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Home » HP Trio » Nana Malashkia, chi è l’icona pro Europa della Georgia

Nana Malashkia, chi è l’icona pro Europa della Georgia

Uno scatto simbolo immortala Nana Malashkia che, sostenuta da altri manifestanti durante le proteste dell'8 marzo a Tiblisi, sventola coraggiosamente la bandiera europea e resiste agli idranti della polizia

Marianna Grazi
13 Marzo 2023
Nana Malashkia, 44 anni, sventola la bandiera dell'Europa  di fronte alla polizia georgiana, che risponde con gli idranti (AFP)

Nana Malashkia, 44 anni, sventola la bandiera dell'Europa di fronte alla polizia georgiana, che risponde con gli idranti (AFP)

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Non le piace che la gente parli di atti eroici per quello che ha fatto circa una settimana fa, l’8 marzo, Giornata internazionale della Donna. Eppure sventolare quella bandiera davanti a quelle persone, per protestare contro una legge che i più ritengono filorussa è sicuramente un gesto simbolico. E la rende un’icona di resistenza.
In Georgia oggi tutti sanno chi è Nana Malashkia. Lo sa il mondo intero, guardando a quelle immagini immortalate nei video e negli scatti dei fotografi presenti sul posto che ritraggono la 44enne aggrappata a una bandiera dell’Europa, nella notte di mercoledì, che sventola con forza mentre la polizia indirizza contro di lei il gesto degli idranti. Quasi a guidare, inconsapevolmente, la folla scesa in piazza per manifestare contro la proposta legislativa sulla “trasparenza dell’influenza straniera”, poi ritirata.

Una folla di persone sostiene la donna che sventola la bandiera europea davanti alla polizia, che usa gli idranti per disperdere i manifestanti accorsi a Tbilisi per protestare contro la proposta di legge filorussa

L’icona della rivolta

Sola, fradicia, probabilmente dolorante – provate voi a ricevere un cannone d’acqua dritto addosso, sparato da pochi metri – ma intenzionata a resistere. Poi sostenuta da una folla di persone che, sentendo le sue grida e compreso l’intento degli agenti dei reparti speciali asserragliati, corre a sostenere quella moderna patriota, che ricorda gli esempi di un passato che sembra tornare, circolarmente: la simbolica Marianne immortalata da Delacroix ne “La Libertà che guida il popolo”, il ragazzo cinese davanti ai carrarmati in piazza Tienanmen nel 1989,  fino alle odierne donne iraniane, che sfidano il regime sventolando i loro hijab. “Non mi aspettavo tutto questo clamore. E non mi piace che la gente parli d’atti eroici – dice in un’intervista al Corriere della Sera -.  E poi dove sarebbe l’eroismo? Io penso che qualunque persona normale, se si fosse trovata in un momento come quello, avrebbe tenuto ben stretta la bandiera dell’Europa”.
No, probabilmente non è così. Non tutte le persone oggi si butterebbero nella mischia per sostenere un ideale di rivolta contro il partito di maggioranza (Sogno Georgiano) sempre più vicino a Mosca nella sua politica, mentre gran parte della popolazione (85% stando ai sondaggi) sostiene l’adesione all’Ue. Erano tante, è vero, quelle scese in strada l’8 marzo. Ma quell’atto di coraggio, quella presa di posizione forte della donna non è un gesto ‘da tutti’. Semmai da tutte, vista la giornata che ricorreva. Perché il fatto che lei fosse lì, in quel momento, davanti agli agenti, con quella bandiera è stato un caso, che il destino ha trasformato in un appuntamento con la Storia.

Il racconto di Malashkia

La bandiera della Georgia in strada di fronte al cordone di polizia schierato vicino al Parlamento a Tbilisi, l’8 marzo 2023 (AFP)

“Stavo andando in ospedale con mio marito, per una visita”, racconta al Corriere. Vede sul cellulare la notizia della folla che si sta radunando sulla Rustaveli “per protestare contro la ‘legge russa’, che voleva punire chi fa informazione indipendente e chi fa welfare ricevendo aiuti dall’estero. Ho capito che le cose si mettevano al peggio. E che non potevo non andarci“. Si ferma per strada quando trova una signora che “vendeva dolci, collanine. E bandiere: ne aveva solo una della Ue, e l’ho comprata io”. Se all’inizio la manifestazione procede senza problemi a un certo punto in strada risuona l’ordine perentorio della polizia: “Andate via di qui! Se non lo fate, dobbiamo ristabilire l’ordine!”. “Mi sono spaventata, perché ho visto che non erano tranquilli – ammette Nana -. A un certo punto sono partite le cariche dei Robocop, si sono mossi i mezzi blindati, hanno sparato i lacrimogeni. E hanno aperto gl’idranti”. È la scintilla che accende la rabbia della folla: “La gente era davvero furiosa. Non è normale che lo Stato si metta l’elmetto in quel modo”, afferma decisa. Intorno a lei le persone colpite iniziano a cadere: sono giovani e giovanissimi ragazzi, lì a lottare per il proprio futuro. “Ho iniziato a sventolare la mia bandiera e loro mi han preso di mira con gli idranti. Sentivo il peso della mia età, non ero abbastanza forte da resistere. Sono così grata ai ragazzi che mi han fatto scudo, mi hanno tenuta in piedi, si sono uniti a me!”.

