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Home » HP Trio » Donne, potere, eccellenza: la battaglia per la presidentessa ha un presupposto sbagliato

Donne, potere, eccellenza: la battaglia per la presidentessa ha un presupposto sbagliato

Il nuovo (o la nuova?) presidente della Repubblica: perché i simboli non bastano a cambiare le cose

Agnese Pini
3 Gennaio 2022
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E dunque è il momento di una donna presidente della Repubblica, come chiedono le intellettuali che in questi giorni ne hanno fatto un manifesto? Certo, certo che è il momento. Io lo spero profondamente, strenuamente.
Ma è un “momento” talmente esausto e abusato da suonare vuoto. Molti anni fa sarebbe già stato il momento: Nilde Iotti nel 1990 diceva che era il momento. Nel 1990! E invece il momento è invecchiato, lo abbiamo perso senza capacità (o volontà? Credo volontà) di coglierlo. Allora che cosa è successo in questi trenta (trenta!) anni, da Nilde Iotti a oggi? È successo che non abbiamo costruito – questo Paese non ha costruito – le fondamenta solide per rendere quel “momento” molto più di un momento: per renderlo invece una naturale possibilità, nell’avvicendarsi dei giochi talvolta virtuosi talvolta perversi del potere economico, politico, istituzionale.

Di chi è la colpa? In tal caso ugualmente di uomini e donne. Una delle fatiche maggiori per le (poche) donne di potere è ammettere di avere potere, come se “potere” fosse una parola negativa, già marchiata da una connotazione perversa, e non fosse invece semplicemente quello che è: il potere è neutro (certo, poi lo si può esercitare bene o male). Molte donne e molti uomini oggi sono convinti che una donna per avere potere debba essere la migliore (anche degli uomini): il potere che sta nell’eccellenza. È questa la gigantesca distorsione: ho sentito uomini e donne dire che le donne sono più brave, più colte, più competenti, più oneste, più virtuose, più istruite (degli uomini).

Parole vuote, parole inutili, che nella battaglia per i diritti e per il potere giocano solo contro le donne. Ammesso che siano vere, queste parole nascondono un’ipocrisia che finisce per diventare una menzogna: la lotta per il potere e la lotta per la parità, che in questo caso parzialmente coincidono, non si possono giocare sulla base dell’eccellenza.
Perché il mondo da sempre non è dei migliori, salvo eccezioni rarissime. Il mondo è dei mediocri, e anche il potere è dei mediocri. Vale per gli uomini, perché non dovrebbe valere per le donne? Non partire da questa considerazione, significa spostare l’attenzione su un tema differente, ovvero: come facciamo ad aspirare al migliore dei mondi possibili?

Ma adesso non parliamo del migliore dei mondi possibili, parliamo di come fare in modo che in questo mondo imperfetto ci sia lo stesso spazio per uomini e donne. Uno spazio che non si può limitare all’eccellenza. E posso dire una cosa che suona paradossale, o provocatoria? Meno male. Pensare che soltanto l’eccellenza abbia dignità è prima di tutto innaturale, in secondo luogo può generare distorsioni che, nella storia umana, hanno talvolta seminato tragedie.
Le battaglie per i diritti non si fanno guardando all’eccellenza, si fanno guardando alla base. Pensate alle grandi battaglie per i diritti nel mondo occidentale. Ne cito due: il cristianesimo, il marxismo. Il primo pensava agli schiavi e agli oppressi, il secondo agli operai. È alla base, e dalla base, che si fanno le rivoluzioni.
Chi se ne frega, dunque, se le donne sono più brave degli uomini, ammesso che siano più brave (e io non lo credo). Non è la bravura il terreno di gioco. Poi, non mi fraintendete, lo può diventare, lo deve o lo dovrebbe diventare.

