e piena di attenzioni". Purtroppo, Ben ha subito una perdita devastante quando, nel novembre 2019, ha perso un figlio, Noah, a causa della sindrome di Cornelia de Lange, rara malattia genetica che può ritardare lo sviluppo. A colmare quel vuoto nel suo cuore e ad aiutarlo a rimarginare in parte la ferita, per fortuna, c'erano gli altri quattro fratelli, che gli sono sempre stati accanto. In ogni momento difficile i bimbi ci sono sempre gli uni per gli altri. A tal proposito, Ben dice che "è bello vedere come si sostengano tutti a vicenda e sono anche orgoglioso di aver dato loro un ambiente stabile e felice in cui crescere. Se io ho cambiato la loro vita, loro hanno fatto altrettanto con la mia".
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