“Da soli noi georgiani non possiamo farcela”

Le bandiere della Georgia, dell’Ucraina e dell’Europa sventolano davanti al Parlamento a Tbilisi. Almeno duemila manifestanti hanno marciato attraverso la capitale della Georgia l’8 marzo 2023

Proprio  quei frame, quelle immagini, hanno fatto il giro del mondo. La bandiera, negli scontri e nel via vai della folla che si disperdeva, l’ha persa. E per qualche giorno Nana Malashkia ha preferito sparire dalla circolazione, probabilmente per paura di ritorsioni. Un timore legittimo, arrivato dopo che l’adrenalina del momento si è dissolta. Nei giorni successivi si è chiusa in casa, si è cancellata dai social per non farsi rintracciare e non si è presentata al lavoro. Le persone vicine, gli amici, interpellati dai media l’hanno protetta, dicendo “Ha il Covid”. Ma la paura era anche quella di essere considerata, appunto, un’eroina. Non voleva parlare del suo gesto, per non dargli troppa importanza. “Alla fine, però, ho pensato che fosse giusto uscire allo scoperto. Farsi vedere. Chiedere aiuto – dice al Corriere della Sera -. Da soli, noi georgiani non possiamo farcela“. Ora il suo Paese ha un’arma in più: la voce del popolo, pronto a non abbassare il capo contro politiche ingiuste, vicini anima e corpo ai fratelli ucraini, accomunati dallo stesso ideale di libertà e democrazia. E soprattutto consapevoli che “il nostro scudo è l’Ue. Non possiamo difendere da soli la nostra indipendenza. E per proteggere la nostra identità, abbiamo bisogno di voi europei”, conclude Nana.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Non le piace che la gente parli di atti eroici per quello che ha fatto circa una settimana fa, l'8 marzo, Giornata internazionale della Donna. Eppure sventolare quella bandiera davanti a quelle persone, per protestare contro una legge che i più ritengono filorussa è sicuramente un gesto simbolico. E la rende un'icona di resistenza. In Georgia oggi tutti sanno chi è Nana Malashkia. Lo sa il mondo intero, guardando a quelle immagini immortalate nei video e negli scatti dei fotografi presenti sul posto che ritraggono la 44enne aggrappata a una bandiera dell'Europa, nella notte di mercoledì, che sventola con forza mentre la polizia indirizza contro di lei il gesto degli idranti. Quasi a guidare, inconsapevolmente, la folla scesa in piazza per manifestare contro la proposta legislativa sulla "trasparenza dell'influenza straniera", poi ritirata.
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Il racconto di Malashkia

La bandiera della Georgia in strada di fronte al cordone di polizia schierato vicino al Parlamento a Tbilisi, l'8 marzo 2023 (AFP)
"Stavo andando in ospedale con mio marito, per una visita", racconta al Corriere. Vede sul cellulare la notizia della folla che si sta radunando sulla Rustaveli "per protestare contro la 'legge russa', che voleva punire chi fa informazione indipendente e chi fa welfare ricevendo aiuti dall’estero. Ho capito che le cose si mettevano al peggio. E che non potevo non andarci". Si ferma per strada quando trova una signora che "vendeva dolci, collanine. E bandiere: ne aveva solo una della Ue, e l’ho comprata io". Se all'inizio la manifestazione procede senza problemi a un certo punto in strada risuona l'ordine perentorio della polizia: "Andate via di qui! Se non lo fate, dobbiamo ristabilire l’ordine!". "Mi sono spaventata, perché ho visto che non erano tranquilli - ammette Nana -. A un certo punto sono partite le cariche dei Robocop, si sono mossi i mezzi blindati, hanno sparato i lacrimogeni. E hanno aperto gl’idranti". È la scintilla che accende la rabbia della folla: "La gente era davvero furiosa. Non è normale che lo Stato si metta l’elmetto in quel modo", afferma decisa. Intorno a lei le persone colpite iniziano a cadere: sono giovani e giovanissimi ragazzi, lì a lottare per il proprio futuro. "Ho iniziato a sventolare la mia bandiera e loro mi han preso di mira con gli idranti. Sentivo il peso della mia età, non ero abbastanza forte da resistere. Sono così grata ai ragazzi che mi han fatto scudo, mi hanno tenuta in piedi, si sono uniti a me!".

"Da soli noi georgiani non possiamo farcela"

Le bandiere della Georgia, dell'Ucraina e dell'Europa sventolano davanti al Parlamento a Tbilisi. Almeno duemila manifestanti hanno marciato attraverso la capitale della Georgia l'8 marzo 2023
Proprio  quei frame, quelle immagini, hanno fatto il giro del mondo. La bandiera, negli scontri e nel via vai della folla che si disperdeva, l'ha persa. E per qualche giorno Nana Malashkia ha preferito sparire dalla circolazione, probabilmente per paura di ritorsioni. Un timore legittimo, arrivato dopo che l'adrenalina del momento si è dissolta. Nei giorni successivi si è chiusa in casa, si è cancellata dai social per non farsi rintracciare e non si è presentata al lavoro. Le persone vicine, gli amici, interpellati dai media l'hanno protetta, dicendo "Ha il Covid". Ma la paura era anche quella di essere considerata, appunto, un'eroina. Non voleva parlare del suo gesto, per non dargli troppa importanza. "Alla fine, però, ho pensato che fosse giusto uscire allo scoperto. Farsi vedere. Chiedere aiuto - dice al Corriere della Sera -. Da soli, noi georgiani non possiamo farcela". Ora il suo Paese ha un'arma in più: la voce del popolo, pronto a non abbassare il capo contro politiche ingiuste, vicini anima e corpo ai fratelli ucraini, accomunati dallo stesso ideale di libertà e democrazia. E soprattutto consapevoli che "il nostro scudo è l’Ue. Non possiamo difendere da soli la nostra indipendenza. E per proteggere la nostra identità, abbiamo bisogno di voi europei", conclude Nana.
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