Ma non per vincere una battaglia sui diritti umani, ovvero il diritto ad avere le stesse aspirazioni, opportunità, possibilità per uomini e donne. Ecco. In questi trent’anni, da Nilde Iotti a oggi, si è costruito troppo poco per la base. Si è pensato ai “momenti”, cioè ai simboli, che mirassero all’eccellenza. Ma i simboli da soli non cambiano (quasi) mai le cose. A volte i simboli servono solo a pulirci la coscienza. Perché la domanda è questa: il nostro Paese diventerebbe davvero un Paese moderno, un Paese all’altezza dei diritti umani dei suoi cittadini e delle sue cittadine se avesse una presidente della Repubblica donna? Ovviamente no.
Avrebbe un simbolo, certo. Un simbolo di cui io, tra l’altro, sarei felicissima, perché sia chiara una cosa: meglio il simbolo che niente. Un simbolo, per di più, da scegliere in un bacino di eccellenza femminile che pullula di nomi straordinariamente adeguati per ricoprire la prima carica dello Stato.

Ma, come dicevo, l’eccellenza non è il metro di giudizio con cui si esercita e si distribuisce il potere. E quasi mai il Presidente è stato scelto sulla base della pura eccellenza, è stato invece scelto (inevitabilmente) sulla base della politica (degli equilibri, dei giochi, dei contrappesi politici). Che è un’altra cosa. E in quella base le donne italiane ancora non ci sono, o ci sono in modo troppo tiepido, lieve, irrilevante. Questo è il problema. Ed è per questo che non dobbiamo puntare ai “momenti”, né ai simboli. Dobbiamo ritornare alla base, ricominciare da lì. Senza imprigionarci nell’insana ossessione di dover essere “più”: più brave, più intelligenti, più oneste. Il mondo deve semplicemente essere anche nostro, delle donne, mediocri o meno che siamo. Come gli uomini. Questa è la battaglia di senso che dobbiamo vincere.

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  • Sono tre, per il momento, gli istituti superiori che si sono candidati ad accogliere Nina Rosa Sorrentino, la studentessa disabile di 19 anni che non può sostenere la maturità al liceo Sabin di Bologna (indirizzo Scienze umane) e che i genitori hanno per questo motivo ritirato da scuola.

La storia è nota: la studentessa ha cominciato il suo percorso di studi nel liceo di via Matteotti seguendo il programma differenziato. Già al terzo anno i genitori avevano chiesto di passare al programma degli obiettivi minimi che si può concludere con l’Esame di Stato, mentre quello differenziato ha solo la "certificazione delle competenze".

Il Consiglio di classe aveva respinto la richiesta della famiglia, anche perché passare agli obiettivi minimi avrebbe implicato esami integrativi. Da qui la decisione della famiglia, avvenuta giusto una settimana fa, di ritirare Nina da scuola – esattamente un giorno prima che i giorni di frequenza potessero essere tali da farle comunque ottenere la "certificazione delle competenze" – in modo tale che possa provare a sostenere la Maturità in un altro istituto del capoluogo emiliano.

Sulla storia di Nina, ieri, è tornata anche la ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli, che alla Camera ha risposto, durante il question time, a una domanda sulle iniziative volte a garantire l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con sindrome di Down presentata dal capogruppo di FdI, Tommaso Foti.

"C’è ancora un po’ di strada da fare se una ragazza con la sindrome di Down non viene ammessa all’esame di maturità – ha detto la ministra –. Se non si è stati in grado di usare tutte le strategie possibili e l’accomodamento ragionevole, come previsto dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone disabili che in Italia è legge; se non si è stati in grado di valorizzare i punti di forza dei ragazzi che non chiedono di essere promossi automaticamente ma di avere un’occasione e un’opportunità."

#lucenews #lucelanazione #ninasorentino #disabilityinclusion #bologna
  • “Ho fatto la storia”. Con queste parole Alex Roca Campillo ha postato sul suo account Twitter il video degli ultimi, emozionanti, metri della maratona di Barcellona.

Ed effettivamente un record Alex l’ha scritto: è la prima persona al mondo con una disabilità al 76 per cento a riuscire a percorrere la distanza di 42 km e 195 metri.
Alex ha concluso la sua gara in 5 ore 50 minuti e 51 secondi, ma il cronometro in questa situazione è passato decisamente in secondo piano. “tutto questo è stato possibile grazie alle mia squadra. Grazie a tutti quelli che dal bordo della strada mi hanno spinto fino al traguardo. Non ho parole”.

