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Home » HP Trio » Il lager libico dove si torturano i migranti rapiti. Se non paghi il riscatto al boss non esci vivo

Il lager libico dove si torturano i migranti rapiti. Se non paghi il riscatto al boss non esci vivo

La denuncia di Medici per i diritti umani: mIgranti bengalesi e subsahariani arrivati in Libia devono fare i conti la feroce malavita locale, prima di tentare la traversata per l'Italia. Rapiti dalla cosca di cui è capo Haithem, chiusi nel lager di Al Harsha ad Al-Zawija. I parenti devono pagare per la libertà dei congiunti, doppiamente disperati

Domenico Guarino
16 Luglio 2021
Un gruppo di 301 migranti africani, tra cui 46 bambini, ?? stato salvato dalla Guardia costiera libica a bordo di due grandi gommoni in panne a ovest di Tripoli, 21 giugno 2018. Tra i migranti, di 12 diverse nazionalit?? africane, vi sono anche tre donne. I clandestini, dopo aver ricevuto servizi umanitari e medici, sono stati consegnati al centro di accoglienza di Trig al Seka dell'Autorit?? per la lotta contro l'immigrazione clandestina.
ANSA/ZUHAIR ABUSREWIL

Un gruppo di 301 migranti africani, tra cui 46 bambini, ?? stato salvato dalla Guardia costiera libica a bordo di due grandi gommoni in panne a ovest di Tripoli, 21 giugno 2018. Tra i migranti, di 12 diverse nazionalit?? africane, vi sono anche tre donne. I clandestini, dopo aver ricevuto servizi umanitari e medici, sono stati consegnati al centro di accoglienza di Trig al Seka dell'Autorit?? per la lotta contro l'immigrazione clandestina. ANSA/ZUHAIR ABUSREWIL

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“Haithem è il nome del libico che comanda. Lui si fa aiutare dal fratello Ismael: sono violenti e armati e con il loro gruppo mi tenevano rinchiuso insieme ad altri 300 migranti, bengalesi e subsahariani”. E’ solo una delle testimonianze raccolte negli ultimi 9 mesi dal team medico-psicologico di Medici per i Diritti Umani (Medu) presso l’ambulatorio di Ragusa, in Sicilia. Migranti vulnerabili e sopravvissuti a diversi mesi di detenzione e torture presso il centro di sequestro di Al Harsha in Libia. Tutti hanno dovuto pagare un riscatto tramite le loro famiglie per essere rilasciati.

Il lager di Al Harsha si trova ad Al-Zawija, città costiera situata 50 chilometri ad ovest di Tripoli. Essa è uno dei principali punti di imbarco utilizzati dai trafficanti per far salpare i migranti verso l’Italia.

I testimoni non solo hanno descritto le atrocità che vengono consumate in questo centro illegale, ma hanno anche denunciato la connivenza tra i criminali di Al Harsha e i miliziani che controllano la prigione Al-Nasr di Al-Zawija, chiamata anche Ossama Prison, sotto il formale controllo del governo libico.

Secondo le testimonianze dei migranti detenuti nel centro di Al Harsha esso può arrivare a contenere anche 200-300 persone recluse.  A capo del lager  un uomo libico di nome Haithem che possiede anche una pompa di benzina a pochi metri dal centro. Haithem dispone di un gruppo di uomini armati e violenti e di un braccio destro, il fratello Ismael.

La zona in cui sorge il lager dei migranti

Torture ed estorsioni

I migranti (subsahariani e bengalesi soprattutto) sequestrati vengono sistematicamente torturati dai rapitori a scopo di estorsione. Per essere rilasciati occorre pagare un riscatto di 3.000 / 5.000 euro. Al suo interno vengono praticate le più atroci forme di tortura fisica e psicologica. E come se non bastasse I criminali libici di Al Harsha esigono spesso l’aiuto di altri migranti nella pratica della tortura.

