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Il lager libico dove si torturano i migranti rapiti. Se non paghi il riscatto al boss non esci vivo

di DOMENICO GUARINO -
16 luglio 2021
UNHCR, '6.200 RIPORTATI IN LIBIA, CONDIZIONI RACCAPRICCIANTI'

UNHCR, '6.200 RIPORTATI IN LIBIA, CONDIZIONI RACCAPRICCIANTI'

"Haithem è il nome del libico che comanda. Lui si fa aiutare dal fratello Ismael: sono violenti e armati e con il loro gruppo mi tenevano rinchiuso insieme ad altri 300 migranti, bengalesi e subsahariani”. E’ solo una delle testimonianze raccolte negli ultimi 9 mesi dal team medico-psicologico di Medici per i Diritti Umani (Medu) presso l'ambulatorio di Ragusa, in Sicilia. Migranti vulnerabili e sopravvissuti a diversi mesi di detenzione e torture presso il centro di sequestro di Al Harsha in Libia. Tutti hanno dovuto pagare un riscatto tramite le loro famiglie per essere rilasciati. Il lager di Al Harsha si trova ad Al-Zawija, città costiera situata 50 chilometri ad ovest di Tripoli. Essa è uno dei principali punti di imbarco utilizzati dai trafficanti per far salpare i migranti verso l’Italia. I testimoni non solo hanno descritto le atrocità che vengono consumate in questo centro illegale, ma hanno anche denunciato la connivenza tra i criminali di Al Harsha e i miliziani che controllano la prigione Al-Nasr di Al-Zawija, chiamata anche Ossama Prison, sotto il formale controllo del governo libico. Secondo le testimonianze dei migranti detenuti nel centro di Al Harsha esso può arrivare a contenere anche 200-300 persone recluse.  A capo del lager  un uomo libico di nome Haithem che possiede anche una pompa di benzina a pochi metri dal centro. Haithem dispone di un gruppo di uomini armati e violenti e di un braccio destro, il fratello Ismael.

La zona in cui sorge il lager dei migranti

Torture ed estorsioni

I migranti (subsahariani e bengalesi soprattutto) sequestrati vengono sistematicamente torturati dai rapitori a scopo di estorsione. Per essere rilasciati occorre pagare un riscatto di 3.000 / 5.000 euro. Al suo interno vengono praticate le più atroci forme di tortura fisica e psicologica. E come se non bastasse I criminali libici di Al Harsha esigono spesso l’aiuto di altri migranti nella pratica della tortura.

Mi hanno picchiato e maltrattato per 2 mesi, trattato peggio di una bestia, e mi hanno negato cibo e acqua”racconta un altro testimone. E ancora “mentre ero recluso ad Al Harsha ho visto decine di migranti bengalesi come me presi a pugni e calci, colpiti col bastone, umiliati. Haithem, il libico, spesso si fa aiutare da altri migranti a torturare le persone rapite: li costringe a farlo ed alcuni li paga. Mentre ero lì dentro ho visto più volte arrivare soldati e altri migranti bengalesi. Ho capito e sentito che provenivano da Ossama Prison. Haithem tiene rapporti con i soldati di quel carcere e fa affari con loro. Anche loro chiedono il riscatto e vendono le persone incarcerate”.  

Migranti torturano migranti

Alcuni dei torturatori, di origine bengalese, si trovano attualmente sotto processo presso il tribunale di Palermo con l’accusa di aver collaborato a diverse tipologie di violenze e soprusi. E alcuni dei migranti che hanno raccontato la loro storia a MEDU stanno attualmente testimoniando alle udienze del processo. Mentre il parlamento italiano ieri ha approvato il rifinanziamento dei fondi destinati alla Guardia costiera libica, Medu torna a chiedere “un cambiamento radicale del governo italiano nelle relazioni con la Libia in merito alla questione migratoria, con un approccio che anteponga a qualsiasi tipo di collaborazione il prioritario rispetto dei diritti umani dei migranti”. “ Sebbene sia doveroso da parte dell'Italia collaborare con quel Paese al fine di contribuire al suo processo di stabilizzazione e di democratizzazione -aggiunge Medu -  il nostro governo non può ipocritamente ignorare le gravissime violazioni dei diritti umani che si compiono nei confronti di decine di migliaia di migranti detenuti nei suoi centri di detenzione formali e informali, né può ignorare il ruolo svolto dalla Guardia costiera libica nel riportare migliaia di persone in questi veri e propri lager contemporanei”