#lucenews #alexrocacampillo #maratonadibarcellona #barcellona
  • In Uganda dirsi gay potrà costare l’ergastolo. Il Parlamento dell’Uganda ha appena approvato una legge che propone nuove e severe sanzioni per le relazioni tra persone dello stesso sesso. Al termine di una sessione molto movimentata e caotica, la speaker del Parlamento Annet Anita Among, dopo il voto finale ha detto: “È stata approvata a tempo record”. La legge, che passa ora nelle mani del presidente Yoweri Museveni, che potrà scegliere se porre il veto o firmarla, propone nuove e molto dure sanzioni per le relazioni omosessuali in un Paese in cui l’omosessualità è già illegale.

La versione finale non è ancora stata pubblicata ufficialmente, ma gli elementi discussi in Parlamento includono che una persona condannata per adescamento o traffico di bambini allo scopo di coinvolgerli in attività omosessuali, rischia l’ergastolo; individui o istituzioni che sostengono o finanziano attività o organizzazioni per i diritti Lgbt, oppure pubblicano, trasmettono e distribuiscono materiale mediatico e testuale a favore degli omosessuali, rischiano di essere perseguiti e incarcerati. 

“Questa proposta di legge – ha detto Asuman Basalirwa, membro del Parlamento che l’ha presentata – è stata concepita per proteggere la nostra cultura, i valori legali, religiosi e familiari tradizionali degli ugandesi e gli atti che possono promuovere la promiscuità sessuale in questo Paese”. Il parlamentare ha poi aggiunto: “Mira anche a proteggere i nostri bambini e giovani che sono resi vulnerabili agli abusi sessuali attraverso l’omosessualità e gli atti correlati”.

Secondo la legge amici, familiari e membri della comunità avrebbero il dovere di denunciare alle autorità le persone omosessuali. Nello stesso disegno di legge, tra l’altro, si introduce la pena di morte per chi abusa dei bambini o delle persone vulnerabili. 

#lucenews #lucelanazione #uganda #lgbtrights
  • Un’altra pagina di storia del calcio femminile è stata scritta. Non tanto per il risultato della partita ma per il record di spettatori presenti. All’Olimpico di Roma andava in scena il match di andata dei quarti di finale di Champions League tra Roma e Barcellona quando si è stabilito un nuovo record: sono state 39.454 infatti le persone che hanno incoraggiato le ragazze fin dal primo minuto superando il precedente di 39.027 stabilito in Juventus-Fiorentina del 24 marzo 2019.

Era l’andata dei quarti di finale che la Roma ha raggiunto alla sua prima partecipazione alla Champions League, ottenuta grazie al secondo posto nell’ultimo campionato. Il Barcellona, campione di Spagna e d’Europa due anni fa, era favorito e in campo lo ha dimostrato, soprattutto nel primo tempo, riuscendo a vincere 1-0. La squadra di casa è stata tenuta a galla dalle parate di Ceasar, migliore in campo, ma ha provato a impensierire la corazzata spagnola nella ripresa dove più a volte ha sfiorato la rete con le conclusioni di Haavi, Giacinti e Giugliano, il primo “numero 10” a giocare all’Olimpico per la Roma dopo il ritiro di Francesco Totti.

