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Home » HP Trio » Giornata internazionale delle Foreste: “Per salvarci dobbiamo smettere di ‘mangiare’ il Pianeta”

Giornata internazionale delle Foreste: “Per salvarci dobbiamo smettere di ‘mangiare’ il Pianeta”

La deforestazione per l'ampliamento dell'agricoltura intensiva e degli allevamenti bovini sono le principali minacce alla sopravvivenza delle aree verdi del mondo. Cambiare le abitudini di consumo è necessario per salvaguardare il polmone della Terra

Barbara Berti
21 Marzo 2022
Un'operatrice del WWF isserva una foresta in Paraguay @Gianfranco Mancusi - WWF Paraguay

Un'operatrice del WWF isserva una foresta in Paraguay @Gianfranco Mancusi - WWF Paraguay

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Il 21 marzo è la Giornata internazionale delle Foreste. La ricorrenza, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per accrescere la consapevolezza del valore inestimabile di tutti i tipi di foreste e dei pericoli della deforestazione, si celebra dal 2013 in tutto il mondo, sia dove ci sono delle foreste da salvare e salvaguardare, sia dove non ci sono più ma si rimpiangono. E in questo giorno si pone attenzione su boschi e piante ma anche sugli animali che ci vivono o che in qualche modo ne beneficiano (noi umani compresi). “Quando beviamo un bicchiere d’acqua, scriviamo su un quaderno, prendiamo medicine per la febbre o costruiamo una casa, non sempre facciamo il collegamento con le foreste. Eppure, questi e molti altri aspetti della nostra vita sono collegati alle foreste in un modo o nell’altro”, si legge sul sito dell’Onu.

Un giaguaro (Panthera onca) caccia lungo il fiume, Pantanal, Brasile ( © naturepl.com / Andy Rouse / WWF)

La giornata vuol far riflettere e sensibilizzare sul ruolo che queste aree verdi, che coprono solo un terzo della Terra, hanno per la vita degli esseri umani. Le foreste puliscono l’aria che respiriamo, prevengono l’erosione del suolo, proteggono dalle alluvioni, migliorano la qualità delle acque, combattono gli effetti negativi del cambiamento climatico. Le foreste sono la casa di innumerevoli animali, piante e insetti, ospitando la maggior parte della biodiversità terrestre: secondo l’ultimo rapporto della FAO sullo stato delle foreste, 60mila specie diverse di alberi, l’80% delle specie di anfibi, il 75% delle specie di uccelli e il 68% delle specie di mammiferi della Terra.

Vista aerea del confine tra la monocoltura di palme da olio e la foresta nativa lungo il fiume Ariari, nell’Amazzonia colombiana. (© César David Martinez)

La giornata internazionale delle foreste, quindi, ha e deve avere delle conseguenze anche nella lotta ai cambiamenti climatici perché queste aree ricche di alberi sono veri e propri serbatoi di carbonio. In particolare, a livello globale, sono seconde solo agli oceani: trattengono complessivamente ben 861 miliardi di tonnellate di carbonio e ogni anno assorbono circa un terzo delle emissioni antropiche di CO2, evitandone l’accumulo in atmosfera. Le foreste, inoltre, forniscono tanti altri servizi connessi con il clima, come la produzione di ossigeno e la regolazione del regime delle piogge. Questi cruciali servizi vengono però compromessi quando gli ecosistemi naturali, come le foreste, vengono distrutti o degradati. Considerando che gli alberi sono costituiti per circa il 20% del proprio peso da carbonio, parte della CO2 assorbita dalle foreste tramite la fotosintesi viene riemessa in atmosfera quando gli alberi vengono tagliati. 

In questo modo, da essere parte della soluzione le foreste diventano parte del problema: la deforestazione rappresenta, infatti, la seconda fonte umana di CO2, con ben 8 miliardi di tonnellate di CO2 emesse ogni anno dal 2000 ad oggi, periodo in cui è stato perso ben il 10% della superficie forestale mondiale. Oltre ai problemi legati al clima, la deforestazione mette a rischio la sopravvivenza delle popolazioni indigene che dipendono strettamente da questi ecosistemi e provoca la perdita dell’habitat di molte specie animali e vegetali, causandone spesso l’estinzione.

