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Home » Attualità » Il Giappone approverà la pillola abortiva, ma sarà necessario il consenso del partner

Il Giappone approverà la pillola abortiva, ma sarà necessario il consenso del partner

Per gli attivisti i ritardi nell'approvazione e i costi proibitivi, circa 780 dollari per ogni dose di trattamento, riflettono la scarsa rilevanza data dal Parlamento alla salute delle donne

Marianna Grazi
1 Giugno 2022
pillola abortiva giappone

In Giappone verso l'approvazione della pillola abortiva ma alle donne sarà necessario il consenso del partner

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In Giappone si fa un passo avanti nei diritti femminili. Anzi mezzo. Le nipponiche, infatti, potrebbero essere costrette a chiedere il consenso del proprio partner prima che venga loro prescritta la pillola abortiva. E dove sarebbe allora il (mezzo) passo avanti? Nel fatto che, secondo quanto si apprende, il farmaco sarà approvato alla fine di quest’anno, tre decenni dopo essere stato resa disponibile alle donne nel Regno Unito. Ecco qua: arriva finalmente l’autorizzazione al medicinale che consentirà alle donne giapponesi di abortire senza ricorrere alla chirurgia ma per poterlo acquistare sarà necessario il via libera del compagno o marito.

donna giapponese
Le donne giapponesi dovranno avere il consenso del partner per poter acquistare la pillola abortiva

Il consenso del partner per abortire

In base alla legge sulla protezione della maternità, risalente al 1948, il consenso è già richiesto per gli aborti chirurgici, con pochissime eccezioni. Una politica che però, secondo gli attivisti, calpesta i diritti riproduttivi delle donne. “In linea di principio riteniamo che il consenso del coniuge sia necessario, anche se l’aborto è indotto da un farmaco orale”, ha dichiarato all’inizio del mese Yasuhiro Hashimoto, un alto funzionario del Ministero della Salute, a una commissione parlamentare, secondo quanto riportato da Bloomberg. Le associazioni chiedono alle autorità sanitarie di abolire la regola che impone alle donne di ottenere il consenso scritto del partner prima che un medico possa prescrivere loro un trattamento abortivo.
Kumi Tsukahara, membro fondatore di ‘Action for Safe Abortion Japan‘, dichiara in proposito che il “consenso del partner diventa un problema quando c’è un disaccordo nella coppia o quando quest’ultimo costringe la donna a partorire contro la sua volontà”.

“Una violenza e una forma di tortura”

Tale politica può avere conseguenze tragiche. L’anno scorso, una donna di 21 anni è stata arrestata dopo che la polizia ha trovato il corpo del suo bambino appena nato in un parco del Giappone centrale. La ragazza, che ha ottenuto la sospensione della pena detentiva, ha dichiarato in tribunale di non aver potuto interrompere la gravidanza perché non era riuscita a ottenere il consenso scritto del suo partner. I medici dell’ospedale avevano insistito per ottenere il consenso, anche se il ministero della Salute ha poi spiegato che il suo era uno dei pochi casi in cui questo non era necessario, perché il padre non poteva essere contattato. I media giapponesi hanno anche riportato casi in cui i medici si sono rifiutati di approvare un’interruzione di gravidanza per donne che avevano subito una violenza sessuale, costringendo i funzionari del ministero della Salute a scrivere all’Associazione medica giapponese per chiarire che il consenso non è richiesto nei casi di stupro.

proteste in Giappone
Gli attivisti in Giappone chiedono al Ministero della Salute e all’Associazione medica del Paese di abolire la pratica del consenso di terzi per accedere all’aborto

