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Home » HP Trio » Haven “faith” Shephard, dall’esplosione in Vietnam che le ha tolto le gambe alle Paralimpiadi di Tokyo

Haven “faith” Shephard, dall’esplosione in Vietnam che le ha tolto le gambe alle Paralimpiadi di Tokyo

La nuotatrice statunitense ha soli 18 anni ma ha già vissuto due vite: la prima, in Vietnam, con i suoi genitori biologici, poi la seconda negli Usa, quando ha deciso che sarebbe diventata un'atleta paralimpica.

Francesco Lommi
27 Agosto 2021
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Su instagram è iscritta come Haven faith Shephard, e la scelta della parola faith (fede in inglese) non sembra per nulla casuale. La storia di Haven, atleta paralimpica statunitense, è una di quelle che ti fanno capire quanto può essere dura la vita per una bambina nata in Vietnam. La giovane nuotatrice vede la luce per la prima volta nel 2003, nella provincia di Quang Nam, da genitori vietnamiti. Il suo nome era Do Thi Thuy Phuong, finchè il padre non decise che era il momento di farla finita per tutti: infatti, scoperto nella sua relazione extraconiugale, pur di non perdere sua moglie sua figlia, decide di legarsi a loro e di farsi esplodere, con due bombe a mano. Per la madre di Haven non c’è scampo. La bimba invece, miracolosamente, resiste all’esplosione, ma nell’impatto perde le gambe.  Oggi, interrogata su questo triste capitolo della sua vita, Haven risponde candidamente, ma dietro quel sorriso di circostanza si intravede una forza di volontà fuori dal comune: “Quella è una vita che non ho vissuto. Ero troppo piccola, non ho ricordi precisi di quel momento”.

I nonni, gli unici familiari rimasti a Haven, provano a prendersi carico della piccola, ma le pesanti spese economiche necessarie per la sua riabilitazione li spingono a scegliere per la via dell’adozione. Così entrano in scena Shelly e Rob Shepard, una coppia americana del Missouri, che prendono a cuore la difficilissima situazione della bimba e decidono di portarla con loro negli States, ribattezzandola Haven. Da quel momento inizia una nuova vita per la bambina, che potendo permettersi le cure e un paio di protesi, decide di buttarsi nel mondo dello sport, incoraggiata anche dai sei fratelli, tutti appassionati di sport, che si è ritrovata nella sua nuova casa. A 13 anni aveva già deciso che il suo futuro sarebbe stato lo sport e quindi che avrebbe partecipato alle Paralimpiadi. Inizialmente Haven si era avvicinata alla corsa, ma dopo qualche anno di allenamento ha capito che non era la sua disciplina preferita e, grazie ad una grande piscina nel cortile di casa Shephard, decide di dedicarsi al nuoto. Dopo cinque anni di allenamenti durissimi, spesso anche doppie sedute, Shepherd rappresenterà Team Usa per la prima volta in queste Paralimpiadi. Haven dice che in acqua si sente come sospesa. Un elemento con cui è entrata totalmente in simbiosi e dove non ha preoccupazioni. Infondo, le protesi non sono poi così fondamentali in acqua e forse è anche questo elemento che fa sentire Haven “libera”.

Prima di arrivare a Tokyo per le Paralimpiadi, Haven si è detta “fiera e orgogliosa” del lavoro e dell’allenamento portato avanti negli ultimi 5 anni. “Andarmene da Tokyo a testa alta per me varrebbe più di una medaglia” afferma la giovane nuotatrice “Avere fede significa credere senza vedere, e ho la sensazione che farò bene in questa manifestazione”. Un atto di fede nella propria forza di volontà e nelle proprie capacità: perché quando la vita le aveva tolto tutto, o quasi, Haven si è ripresa tutto. E ora vuole godersi il viaggio.

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  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Su instagram è iscritta come Haven faith Shephard, e la scelta della parola faith (fede in inglese) non sembra per nulla casuale. La storia di Haven, atleta paralimpica statunitense, è una di quelle che ti fanno capire quanto può essere dura la vita per una bambina nata in Vietnam. La giovane nuotatrice vede la luce per la prima volta nel 2003, nella provincia di Quang Nam, da genitori vietnamiti. Il suo nome era Do Thi Thuy Phuong, finchè il padre non decise che era il momento di farla finita per tutti: infatti, scoperto nella sua relazione extraconiugale, pur di non perdere sua moglie sua figlia, decide di legarsi a loro e di farsi esplodere, con due bombe a mano. Per la madre di Haven non c’è scampo. La bimba invece, miracolosamente, resiste all’esplosione, ma nell’impatto perde le gambe.  Oggi, interrogata su questo triste capitolo della sua vita, Haven risponde candidamente, ma dietro quel sorriso di circostanza si intravede una forza di volontà fuori dal comune: “Quella è una vita che non ho vissuto. Ero troppo piccola, non ho ricordi precisi di quel momento”. I nonni, gli unici familiari rimasti a Haven, provano a prendersi carico della piccola, ma le pesanti spese economiche necessarie per la sua riabilitazione li spingono a scegliere per la via dell’adozione. Così entrano in scena Shelly e Rob Shepard, una coppia americana del Missouri, che prendono a cuore la difficilissima situazione della bimba e decidono di portarla con loro negli States, ribattezzandola Haven. Da quel momento inizia una nuova vita per la bambina, che potendo permettersi le cure e un paio di protesi, decide di buttarsi nel mondo dello sport, incoraggiata anche dai sei fratelli, tutti appassionati di sport, che si è ritrovata nella sua nuova casa. A 13 anni aveva già deciso che il suo futuro sarebbe stato lo sport e quindi che avrebbe partecipato alle Paralimpiadi. Inizialmente Haven si era avvicinata alla corsa, ma dopo qualche anno di allenamento ha capito che non era la sua disciplina preferita e, grazie ad una grande piscina nel cortile di casa Shephard, decide di dedicarsi al nuoto. Dopo cinque anni di allenamenti durissimi, spesso anche doppie sedute, Shepherd rappresenterà Team Usa per la prima volta in queste Paralimpiadi. Haven dice che in acqua si sente come sospesa. Un elemento con cui è entrata totalmente in simbiosi e dove non ha preoccupazioni. Infondo, le protesi non sono poi così fondamentali in acqua e forse è anche questo elemento che fa sentire Haven “libera”. Prima di arrivare a Tokyo per le Paralimpiadi, Haven si è detta “fiera e orgogliosa” del lavoro e dell’allenamento portato avanti negli ultimi 5 anni. “Andarmene da Tokyo a testa alta per me varrebbe più di una medaglia” afferma la giovane nuotatrice “Avere fede significa credere senza vedere, e ho la sensazione che farò bene in questa manifestazione”. Un atto di fede nella propria forza di volontà e nelle proprie capacità: perché quando la vita le aveva tolto tutto, o quasi, Haven si è ripresa tutto. E ora vuole godersi il viaggio.
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