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Home » HP Trio » Genova, Maria Grazia e Vincenzo si sposano in ospedale: il malore non blocca il matrimonio

Genova, Maria Grazia e Vincenzo si sposano in ospedale: il malore non blocca il matrimonio

Lui era stato ricoverato d'urgenza al Policlinico San Martino di Genova, ma la coppia ha deciso comunque di organizzare le nozze. Non in Comune, ma nel letto d'ospedale

Luca Marchetti
29 Gennaio 2022
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Anche un letto d’ospedale può diventare un altare di nozze. Questa è la storia di un matrimonio un po’ particolare, di un amore preservato anche nei momenti più difficili. È la storia di una coppia, Maria Grazia, 61 anni, e Vincenzo, 72, che ha deciso di sposarsi proprio nella stanza d’ospedale dove lo stesso Vincenzo era stato ricoverato d’urgenza per un malore. I due avevano infatti programmato le nozze per questa settimana, ma il ricovero dell’uomo ha inevitabilmente fatto cambiare i piani. Anzi no, perché Maria Grazia e Vincenzo hanno deciso di sposarsi comunque, nella stanza d’ospedale. Con tanto di foto pubblicata sui social:

Il matrimonio in ospedale di Maria Grazia e Vincenzo

La storia. Maria Grazia, 61 anni, e Vincenzo, 72, stanno insieme da 32 anni. Decidono finalmente di sposarsi e fissano le nozze in Comune per il 27 gennaio. Pochi giorni prima del matrimonio però, Vincenzo è colto da un improvviso malore e viene immediatamente ricoverato d’urgenza nel reparto di Rianimazione del Policlinico San Martino di Genova. Le condizioni di Vincenzo migliorano, l’uomo è sveglio e vigile sul suo letto d’ospedale. Maria Grazia gli è vicino, ma il matrimonio evidentemente deve essere posticipato. No, entrambi non ci stanno. Vogliono sposarsi. Non importa se in una stanza di un ospedale o in Comune. E così organizzano le nozze, insieme a tutto il personale del reparto. A fare da testimoni del matrimonio ci sono anche il direttore dell’Unità Operativa Anestesiologica e Terapia intensiva Paolo Pelosi, l’anestesista rianimatrice Maria Rita De Rito e il dirigente medico Stefano Nogas. Il bouquet è pronto, appoggiato sul letto dove è disteso Vincenzo. Maria Grazia gli tiene la mano destra. Entrambi dicono: “Sì, lo voglio”. È fatta, i due sono finalmente sposati.

La foto delle nozze viene pubblicata anche sulla stessa pagina Facebook del Policlinico genovese. “In punta di piedi – si legge sul post – abbiamo assistito alla realizzazione del sogno di Maria Grazia e Vincenzo, unitisi ieri in matrimonio, dopo 32 anni insieme, nel reparto di Rianimazione, al terzo piano del Monoblocco, diretto dal professor Paolo Pelosi. Un piccolo ‘miracolo’ compiuto dal personale sanitario della Terapia Intensiva (tra cui la dottoressa Maria Rita De Rito), mobilitatosi per organizzare le nozze, che avrebbero dovuto essere celebrate proprio oggi in Comune, subito dopo che un malore improvviso aveva costretto Vincenzo ad un ricovero d’urgenza in Ospedale, non appena le sue condizioni lo avessero permesso!”

La notizia è rimbalzata sui social e anche il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti ha commentato: “Si sono detti sì, nel reparto di rianimazione dell’ospedale San Martino di Genova tra la commozione di medici e infermieri. Maria Grazia e Vincenzo, insieme da 32 anni, avevano fissato la data, comprato le fedi. Poi la diagnosi di un brutto male e un malore, a una settimana dal grande giorno, hanno portato al ricovero di Vincenzo e trasformato il matrimonio in un sogno che sembrava ormai irrealizzabile. Sembrava, prima che il personale sanitario del San Martino facesse per loro un piccolo grande miracolo: quando Vincenzo, intubato dopo l’operazione, ha ripreso coscienza hanno aiutato a organizzare le nozze e attraverso dei permessi speciali quel sogno è diventato realtà. Una storia emozionante che ho letto oggi su Il Secolo XIX e che volevo condividere con voi. Auguri a tutti questi neo sposi e grazie agli uomini e alle donne della nostra sanità, capaci con professionalità e umanità non solo di salvare vite ma anche di cambiarle. E un abbraccio da tutti i liguri a Maria Grazia e in particolare a suo marito (oggi possiamo chiamarlo finalmente così) Vincenzo”.