Scarsa rilevanza alla salute femminile

Gli attivisti sostengono poi che la mancata approvazione, da parte del governo giapponese, di un farmaco da tempo disponibile in più di 70 Paesi riflette la scarsa rilevanza che il Parlamento e la comunità medica nipponici, a prevalenza maschile, attribuiscono alla salute delle donne. Secondo Kumi Tsukahara il Giappone ha impiegato 40 anni per approvare i contraccettivi orali (nel 1999) ma solo sei mesi per approvare il Viagra. A dicembre 2021 l’azienda farmaceutica britannica Linepharma International ha richiesto l’approvazione di una combinazione di due medicinali per l’interruzione della gravidanza, secondo quanto riportato dallo Yomiuri Shimbun, aggiungendo che il via libera era atteso entro un anno dalla richiesta.
Il Giappone, dove nel 2020 sono stati effettuati 145.000 aborti chirurgici, è tra gli ultimi 11 Paesi al mondo (dov’è ammessa l’igv) che richiedono il consenso di terzi per la procedura, nonostante gli appelli a porre fine a questa pratica da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro le donne.

Costi proibitivi

Il mio corpo la mia scelta
Manifesto pro aborto: “Il mio corpo la mia scelta”

C’è poi un’altra questione che rende questa notizia solo un mezzo passo avanti verso la modernità: il costo della pillola abortiva, il cui acquisto non sarà coperto dall’assicurazione sanitaria nazionale, sarà proibitivo per molte donne. Il costo di una singola dose potrebbe aggirarsi intorno ai 100.000 ¥ (780 dollari) – all’incirca quanto un aborto chirurgico – e le pazienti che l’assumeranno dovranno farlo sotto stretto controllo medico, con possibile ricovero in ospedale. “La realtà è che per alcune giapponesi l’aborto non è possibile per motivi economici”, ha dichiarato Chiaki Shirai, professore della facoltà di scienze umane e sociali dell’Università di Shizuoka. “La contraccezione, l’aborto, la gravidanza e il parto dovrebbero essere finanziati pubblicamente“. Mizuho Fukushima, parlamentare del partito socialdemocratico di opposizione, ha avvertito che l’alto costo degli aborti chirurgici e il requisito del consenso costringono le donne a portare avanti gravidanze indesiderate: “Le donne non sono proprietà degli uomini – ha detto in Aula questo mese –. I loro diritti, non quelli dell’uomo, dovrebbero essere protetti. Perché una donna dovrebbe avere bisogno dell’approvazione del suo partner? È il suo corpo”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
In Giappone si fa un passo avanti nei diritti femminili. Anzi mezzo. Le nipponiche, infatti, potrebbero essere costrette a chiedere il consenso del proprio partner prima che venga loro prescritta la pillola abortiva. E dove sarebbe allora il (mezzo) passo avanti? Nel fatto che, secondo quanto si apprende, il farmaco sarà approvato alla fine di quest'anno, tre decenni dopo essere stato resa disponibile alle donne nel Regno Unito. Ecco qua: arriva finalmente l'autorizzazione al medicinale che consentirà alle donne giapponesi di abortire senza ricorrere alla chirurgia ma per poterlo acquistare sarà necessario il via libera del compagno o marito.
donna giapponese
Le donne giapponesi dovranno avere il consenso del partner per poter acquistare la pillola abortiva

Il consenso del partner per abortire

In base alla legge sulla protezione della maternità, risalente al 1948, il consenso è già richiesto per gli aborti chirurgici, con pochissime eccezioni. Una politica che però, secondo gli attivisti, calpesta i diritti riproduttivi delle donne. "In linea di principio riteniamo che il consenso del coniuge sia necessario, anche se l'aborto è indotto da un farmaco orale", ha dichiarato all'inizio del mese Yasuhiro Hashimoto, un alto funzionario del Ministero della Salute, a una commissione parlamentare, secondo quanto riportato da Bloomberg. Le associazioni chiedono alle autorità sanitarie di abolire la regola che impone alle donne di ottenere il consenso scritto del partner prima che un medico possa prescrivere loro un trattamento abortivo. Kumi Tsukahara, membro fondatore di 'Action for Safe Abortion Japan', dichiara in proposito che il "consenso del partner diventa un problema quando c'è un disaccordo nella coppia o quando quest'ultimo costringe la donna a partorire contro la sua volontà".