Gli allevamenti di bovini insieme all’espansione dell’agricoltura sono le principali cause di deforestazione (@Gianfranco Mancusi – WWF Paraguay)

Tutelare foreste e altri habitat è quindi indispensabile per il futuro dell’umanità, della biodiversità e dell’intero Pianeta, e ognuno di noi può contribuire. Secondo il report del WWF (pubblicato in occasione della nella Giornata internazionale delle foreste, “Deforestazione e cambiamento climatico: l’impatto dei consumi sui sistemi naturali” e realizzato in vista di Earth Hour, la mobilitazione globale del WWF per la natura e il clima del 26 marzo), quasi il 90% della deforestazione a livello globale è dovuto all’espansione dell’agricoltura, mentre altre cause quali incendi e urbanizzazione costituiscono solo una minor parte del problema. Gli allevamenti di bovini insieme alle coltivazioni di palma da olio, soia, cacao, gomma, caffè e legno sono stati responsabili del 57% della deforestazione connessa con l’agricoltura tra il 2001 e il 2015, portandoci via un’area di foreste grande quanto la Germania.

Dal 2000 al 2019, a livello geografico circa il 70% della perdita di foreste si è concentrata in tropici e sub-tropici: in particolare, tra il 2000 e il 2017 sono stati persi più di 43 milioni di ettari – un’area grande quanto il Marocco – in quelli che sono stati individuati come gli hotspot della deforestazione globale: America Latina, Africa Sub-Sahariana e Sud-Est asiatico. Tra il 2001 e il 2020, i Paesi interessati dalla maggiore accelerazione nella deforestazione sono stati Repubblica Democratica del Congo, Indonesia e Brasile.

Il ciclo della deforestazione

In questo contesto, l’Unione Europea risulta essere il secondo maggiore importatore al mondo di prodotti derivati da questo processo, generando con le sue abitudini di consumo enormi impatti sulle foreste tropicali di tutto il Pianeta, ma anche su praterie, zone umide, savane e tutti quegli ecosistemi ricchi di biodiversità che vengono distrutti per fare spazio a coltivazioni, piantagioni e pascoli. “Non possiamo più permettere che i nostri consumi generino impatti così forti sugli ecosistemi ed è necessario prendere consapevolezza delle implicazioni che ogni nostra azione ha sul Pianeta” afferma Isabella Pratesi, direttore Conservazione del WWF Italia.

La deforestazione dell’Amazzonia, Colombia (© Luis Barreto WWF-UK)

Nel 2017 (ultimo anno per cui sono disponibili dati), l’Unione europea ha causato il 16% (203.000 ettari) della deforestazione associata al commercio internazionale di materie prime, dietro alla Cina (24%, in assoluto la potenza economica più impattante sulla salute del Pianeta), ma ben prima di India (9%), Stati Uniti (7%) e Giappone (5%). Questa deforestazione ha causato l’emissione di 116 milioni di tonnellate di CO2. “Stiamo letteralmente ‘mangiando’ le foreste del Pianeta, amplificando così gli impatti del cambiamento climatico che invece potremmo mitigare proteggendo gli ecosistemi naturali e ripristinando quelli degradati” aggiunge Pratesi.

In uno scenario in cui tutte le ricerche convergono sul fatto che non ci possiamo salvare dal cambiamento climatico senza fermare la deforestazione e la distruzione di altri ecosistemi naturali, la Commissione europea, a novembre 2021, ha presentato una proposta di legge per minimizzare l’impatto dei consumi europei sulle foreste del Pianeta. L’obiettivo della normativa è ridurre significativamente l’impronta ecologica del commercio internazionale richiedendo alle aziende, che immettono una serie di materie prime e prodotti sul mercato comunitario, di tracciarne l’origine e dimostrare che non siano collegati alla distruzione o al degrado delle foreste. Questa legge è una concretizzazione del “Green Deal europeo“ ed è uno dei pilastri dell’azione globale per contribuire a fermare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità. Il campo di applicazione della proposta copre tuttavia attualmente solo 6 commodities: carne e pellame di bovini, olio di palma, soia, caffè, cacao e legno. Secondo il WWF, “sebbene si tratti di un importante passo avanti che crea le basi per fare dell’UE la prima regione che riconosce il proprio peso nella deforestazione globale, la normativa presenta alcune gravi lacune che vanno colmate”. 

