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Home » HP Trio » Guerra Ucraina: Alisa, Polina e ora anche il suo fratellino. Aumentano le vittime della strage

Guerra Ucraina: Alisa, Polina e ora anche il suo fratellino. Aumentano le vittime della strage

Sette e otto anni. Uccise dai raid russi mentre erano a scuola o stavano giocando con gli amici. Secondo l'Onu i civili deceduti sarebbero 102, tra cui sette bambini, ma le autorità di Kiev parlano di almeno 352 persone uccisi, tra cui 14 bambini

Marianna Grazi
4 Marzo 2022
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Anche il fratellino di 5 anni di Polina, la bambina di 10 anni uccisa nei giorni scorsi a Kiev durante il bombardamento della capitale ucraina, è morto dopo essere stato ricoverato in terapia intensiva per le ferite riportate. A darne notizia il britannico Telegraph, che spiega che il bimbo, Semyon, era stato trasportato d’urgenza in ospedale insieme con l’altra sorella più grande Sofia, 13 anni, che resta sempre in gravi condizioni. La guerra in Ucraina, intanto, prosegue. E a farne le spese sono sempre più bambini. Vittime innocenti di una follia adulta. Qualche giorno fa avevamo raccontato la vicenda di Alisa e, appunto, Polina, due bambine uccise nei bombardamenti e negli scontri in corso nel Paese. Ma da allora il bilancio delle vittime ha continuato ad aggravarsi, anche se non ci sono cifre certe. L’Ucraina non ha sinora fornito un bilancio per quanto riguarda le perdite tra le sue fila ma la cifra si avvicina a quella dichiarata dai servizi di emergenza: oltre 2mila i civili rimasti uccisi dall’inizio dell’invasione russa il 24 febbraio. Centinaia di strutture, fra cui case, reti dei trasporti, ospedali, asili d’infanzia sono state distrutte. Di certo, insomma, non c’è nulla, se non la morte e la distruzione. Lo si sente dire spesso. Ma altrettanto certo è che le due bambine e il piccolo, di appena 5 anni, non meritassero di morire così, in una strage silenziosa che al fragore delle bombe risponde con un giovane cuore che smette di battere per sempre.

Un bambino alza verso il cielo il disegno di un angelo con i colori della bandiera ucraina (UNICEF)

Alisa e Polina: vittime di una strage silenziosa

Polina la bambina di 8 anni uccisa in uno scontro a fuoco insieme ai suoi genitori in un attacco russo, Kiev 28 febbraio 2022 (Twitter)

Alisa Hlans, appena 7 anni, stava giocando con i suoi amici quando la sua scuola elementare è stata colpita da un raid russo venerdì 25 febbraio, nel secondo giorno dell’attacco all’Ucraina. La piccola è stata una delle sei vittime del bombardamento che ha colpito il villaggio di Okhtyrka, vicino al confine nordorientale. Uccisa mentre stava facendo quello che tutti i bimbi della sua età dovrebbero poter fare in totale sicurezza: giocare, divertirsi, vivere in maniera gioiosa quello che la vita, ogni giorno, ti presenta davanti. Anche se si tratta della guerra, trovare un modo per distrarsi comportandosi nel modo più naturale possibile. Perché i bambini non dovrebbero, non devono mai essere coinvolti un un conflitto. I medici hanno tentato in tutti i modi di salvarla, ma la bambina è morta il giorno dopo in ospedale.

Polina, 10 anni, invece frequentava l’ultimo anno della scuola primaria a Kiev. Secondo le autorità, è stata uccisa insieme ai suoi genitori, Anton Kudrin e Svetlana Zapadynskaya, in uno scontro a fuoco provocato da un attacco russo. La famiglia si sarebbe ritrovata nel mezzo di un blitz delle forze speciali russe nella capitale ucraina, con l’obiettivo di sabotare centri nevralgici e individuare obiettivi da centrare con raid aerei e missilistici, ed è stata colpita mentre si trovava in strada. Il fratello e la sorella di Polina, erano stati ricoverati all’Okhmatdyt Children’s Hospital dove purtroppo il piccolo Semyon è deceduto nelle scorse ore. Ora l’ultima speranza è appesa ad un filo. Se Sofia, 13 anni, riuscirà a salvarsi, quello che scoprirà al suo risveglio sarà altrettanto tragico. Scoprirsi orfana, senza più una famiglia, nel bel mezzo di una guerra.

“They are just very young, they don’t understand.”

Olga fled Ukraine with her children when the first bombs fell. pic.twitter.com/GDsHiZ6rSw

— UNHCR, the UN Refugee Agency (@Refugees) March 1, 2022

Bambini in fuga

Una bambina ucraina in braccio alla madre. La loro casa è stata distrutta dai bombardamenti russi (UNICEF)

Tra gli oltre 500mila profughi che, secondo l’Unhcr, stanno cercando di abbandonare l’Ucraina fin dalle prime ore del conflitto si sono contati centinaia di bambini e ragazzi, in fuga dalla guerra, dalle bombe, dai missili, in cerca di un futuro altrove, lontani dai loro cari. Iconiche ad esempio le immagini del padre che scoppia in lacrime mentre saluta la figlia piccola in partenza su un autobus verso una safety zone, o quello che, sul vetro appannato del pullman che sta per portare via la sua bambina disegna un cuore, simbolo del suo amore infinito verso la ragazza, che forse non rivedrà più. Sui social e sui media di tutto il mondo si inseguono le foto e i video delle lunghe carovane di famiglie, di donne e bambini – perché a tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni è proibito uscire dal Paese – che camminano trascinandosi verso i confini della Polonia e degli altri Stati vicini.

