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Home » Attualità » La Francia vieta di indossare l’hijab alle atlete: “È contrario alla laicità sul campo di gioco”

La Francia vieta di indossare l’hijab alle atlete: “È contrario alla laicità sul campo di gioco”

L'ultimo provvedimento di una lunga serie di norme che il Parlamento transalpino ha introdotto in nome della laicità dello stato. Ma dove sono finite le famose Liberté, Égalité, Fraternité?

Marianna Grazi
20 Gennaio 2022
Senato-Francia-divieto-hijab

In Francia il Senato vieta l'hijab alle atlete durante le competizioni

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Il Senato francese ha votato, nelle scorse ore, per vietare alle donne islamiche di indossare l’hijab nelle competizioni atletiche del Paese. La decisione, l’ultima di una lunga serie nello stato transalpino, è stata approvata con 160 voti favorevoli e 143 contrari. Una maggioranza risicata, ma che basta per imporre il divieto alle tante ragazze e donne musulmane che amano e praticano sport ma vorrebbero farlo mantenendo fede ai principi dettati dalla loro religione. Ma “L’Hijab viola la neutralità – laicite – sul campo di gioco” secondo i senatori.

La Francia ospita la più numerosa comunità musulmana dell’Europa occidentale

La misura, però, non è l’unica del suo genere. Il ruolo della religione e i simboli religiosi – non solo islamici – indossati in pubblico, sono infatti oggetto di una controversia di lunga data in Francia, un Paese risolutamente laico dove però risiede, ad esempio, la più grande minoranza musulmana d’Europa. Che con le leggi che si susseguono da ormai 15 anni si sente costantemente discriminata. Nel 2004 Parigi aveva già proibito di indossare il velo islamico nelle scuole statali, mentre sempre dalla Capitale, nel 2010, era arrivato il divieto anche per quanto riguarda il niqab, indumento che copre l’intera figura, nei luoghi pubblici come strade, parchi, trasporti ed edifici amministrativi.

Più di recente, una legge del 2019 vietava alle madri che indossano l’Hijab di partecipare alle gite scolastiche con i loro figli, o di accompagnarli a scuola, mentre in molte zone dello stato è proibito anche indossare il burkini, ovvero il costume da bagno usato generalmente dalle donne musulmane. L’anno scorso, infine, è stata approvata la proposta di legge chiamata “hijab ban”, che vieta alle minori di 18 anni di portare il velo in pubblico, ovvero “qualsiasi abbigliamento o vestiario che indicherebbe una presunta inferiorità della donna rispetto all’uomo”. Il provvedimento e la sua motivazione sono state l’ultima goccia che ha fatto traboccare le proteste, sulle piazze francesi ma anche virtuali, sui social, delle donne musulmane, che da anni provano a sfatare falsi miti attribuiti all’Islam, tra cui il presunto obbligo di indossare il velo, ribadendo più volte che, in realtà, si tratta di una libera scelta e in particolare che non pone le donne in una posizione di inferiorità rispetto all’uomo. Almeno in Paesi civili e democratici.

Paese fermamente laico, la Francia dal 2004 ad oggi ha imposto numerosi divieti per quanto riguarda la possibilità di indossare il velo

Cosa che però la stessa Francia non dimostra di essere, almeno sulla questione. D’ora in poi, con l’ultima risoluzione adottata dal Senato, giovani ragazze e donne musulmane dovranno scegliere tra lo sport che amano e la loro fede. Queste leggi, infatti, vogliono ribadire come detto  la laicità del Paese, di cui la nazione da sempre si fa portatrice. Tuttavia, se per laicità si intende “la neutralità dello Stato e delle sue istituzioni in materia di religione”, il divieto non sarebbe esattamente l’altra faccia dell’obbligo? Se la libertà è il fondamento della democrazia, come recita lo stesso motto alla base della Repubblica Francese, perché le donne musulmane non possono esercitare liberamente la loro fede come credono? In questo modo la nazione che ospita la più grande popolazione musulmana dell’Europa occidentale, più che inclusiva e fondata sulla Liberté, Égalité, Fraternité si dimostra in realtà avanguardia dell’islamofobia globale.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Il Senato francese ha votato, nelle scorse ore, per vietare alle donne islamiche di indossare l'hijab nelle competizioni atletiche del Paese. La decisione, l'ultima di una lunga serie nello stato transalpino, è stata approvata con 160 voti favorevoli e 143 contrari. Una maggioranza risicata, ma che basta per imporre il divieto alle tante ragazze e donne musulmane che amano e praticano sport ma vorrebbero farlo mantenendo fede ai principi dettati dalla loro religione. Ma "L'Hijab viola la neutralità - laicite - sul campo di gioco" secondo i senatori.
La Francia ospita la più numerosa comunità musulmana dell'Europa occidentale
La misura, però, non è l'unica del suo genere. Il ruolo della religione e i simboli religiosi – non solo islamici – indossati in pubblico, sono infatti oggetto di una controversia di lunga data in Francia, un Paese risolutamente laico dove però risiede, ad esempio, la più grande minoranza musulmana d'Europa. Che con le leggi che si susseguono da ormai 15 anni si sente costantemente discriminata. Nel 2004 Parigi aveva già proibito di indossare il velo islamico nelle scuole statali, mentre sempre dalla Capitale, nel 2010, era arrivato il divieto anche per quanto riguarda il niqab, indumento che copre l'intera figura, nei luoghi pubblici come strade, parchi, trasporti ed edifici amministrativi. Più di recente, una legge del 2019 vietava alle madri che indossano l'Hijab di partecipare alle gite scolastiche con i loro figli, o di accompagnarli a scuola, mentre in molte zone dello stato è proibito anche indossare il burkini, ovvero il costume da bagno usato generalmente dalle donne musulmane. L'anno scorso, infine, è stata approvata la proposta di legge chiamata "hijab ban", che vieta alle minori di 18 anni di portare il velo in pubblico, ovvero “qualsiasi abbigliamento o vestiario che indicherebbe una presunta inferiorità della donna rispetto all’uomo”. Il provvedimento e la sua motivazione sono state l'ultima goccia che ha fatto traboccare le proteste, sulle piazze francesi ma anche virtuali, sui social, delle donne musulmane, che da anni provano a sfatare falsi miti attribuiti all’Islam, tra cui il presunto obbligo di indossare il velo, ribadendo più volte che, in realtà, si tratta di una libera scelta e in particolare che non pone le donne in una posizione di inferiorità rispetto all’uomo. Almeno in Paesi civili e democratici.
Paese fermamente laico, la Francia dal 2004 ad oggi ha imposto numerosi divieti per quanto riguarda la possibilità di indossare il velo
Cosa che però la stessa Francia non dimostra di essere, almeno sulla questione. D'ora in poi, con l'ultima risoluzione adottata dal Senato, giovani ragazze e donne musulmane dovranno scegliere tra lo sport che amano e la loro fede. Queste leggi, infatti, vogliono ribadire come detto  la laicità del Paese, di cui la nazione da sempre si fa portatrice. Tuttavia, se per laicità si intende “la neutralità dello Stato e delle sue istituzioni in materia di religione”, il divieto non sarebbe esattamente l'altra faccia dell’obbligo? Se la libertà è il fondamento della democrazia, come recita lo stesso motto alla base della Repubblica Francese, perché le donne musulmane non possono esercitare liberamente la loro fede come credono? In questo modo la nazione che ospita la più grande popolazione musulmana dell'Europa occidentale, più che inclusiva e fondata sulla Liberté, Égalité, Fraternité si dimostra in realtà avanguardia dell'islamofobia globale.
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