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Home » HP Trio » Il Comitato olimpico internazionale ufficializza la squadra dei rifugiati per i Giochi di Tokyo

Il Comitato olimpico internazionale ufficializza la squadra dei rifugiati per i Giochi di Tokyo

Dopo l'esordio a Rio 2016 la squadra olimpica dei Rifugiati parteciperà ai Giochi del 2021 con quasi il triplo degli atleti. Bach: "Parte integrante della comunità olimpica"

Marianna Grazi
10 Giugno 2021
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La bandiera ufficiale degli atleti rifugiati sarà quella bianca con i cinque cerchi olimpici

Saranno 29 gli atleti della squadra dei Rifugiati, che parteciperanno alle Olimpiadi di Tokyo 2020+1. Ad rendere note le nomine ufficiali è stato il comitato Olimpico Internazionale (CIO). Presenti in dodici differenti discipline sportive, gareggeranno sotto la bandiera bianca a cinque cerchi, simbolo dei Giochi.

Gli atleti sono stati selezionati tra i rifugiati attualmente supportati dal Cio attraverso il programma ‘Olympic Scholarships for Refugee Athletes’. Introdotta per la prima volta all’edizione di Rio 2016, questa squadra 5 anni fa contava 10 membri. La decisione di ampliarla è stata presa dall’Esecutivo del Cio riunitosi in videoconferenza. Ma il Team, oltre ad essere quasi tre volte più ampio,  cambia anche il nome. L’acronimo del Refugee Olympic Team (ROT) è stato infatti sostituito dal nome francese Equipe Olympique des Refugies (EOR).

Il presidente del Cio Thomas Bach, nel complimentarsi per le nomine degli atleti, ha sottolineato che “Gli atleti rifugiati sono un arricchimento per tutti noi dell’intera comunità olimpica. Le ragioni per cui abbiamo creato questa squadra esistono ancora”. “Congratulazioni a tutti voi, parlo a nome dell’intero movimento olimpico quando dico che non vediamo l’ora di incontrarvi di persona e di vedervi gareggiare a Tokyo – ha aggiunto rivolgendosi agli atleti – Quando voi, squadra olimpica dei rifugiati del Cio e gli atleti dei Comitati Olimpici Nazionali di tutto il mondo, vi riunirete finalmente a Tokyo il 23 luglio, invierete un potente messaggio di solidarietà, resilienza e speranza al mondo: siete parte integrante della nostra comunità olimpica”.

Durante la cerimonia di apertura dei Giochi la squadra sfilerà nel nuovissimo Japan National Stadium in seconda posizione, subito dopo la Grecia, poi, come il resto delle delegazioni, vivrà dentro il villaggio olimpico per tutta la durata delle competizioni. In tutte le occasioni ufficiali (comprese eventuali cerimonie di medaglia), verrà issata la bandiera olimpica e verrà suonato l’inno olimpico.

“Il Comitato Organizzatore di Tokyo 2020 accoglie con piacere la partecipazione del Team Olimpico dei Rifugiati del CIO ai Giochi Olimpici di Tokyo 2020 dopo il debutto ai Giochi Olimpici di Rio 2016 – ha dichiarato la presidente di Tokyo 2020 Seiko Hashimoto – La partecipazione della Squadra Olimpica dei Rifugiati del CIO ai Giochi di Tokyo 2020, che saranno sia un festival sportivo che una celebrazione della pace, attirerà l’attenzione del mondo sulla questione, rafforzando ulteriormente gli sforzi per raggiungere la pace nel mondo attraverso l’eliminazione di guerre e conflitti che spingono le persone a fuggire dalla loro patria”.

Foto di IOC/Greg Martin

Gli atleti della squadra dei Rifugiati a Tokyo 2020+1: Abdullah Sediqi (Afghanistan) – Taekwondo, Ahmad Baddredin Wais (Siria) – Ciclismo, Ahmad Alikaj (Siria) – Judo, Aker Al Obaidi (Iraq) – Lotta, Alaa Maso (Siria) – Nuoto, Anjelina Nadai Lohalith (Sudan del Sud) – Atletica leggera, Aram Mahmoud (Siria) – Badminton, Cyrille Fagat Tchatchet II (Camerun) – Sollevamento pesi, Dina Pouryounes Langeroudi (Iran) – Taekwondo, Dorian Keletela (Congo) – Atletica, Eldric Sella Rodriguez (Venezuela) – Boxe, Hamoon Derafshipour (Iran) – Karate, Jamal Abdelmaji Eisa Mohammed (Sudan) – Atletica, James Nyang Chiengjiek (Sudan del Sud) – Atletica leggera, Javad Majoub (Iran) – Judo, Kimia Alizadeh Zenozi (Iran) – Taekwondo, Luna Solomon (Eritrea) – Tiro , Masomah Ali Zada (Afghanistan) – Ciclismo, Muna Dahouk (Siria) – Judo , Nigara Shaheen (Afghanistan) – Judo, Paulo Amotun Lokoro (Sudan del Sud) – Atletica, Popole Misenga (DR Congo) – Judo, Rose Nathike Lokonyen (Sud Sudan) – Atletica, Saeid Fazloula (Iran) – Canoa, Sanda Aldass (Siria) – Judo, Tachlowini Gabriyesos (Eritrea) – Atletica, Wael Sheub (Siria) – Karate, Wessam Salamana (Siria) – Boxe, Yusra Mardini (Siria) – Nuoto.

La nascita della squadra olimpica dei Rifugiati risale all’assemblea Generale delle Nazioni Unite nell’ottobre 2015, quando, di fronte alla crisi globale che ha visto milioni di persone nel mondo sfollate, il Presidente del CIO Thomas Bach aveva annunciato la sua creazione, con l’obiettivo di farla partecipare ai Giochi Olimpici di Rio 2016. L’intento era quello di inviare un messaggio di speranza e solidarietà a milioni di rifugiati in tutto il mondo e di ispirare le persone di tutti i ceti sociali con la forza del loro spirito.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

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