 

 

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

#lucenews #lucelanazione #secondhand #vintage
  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

#lucenews #isaacortman #minnesota #boyscout
Il 21 marzo è la Giornata internazionale delle Foreste. La ricorrenza, istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite per accrescere la consapevolezza del valore inestimabile di tutti i tipi di foreste e dei pericoli della deforestazione, si celebra dal 2013 in tutto il mondo, sia dove ci sono delle foreste da salvare e salvaguardare, sia dove non ci sono più ma si rimpiangono. E in questo giorno si pone attenzione su boschi e piante ma anche sugli animali che ci vivono o che in qualche modo ne beneficiano (noi umani compresi). “Quando beviamo un bicchiere d'acqua, scriviamo su un quaderno, prendiamo medicine per la febbre o costruiamo una casa, non sempre facciamo il collegamento con le foreste. Eppure, questi e molti altri aspetti della nostra vita sono collegati alle foreste in un modo o nell'altro”, si legge sul sito dell’Onu.
Un giaguaro (Panthera onca) caccia lungo il fiume, Pantanal, Brasile ( © naturepl.com / Andy Rouse / WWF)
La giornata vuol far riflettere e sensibilizzare sul ruolo che queste aree verdi, che coprono solo un terzo della Terra, hanno per la vita degli esseri umani. Le foreste puliscono l’aria che respiriamo, prevengono l’erosione del suolo, proteggono dalle alluvioni, migliorano la qualità delle acque, combattono gli effetti negativi del cambiamento climatico. Le foreste sono la casa di innumerevoli animali, piante e insetti, ospitando la maggior parte della biodiversità terrestre: secondo l’ultimo rapporto della FAO sullo stato delle foreste, 60mila specie diverse di alberi, l’80% delle specie di anfibi, il 75% delle specie di uccelli e il 68% delle specie di mammiferi della Terra.
Vista aerea del confine tra la monocoltura di palme da olio e la foresta nativa lungo il fiume Ariari, nell'Amazzonia colombiana. (© César David Martinez)
La giornata internazionale delle foreste, quindi, ha e deve avere delle conseguenze anche nella lotta ai cambiamenti climatici perché queste aree ricche di alberi sono veri e propri serbatoi di carbonio. In particolare, a livello globale, sono seconde solo agli oceani: trattengono complessivamente ben 861 miliardi di tonnellate di carbonio e ogni anno assorbono circa un terzo delle emissioni antropiche di CO2, evitandone l’accumulo in atmosfera. Le foreste, inoltre, forniscono tanti altri servizi connessi con il clima, come la produzione di ossigeno e la regolazione del regime delle piogge. Questi cruciali servizi vengono però compromessi quando gli ecosistemi naturali, come le foreste, vengono distrutti o degradati. Considerando che gli alberi sono costituiti per circa il 20% del proprio peso da carbonio, parte della CO2 assorbita dalle foreste tramite la fotosintesi viene riemessa in atmosfera quando gli alberi vengono tagliati.  In questo modo, da essere parte della soluzione le foreste diventano parte del problema: la deforestazione rappresenta, infatti, la seconda fonte umana di CO2, con ben 8 miliardi di tonnellate di CO2 emesse ogni anno dal 2000 ad oggi, periodo in cui è stato perso ben il 10% della superficie forestale mondiale. Oltre ai problemi legati al clima, la deforestazione mette a rischio la sopravvivenza delle popolazioni indigene che dipendono strettamente da questi ecosistemi e provoca la perdita dell’habitat di molte specie animali e vegetali, causandone spesso l’estinzione.
Gli allevamenti di bovini insieme all'espansione dell'agricoltura sono le principali cause di deforestazione (@Gianfranco Mancusi - WWF Paraguay)