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Anche un letto d’ospedale può diventare un altare di nozze. Questa è la storia di un matrimonio un po’ particolare, di un amore preservato anche nei momenti più difficili. È la storia di una coppia, Maria Grazia, 61 anni, e Vincenzo, 72, che ha deciso di sposarsi proprio nella stanza d’ospedale dove lo stesso Vincenzo era stato ricoverato d’urgenza per un malore. I due avevano infatti programmato le nozze per questa settimana, ma il ricovero dell’uomo ha inevitabilmente fatto cambiare i piani. Anzi no, perché Maria Grazia e Vincenzo hanno deciso di sposarsi comunque, nella stanza d’ospedale. Con tanto di foto pubblicata sui social:
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La storia. Maria Grazia, 61 anni, e Vincenzo, 72, stanno insieme da 32 anni. Decidono finalmente di sposarsi e fissano le nozze in Comune per il 27 gennaio. Pochi giorni prima del matrimonio però, Vincenzo è colto da un improvviso malore e viene immediatamente ricoverato d’urgenza nel reparto di Rianimazione del Policlinico San Martino di Genova. Le condizioni di Vincenzo migliorano, l’uomo è sveglio e vigile sul suo letto d’ospedale. Maria Grazia gli è vicino, ma il matrimonio evidentemente deve essere posticipato. No, entrambi non ci stanno. Vogliono sposarsi. Non importa se in una stanza di un ospedale o in Comune. E così organizzano le nozze, insieme a tutto il personale del reparto. A fare da testimoni del matrimonio ci sono anche il direttore dell’Unità Operativa Anestesiologica e Terapia intensiva Paolo Pelosi, l’anestesista rianimatrice Maria Rita De Rito e il dirigente medico Stefano Nogas. Il bouquet è pronto, appoggiato sul letto dove è disteso Vincenzo. Maria Grazia gli tiene la mano destra. Entrambi dicono: “Sì, lo voglio”. È fatta, i due sono finalmente sposati. La foto delle nozze viene pubblicata anche sulla stessa pagina Facebook del Policlinico genovese. “In punta di piedi – si legge sul post – abbiamo assistito alla realizzazione del sogno di Maria Grazia e Vincenzo, unitisi ieri in matrimonio, dopo 32 anni insieme, nel reparto di Rianimazione, al terzo piano del Monoblocco, diretto dal professor Paolo Pelosi. Un piccolo ‘miracolo’ compiuto dal personale sanitario della Terapia Intensiva (tra cui la dottoressa Maria Rita De Rito), mobilitatosi per organizzare le nozze, che avrebbero dovuto essere celebrate proprio oggi in Comune, subito dopo che un malore improvviso aveva costretto Vincenzo ad un ricovero d’urgenza in Ospedale, non appena le sue condizioni lo avessero permesso!” La notizia è rimbalzata sui social e anche il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti ha commentato: “Si sono detti sì, nel reparto di rianimazione dell’ospedale San Martino di Genova tra la commozione di medici e infermieri. Maria Grazia e Vincenzo, insieme da 32 anni, avevano fissato la data, comprato le fedi. Poi la diagnosi di un brutto male e un malore, a una settimana dal grande giorno, hanno portato al ricovero di Vincenzo e trasformato il matrimonio in un sogno che sembrava ormai irrealizzabile. Sembrava, prima che il personale sanitario del San Martino facesse per loro un piccolo grande miracolo: quando Vincenzo, intubato dopo l’operazione, ha ripreso coscienza hanno aiutato a organizzare le nozze e attraverso dei permessi speciali quel sogno è diventato realtà. Una storia emozionante che ho letto oggi su Il Secolo XIX e che volevo condividere con voi. Auguri a tutti questi neo sposi e grazie agli uomini e alle donne della nostra sanità, capaci con professionalità e umanità non solo di salvare vite ma anche di cambiarle. E un abbraccio da tutti i liguri a Maria Grazia e in particolare a suo marito (oggi possiamo chiamarlo finalmente così) Vincenzo”.
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