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Donne contro le donne, la promessa elettorale di Marine Le Pen: "Multeremo chi indossa il velo"

di MARIANNA GRAZI -
9 aprile 2022
Marine Le Pen vuole vietare l'hijab

Marine Le Pen vuole vietare l'hijab

Una donna contro tante. Da una parte la candidata all'Eliseo Marine Le Pen, a poche ore dal voto in Francia che la vede in un testa a testa serrato con il candidato e presidente uscente Emmanuel Macron. Dall'altra migliaia di donne musulmane francesi che rivendicano la libertà, già profondamente condizionata, di indossare il loro hijab. Pochi giorni prima delle elezioni la Le Pen, leader del partito Rassemblement national, ha promesso di vietare l'uso del velo islamico negli spazi pubblici: "Multeremo chi indossa il velo. Verrà inflitta una contravvenzione così come accade per il divieto di circolare senza la cintura di sicurezza. Mi sembra che la polizia riesca molto bene a fare applicare questa misura", ha detto la candidata sovranista in diretta radiofonica.

Eliseo 2022: Marine Le Pen

La candidata di Rassemblement National (RN) all'Eliseo Marine Le Pen durante un comizio elettorale

La sfida di Marine Le Pen

La candidata di estrema destra alle presidenziali, nell'annunciare la sua proposta di bando al velo per le donne, ha spiegato: "È una misura assolutamente applicabile. È ancora una volta una misura che i francesi chiedono - perché, aggiunge - in questi ultimi venti anni questo velo è stato utilizzato dagli islamisti come uniforme e come dimostrazione dell'avanzata del fondamentalismo islamista". Una specifica forse necessaria, visto che, parlando di velo al femminile, ci potrebbe essere confusione e magari, qualcuno, potrebbe persino insinuare che allora anche le suore cattoliche si coprono la testa come da uniforme e nessuno si permetterebbe mai di contraddire un'usanza così radicata. Figuriamoci Marine Le Pen, che nel farlo rischierebbe di perdere i voti degli ultra-cattolici. Meglio allora prendersela con le donne musulmane, punite solo per aver dimostrato la loro liberà di culto con la scusa del: "Col velo non è possibile vedere bene la faccia della persona". Un nazionalismo, celato dietro alla laicità dello Stato costituzionalmente sancita, quasi ostentato nei confronti dell'Islam, mentre invece, con la candidata specifica, nessun problema con gli ebrei, per i quali anzi verrà eliminato il divieto la kippah ebraica. Religioni di serie A e serie B? Islamofobia? Razzismo? Quello che è sicuro è che a farne le spese, ormai da anni, sono ragazze e donne che non possono più esprimere liberamente se stesse.

Alle donne islamiche è vietato indossare in pubblico il niqab e il burqa, pena una multa e, in alcuni casi, l'obbligo di frequentare stage di educazione civica

Una guerra al femminile quasi.

L'Isalm in Francia

Seconda religione più diffusa nel Paese dopo il cattolicesimo, le persone di fede islamica in Francia rappresentano una quota che oscilla tra il 5% e il 10% della popolazione, la quota più alta di musulmani nell'Europa occidentale. Tuttavia, a partire dal 2011, lo Stato ha messo in atto una serie di norme per vietare alle donne alcuni dei tipici indumenti che rappresentano il loro credo, come il niqab (il velo che copre interamente il volto della donna lasciando scoperti solo gli occhi) e il burqa negli spazi pubblici, mentre alcune città francesi hanno vietato anche il burkini, un tipo di costume da bagno femminile che copre interamente il corpo, esclusi la faccia, le mani e i piedi. Coloro che li indossano sono infatti già costretta a pagare una multa o peggio, in alcuni casi, sono obbligate a seguire stage di educazione civica. L'anno scorso ha poi fatto molto discutere, soprattutto per la grande mobilitazione sui social portata avanti a colpi di hashtag #handsoffmyhijab (in francese #PasToucheAMonHijab), il nuovo divieto: niente velo per le ragazze minori di 18 anni. E ancora, pochi mesi fa, a gennaio, la messa al bando dell'indumento per le atlete musulmane in nome della "laicità sul campo di gioco". Insomma quella di Marine Le Pen è l'ennesima e forse più dura misura contro il simbolo islamico che si inserisce però in una lunga serie di provvedimenti già adottati dal Parlamento transalpino.