Tutelare foreste e altri habitat è quindi indispensabile per il futuro dell'umanità, della biodiversità e dell’intero Pianeta, e ognuno di noi può contribuire. Secondo il report del WWF (pubblicato in occasione della nella Giornata internazionale delle foreste, “Deforestazione e cambiamento climatico: l’impatto dei consumi sui sistemi naturali” e realizzato in vista di Earth Hour, la mobilitazione globale del WWF per la natura e il clima del 26 marzo), quasi il 90% della deforestazione a livello globale è dovuto all’espansione dell’agricoltura, mentre altre cause quali incendi e urbanizzazione costituiscono solo una minor parte del problema. Gli allevamenti di bovini insieme alle coltivazioni di palma da olio, soia, cacao, gomma, caffè e legno sono stati responsabili del 57% della deforestazione connessa con l’agricoltura tra il 2001 e il 2015, portandoci via un’area di foreste grande quanto la Germania. Dal 2000 al 2019, a livello geografico circa il 70% della perdita di foreste si è concentrata in tropici e sub-tropici: in particolare, tra il 2000 e il 2017 sono stati persi più di 43 milioni di ettari - un'area grande quanto il Marocco - in quelli che sono stati individuati come gli hotspot della deforestazione globale: America Latina, Africa Sub-Sahariana e Sud-Est asiatico. Tra il 2001 e il 2020, i Paesi interessati dalla maggiore accelerazione nella deforestazione sono stati Repubblica Democratica del Congo, Indonesia e Brasile.
Il ciclo della deforestazione
In questo contesto, l’Unione Europea risulta essere il secondo maggiore importatore al mondo di prodotti derivati da questo processo, generando con le sue abitudini di consumo enormi impatti sulle foreste tropicali di tutto il Pianeta, ma anche su praterie, zone umide, savane e tutti quegli ecosistemi ricchi di biodiversità che vengono distrutti per fare spazio a coltivazioni, piantagioni e pascoli. “Non possiamo più permettere che i nostri consumi generino impatti così forti sugli ecosistemi ed è necessario prendere consapevolezza delle implicazioni che ogni nostra azione ha sul Pianeta" afferma Isabella Pratesi, direttore Conservazione del WWF Italia.
La deforestazione dell'Amazzonia, Colombia (© Luis Barreto WWF-UK)
Nel 2017 (ultimo anno per cui sono disponibili dati), l’Unione europea ha causato il 16% (203.000 ettari) della deforestazione associata al commercio internazionale di materie prime, dietro alla Cina (24%, in assoluto la potenza economica più impattante sulla salute del Pianeta), ma ben prima di India (9%), Stati Uniti (7%) e Giappone (5%). Questa deforestazione ha causato l’emissione di 116 milioni di tonnellate di CO2. "Stiamo letteralmente 'mangiando' le foreste del Pianeta, amplificando così gli impatti del cambiamento climatico che invece potremmo mitigare proteggendo gli ecosistemi naturali e ripristinando quelli degradati" aggiunge Pratesi. In uno scenario in cui tutte le ricerche convergono sul fatto che non ci possiamo salvare dal cambiamento climatico senza fermare la deforestazione e la distruzione di altri ecosistemi naturali, la Commissione europea, a novembre 2021, ha presentato una proposta di legge per minimizzare l’impatto dei consumi europei sulle foreste del Pianeta. L'obiettivo della normativa è ridurre significativamente l'impronta ecologica del commercio internazionale richiedendo alle aziende, che immettono una serie di materie prime e prodotti sul mercato comunitario, di tracciarne l’origine e dimostrare che non siano collegati alla distruzione o al degrado delle foreste. Questa legge è una concretizzazione del "Green Deal europeo" ed è uno dei pilastri dell’azione globale per contribuire a fermare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità. Il campo di applicazione della proposta copre tuttavia attualmente solo 6 commodities: carne e pellame di bovini, olio di palma, soia, caffè, cacao e legno. Secondo il WWF, "sebbene si tratti di un importante passo avanti che crea le basi per fare dell’UE la prima regione che riconosce il proprio peso nella deforestazione globale, la normativa presenta alcune gravi lacune che vanno colmate".     
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