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Home » HP Trio » Busline35A, il corto animato di Elena Felici contro le molestie e chi rimane in silenzio

Busline35A, il corto animato di Elena Felici contro le molestie e chi rimane in silenzio

Racconta le dinamiche dell’effetto spettatore, fenomeno psicologico per cui le persone decidono di non intervenire in aiuto di un’altra

Edoardo Martini
1 Febbraio 2023
Una scena della pellicola Busline35A (YouTube)

Una scena della pellicola Busline35A (YouTube)

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Un cortometraggio animato per spiegare l’“effetto spettatore”. E’ questo quello che fa la pellicola dal titolo Busline35A, realizzata dalla regista e animatrice Elena Felici in collaborazione con la scuola di animazione danese The Animation Workshop. Questo piccolo gioiello d’animazione racconta, in sei minuti, le dinamiche di questo fenomeno psicologico per cui le persone decidono di non intervenire in aiuto di un’altra.

Cos’è il bystander effect?

Con “effetto spettatore” si intende quel fenomeno sociale per il quale gli individui tendono a non soccorrere una persona in difficoltà, quando anche altre persone stanno assistendo alla stessa scena. I primi studiosi di questo particolare meccanismo furono negli anni Settanta Bibb Latané e John Darley, due psicologi della Columbia University che, in seguito all’uccisione di una donna per le strade di New York, spiegarono il fenomeno rifacendosi a due teorie: la prima si basa sull’idea che le persone presumono che vada tutto bene solo perché altre persone presenti non dimostrano di percepire alcunché di strano; la seconda, invece, parla di una diminuzione del senso di responsabilità avvertito da ciascun individuo quando sono presenti altri potenziali soccorritori.

La regista e animatrice Elena Felici (Salto.bz)

La trama della pellicola

La trama è molto semplice: un autobus, tre personaggi, ognuno alle prese con i propri problemi personali e una domanda: “Se fosse toccato a te, cosa avresti fatto?“. Al centro della pellicola infatti c’è una ragazzina delle medie che torna a casa con un autobus notturno. A una delle fermate un uomo sale sul mezzo e si siede vicino alla giovane donna, iniziando a molestarla verbalmente e non solo. Sempre sullo stesso bus, a pochi sedili di distanza, sono presenti altre tre persone. E sono proprio loro, a ben vedere, i protagonisti silenziosi del film. Silenziosi perché nonostante i commenti rivolti dall’uomo alla ragazzina siano udibili a ognuno di loro, i tre spettatori restano impassibili, ognuno assorto nei propri pensieri. Pensieri che risuonano ad alta voce nella mente, quasi a cercare una via di fuga per giustificare la loro inerzia e, dunque, la loro complicità. Il contrasto tra la scena che avviene sullo sfondo, e le piccole e banali storie dei passeggeri, crea un’atmosfera tragicomica e inquietante, nella quale tutti sanno cosa sta accadendo, ma sperano che sia qualcun altro a fare il primo passo.

Il corto si ispira allo stile dei cineasti Don Hertzfeldt (Rejected) e Roy Andersson (Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza), i quali amalgamano tecniche miste di animazione, dalla stop-motion agli schizzi animati bidimensionali. La pellicola inoltre ha ricevuto premi e consensi in numerosi festival internazionali.

 

 

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  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
Un cortometraggio animato per spiegare l'"effetto spettatore". E' questo quello che fa la pellicola dal titolo Busline35A, realizzata dalla regista e animatrice Elena Felici in collaborazione con la scuola di animazione danese The Animation Workshop. Questo piccolo gioiello d’animazione racconta, in sei minuti, le dinamiche di questo fenomeno psicologico per cui le persone decidono di non intervenire in aiuto di un’altra. https://youtu.be/tUtSgp2g_rE

Cos'è il bystander effect?

Con "effetto spettatore" si intende quel fenomeno sociale per il quale gli individui tendono a non soccorrere una persona in difficoltà, quando anche altre persone stanno assistendo alla stessa scena. I primi studiosi di questo particolare meccanismo furono negli anni Settanta Bibb Latané e John Darley, due psicologi della Columbia University che, in seguito all’uccisione di una donna per le strade di New York, spiegarono il fenomeno rifacendosi a due teorie: la prima si basa sull’idea che le persone presumono che vada tutto bene solo perché altre persone presenti non dimostrano di percepire alcunché di strano; la seconda, invece, parla di una diminuzione del senso di responsabilità avvertito da ciascun individuo quando sono presenti altri potenziali soccorritori.
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