Una giovane mamma tiene in braccio il suo bambino, mentre attendono di poter fuggire in treno dall’Ucraina (UNICEF)

C’è il piccolo Mark, ad esempio, che in un video straziante, diffuso dal The Guardian, viene intervistato in auto mentre lascia Kiev. Mentre parla con il giornalista scoppia in un pianto disperato: “Abbiamo lasciato papà a Kiev – dice -. Papà ora venderà alcune cose e aiuterà i nostri eroi, il nostro esercito. Potrebbe anche combattere”.

‘We left our dad in #Kyiv‘: young Ukrainian boy in tears after fleeing the capital.
Via The Guardian#StandForUkraine #Ukraine pic.twitter.com/m83gidzaCG

— 𝕄𝕠𝕤𝕥𝕒𝕗𝕒.𝕄 (@MostafaMe4) February 28, 2022

Volti, storie, parole che raccontano vicende indelebili, che li segneranno per tutta la vita. Ma c’è chi, questa storia, la sua storia, non la potrà più vivere, o raccontare. Come Alisa e Polina, come gli altri piccoli uccisi. I loro drammatici casi, riportati dalla Bbc, circolano in queste ore sui media internazionali, a testimonianza degli effetti brutali del conflitto anche per la popolazione civile. Ma la maggior parte delle vittime resta ancora senza nome.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Anche il fratellino di 5 anni di Polina, la bambina di 10 anni uccisa nei giorni scorsi a Kiev durante il bombardamento della capitale ucraina, è morto dopo essere stato ricoverato in terapia intensiva per le ferite riportate. A darne notizia il britannico Telegraph, che spiega che il bimbo, Semyon, era stato trasportato d'urgenza in ospedale insieme con l'altra sorella più grande Sofia, 13 anni, che resta sempre in gravi condizioni. La guerra in Ucraina, intanto, prosegue. E a farne le spese sono sempre più bambini. Vittime innocenti di una follia adulta. Qualche giorno fa avevamo raccontato la vicenda di Alisa e, appunto, Polina, due bambine uccise nei bombardamenti e negli scontri in corso nel Paese. Ma da allora il bilancio delle vittime ha continuato ad aggravarsi, anche se non ci sono cifre certe. L'Ucraina non ha sinora fornito un bilancio per quanto riguarda le perdite tra le sue fila ma la cifra si avvicina a quella dichiarata dai servizi di emergenza: oltre 2mila i civili rimasti uccisi dall'inizio dell'invasione russa il 24 febbraio. Centinaia di strutture, fra cui case, reti dei trasporti, ospedali, asili d'infanzia sono state distrutte. Di certo, insomma, non c'è nulla, se non la morte e la distruzione. Lo si sente dire spesso. Ma altrettanto certo è che le due bambine e il piccolo, di appena 5 anni, non meritassero di morire così, in una strage silenziosa che al fragore delle bombe risponde con un giovane cuore che smette di battere per sempre.
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Polina, 10 anni, invece frequentava l'ultimo anno della scuola primaria a Kiev. Secondo le autorità, è stata uccisa insieme ai suoi genitori, Anton Kudrin e Svetlana Zapadynskaya, in uno scontro a fuoco provocato da un attacco russo. La famiglia si sarebbe ritrovata nel mezzo di un blitz delle forze speciali russe nella capitale ucraina, con l'obiettivo di sabotare centri nevralgici e individuare obiettivi da centrare con raid aerei e missilistici, ed è stata colpita mentre si trovava in strada. Il fratello e la sorella di Polina, erano stati ricoverati all'Okhmatdyt Children's Hospital dove purtroppo il piccolo Semyon è deceduto nelle scorse ore. Ora l'ultima speranza è appesa ad un filo. Se Sofia, 13 anni, riuscirà a salvarsi, quello che scoprirà al suo risveglio sarà altrettanto tragico. Scoprirsi orfana, senza più una famiglia, nel bel mezzo di una guerra.

"They are just very young, they don't understand."

Olga fled Ukraine with her children when the first bombs fell. pic.twitter.com/GDsHiZ6rSw — UNHCR, the UN Refugee Agency (@Refugees) March 1, 2022

Bambini in fuga

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Una giovane mamma tiene in braccio il suo bambino, mentre attendono di poter fuggire in treno dall'Ucraina (UNICEF)
C'è il piccolo Mark, ad esempio, che in un video straziante, diffuso dal The Guardian, viene intervistato in auto mentre lascia Kiev. Mentre parla con il giornalista scoppia in un pianto disperato: “Abbiamo lasciato papà a Kiev - dice -. Papà ora venderà alcune cose e aiuterà i nostri eroi, il nostro esercito. Potrebbe anche combattere”.

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Volti, storie, parole che raccontano vicende indelebili, che li segneranno per tutta la vita. Ma c'è chi, questa storia, la sua storia, non la potrà più vivere, o raccontare. Come Alisa e Polina, come gli altri piccoli uccisi. I loro drammatici casi, riportati dalla Bbc, circolano in queste ore sui media internazionali, a testimonianza degli effetti brutali del conflitto anche per la popolazione civile. Ma la maggior parte delle vittime resta ancora senza nome.
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