"Una violenza e una forma di tortura"

Tale politica può avere conseguenze tragiche. L'anno scorso, una donna di 21 anni è stata arrestata dopo che la polizia ha trovato il corpo del suo bambino appena nato in un parco del Giappone centrale. La ragazza, che ha ottenuto la sospensione della pena detentiva, ha dichiarato in tribunale di non aver potuto interrompere la gravidanza perché non era riuscita a ottenere il consenso scritto del suo partner. I medici dell'ospedale avevano insistito per ottenere il consenso, anche se il ministero della Salute ha poi spiegato che il suo era uno dei pochi casi in cui questo non era necessario, perché il padre non poteva essere contattato. I media giapponesi hanno anche riportato casi in cui i medici si sono rifiutati di approvare un'interruzione di gravidanza per donne che avevano subito una violenza sessuale, costringendo i funzionari del ministero della Salute a scrivere all'Associazione medica giapponese per chiarire che il consenso non è richiesto nei casi di stupro.
proteste in Giappone
Gli attivisti in Giappone chiedono al Ministero della Salute e all'Associazione medica del Paese di abolire la pratica del consenso di terzi per accedere all'aborto

Scarsa rilevanza alla salute femminile

Gli attivisti sostengono poi che la mancata approvazione, da parte del governo giapponese, di un farmaco da tempo disponibile in più di 70 Paesi riflette la scarsa rilevanza che il Parlamento e la comunità medica nipponici, a prevalenza maschile, attribuiscono alla salute delle donne. Secondo Kumi Tsukahara il Giappone ha impiegato 40 anni per approvare i contraccettivi orali (nel 1999) ma solo sei mesi per approvare il Viagra. A dicembre 2021 l'azienda farmaceutica britannica Linepharma International ha richiesto l'approvazione di una combinazione di due medicinali per l'interruzione della gravidanza, secondo quanto riportato dallo Yomiuri Shimbun, aggiungendo che il via libera era atteso entro un anno dalla richiesta. Il Giappone, dove nel 2020 sono stati effettuati 145.000 aborti chirurgici, è tra gli ultimi 11 Paesi al mondo (dov'è ammessa l'igv) che richiedono il consenso di terzi per la procedura, nonostante gli appelli a porre fine a questa pratica da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e del Comitato delle Nazioni Unite per l'eliminazione della discriminazione contro le donne.

Costi proibitivi

Il mio corpo la mia scelta
Manifesto pro aborto: "Il mio corpo la mia scelta"
C'è poi un'altra questione che rende questa notizia solo un mezzo passo avanti verso la modernità: il costo della pillola abortiva, il cui acquisto non sarà coperto dall'assicurazione sanitaria nazionale, sarà proibitivo per molte donne. Il costo di una singola dose potrebbe aggirarsi intorno ai 100.000 ¥ (780 dollari) – all'incirca quanto un aborto chirurgico – e le pazienti che l'assumeranno dovranno farlo sotto stretto controllo medico, con possibile ricovero in ospedale. "La realtà è che per alcune giapponesi l'aborto non è possibile per motivi economici", ha dichiarato Chiaki Shirai, professore della facoltà di scienze umane e sociali dell'Università di Shizuoka. "La contraccezione, l'aborto, la gravidanza e il parto dovrebbero essere finanziati pubblicamente". Mizuho Fukushima, parlamentare del partito socialdemocratico di opposizione, ha avvertito che l'alto costo degli aborti chirurgici e il requisito del consenso costringono le donne a portare avanti gravidanze indesiderate: "Le donne non sono proprietà degli uomini – ha detto in Aula questo mese –. I loro diritti, non quelli dell'uomo, dovrebbero essere protetti. Perché una donna dovrebbe avere bisogno dell'approvazione del suo partner? È il suo corpo".
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