✍ Edoardo Martini

#lucenews #lucelanazione #calciofemminile #championsleague
E dunque è il momento di una donna presidente della Repubblica, come chiedono le intellettuali che in questi giorni ne hanno fatto un manifesto? Certo, certo che è il momento. Io lo spero profondamente, strenuamente. Ma è un “momento” talmente esausto e abusato da suonare vuoto. Molti anni fa sarebbe già stato il momento: Nilde Iotti nel 1990 diceva che era il momento. Nel 1990! E invece il momento è invecchiato, lo abbiamo perso senza capacità (o volontà? Credo volontà) di coglierlo. Allora che cosa è successo in questi trenta (trenta!) anni, da Nilde Iotti a oggi? È successo che non abbiamo costruito – questo Paese non ha costruito – le fondamenta solide per rendere quel “momento” molto più di un momento: per renderlo invece una naturale possibilità, nell’avvicendarsi dei giochi talvolta virtuosi talvolta perversi del potere economico, politico, istituzionale. Di chi è la colpa? In tal caso ugualmente di uomini e donne. Una delle fatiche maggiori per le (poche) donne di potere è ammettere di avere potere, come se “potere” fosse una parola negativa, già marchiata da una connotazione perversa, e non fosse invece semplicemente quello che è: il potere è neutro (certo, poi lo si può esercitare bene o male). Molte donne e molti uomini oggi sono convinti che una donna per avere potere debba essere la migliore (anche degli uomini): il potere che sta nell’eccellenza. È questa la gigantesca distorsione: ho sentito uomini e donne dire che le donne sono più brave, più colte, più competenti, più oneste, più virtuose, più istruite (degli uomini). Parole vuote, parole inutili, che nella battaglia per i diritti e per il potere giocano solo contro le donne. Ammesso che siano vere, queste parole nascondono un’ipocrisia che finisce per diventare una menzogna: la lotta per il potere e la lotta per la parità, che in questo caso parzialmente coincidono, non si possono giocare sulla base dell’eccellenza. Perché il mondo da sempre non è dei migliori, salvo eccezioni rarissime. Il mondo è dei mediocri, e anche il potere è dei mediocri. Vale per gli uomini, perché non dovrebbe valere per le donne? Non partire da questa considerazione, significa spostare l’attenzione su un tema differente, ovvero: come facciamo ad aspirare al migliore dei mondi possibili? Ma adesso non parliamo del migliore dei mondi possibili, parliamo di come fare in modo che in questo mondo imperfetto ci sia lo stesso spazio per uomini e donne. Uno spazio che non si può limitare all’eccellenza. E posso dire una cosa che suona paradossale, o provocatoria? Meno male. Pensare che soltanto l’eccellenza abbia dignità è prima di tutto innaturale, in secondo luogo può generare distorsioni che, nella storia umana, hanno talvolta seminato tragedie. Le battaglie per i diritti non si fanno guardando all’eccellenza, si fanno guardando alla base. Pensate alle grandi battaglie per i diritti nel mondo occidentale. Ne cito due: il cristianesimo, il marxismo. Il primo pensava agli schiavi e agli oppressi, il secondo agli operai. È alla base, e dalla base, che si fanno le rivoluzioni. Chi se ne frega, dunque, se le donne sono più brave degli uomini, ammesso che siano più brave (e io non lo credo). Non è la bravura il terreno di gioco. Poi, non mi fraintendete, lo può diventare, lo deve o lo dovrebbe diventare. Ma non per vincere una battaglia sui diritti umani, ovvero il diritto ad avere le stesse aspirazioni, opportunità, possibilità per uomini e donne. Ecco. In questi trent’anni, da Nilde Iotti a oggi, si è costruito troppo poco per la base. Si è pensato ai “momenti”, cioè ai simboli, che mirassero all’eccellenza. Ma i simboli da soli non cambiano (quasi) mai le cose. A volte i simboli servono solo a pulirci la coscienza. Perché la domanda è questa: il nostro Paese diventerebbe davvero un Paese moderno, un Paese all’altezza dei diritti umani dei suoi cittadini e delle sue cittadine se avesse una presidente della Repubblica donna? Ovviamente no. Avrebbe un simbolo, certo. Un simbolo di cui io, tra l’altro, sarei felicissima, perché sia chiara una cosa: meglio il simbolo che niente. Un simbolo, per di più, da scegliere in un bacino di eccellenza femminile che pullula di nomi straordinariamente adeguati per ricoprire la prima carica dello Stato. Ma, come dicevo, l’eccellenza non è il metro di giudizio con cui si esercita e si distribuisce il potere. E quasi mai il Presidente è stato scelto sulla base della pura eccellenza, è stato invece scelto (inevitabilmente) sulla base della politica (degli equilibri, dei giochi, dei contrappesi politici). Che è un’altra cosa. E in quella base le donne italiane ancora non ci sono, o ci sono in modo troppo tiepido, lieve, irrilevante. Questo è il problema. Ed è per questo che non dobbiamo puntare ai “momenti”, né ai simboli. Dobbiamo ritornare alla base, ricominciare da lì. Senza imprigionarci nell’insana ossessione di dover essere “più”: più brave, più intelligenti, più oneste. Il mondo deve semplicemente essere anche nostro, delle donne, mediocri o meno che siamo. Come gli uomini. Questa è la battaglia di senso che dobbiamo vincere.
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