“ Mi hanno picchiato e maltrattato per 2 mesi, trattato peggio di una bestia, e mi hanno negato cibo e acqua”racconta un altro testimone. E ancora “mentre ero recluso ad Al Harsha ho visto decine di migranti bengalesi come me presi a pugni e calci, colpiti col bastone, umiliati. Haithem, il libico, spesso si fa aiutare da altri migranti a torturare le persone rapite: li costringe a farlo ed alcuni li paga. Mentre ero lì dentro ho visto più volte arrivare soldati e altri migranti bengalesi. Ho capito e sentito che provenivano da Ossama Prison. Haithem tiene rapporti con i soldati di quel carcere e fa affari con loro. Anche loro chiedono il riscatto e vendono le persone incarcerate”.

 

Migranti torturano migranti

Alcuni dei torturatori, di origine bengalese, si trovano attualmente sotto processo presso il tribunale di Palermo con l’accusa di aver collaborato a diverse tipologie di violenze e soprusi. E alcuni dei migranti che hanno raccontato la loro storia a MEDU stanno attualmente testimoniando alle udienze del processo.

Mentre il parlamento italiano ieri ha approvato il rifinanziamento dei fondi destinati alla Guardia costiera libica, Medu torna a chiedere “un cambiamento radicale del governo italiano nelle relazioni con la Libia in merito alla questione migratoria, con un approccio che anteponga a qualsiasi tipo di collaborazione il prioritario rispetto dei diritti umani dei migranti”.

“ Sebbene sia doveroso da parte dell’Italia collaborare con quel Paese al fine di contribuire al suo processo di stabilizzazione e di democratizzazione -aggiunge Medu –  il nostro governo non può ipocritamente ignorare le gravissime violazioni dei diritti umani che si compiono nei confronti di decine di migliaia di migranti detenuti nei suoi centri di detenzione formali e informali, né può ignorare il ruolo svolto dalla Guardia costiera libica nel riportare migliaia di persone in questi veri e propri lager contemporanei”

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
"Haithem è il nome del libico che comanda. Lui si fa aiutare dal fratello Ismael: sono violenti e armati e con il loro gruppo mi tenevano rinchiuso insieme ad altri 300 migranti, bengalesi e subsahariani”. E’ solo una delle testimonianze raccolte negli ultimi 9 mesi dal team medico-psicologico di Medici per i Diritti Umani (Medu) presso l'ambulatorio di Ragusa, in Sicilia. Migranti vulnerabili e sopravvissuti a diversi mesi di detenzione e torture presso il centro di sequestro di Al Harsha in Libia. Tutti hanno dovuto pagare un riscatto tramite le loro famiglie per essere rilasciati. Il lager di Al Harsha si trova ad Al-Zawija, città costiera situata 50 chilometri ad ovest di Tripoli. Essa è uno dei principali punti di imbarco utilizzati dai trafficanti per far salpare i migranti verso l’Italia. I testimoni non solo hanno descritto le atrocità che vengono consumate in questo centro illegale, ma hanno anche denunciato la connivenza tra i criminali di Al Harsha e i miliziani che controllano la prigione Al-Nasr di Al-Zawija, chiamata anche Ossama Prison, sotto il formale controllo del governo libico. Secondo le testimonianze dei migranti detenuti nel centro di Al Harsha esso può arrivare a contenere anche 200-300 persone recluse.  A capo del lager  un uomo libico di nome Haithem che possiede anche una pompa di benzina a pochi metri dal centro. Haithem dispone di un gruppo di uomini armati e violenti e di un braccio destro, il fratello Ismael.
La zona in cui sorge il lager dei migranti

Torture ed estorsioni

I migranti (subsahariani e bengalesi soprattutto) sequestrati vengono sistematicamente torturati dai rapitori a scopo di estorsione. Per essere rilasciati occorre pagare un riscatto di 3.000 / 5.000 euro. Al suo interno vengono praticate le più atroci forme di tortura fisica e psicologica. E come se non bastasse I criminali libici di Al Harsha esigono spesso l’aiuto di altri migranti nella pratica della tortura.

“ Mi hanno picchiato e maltrattato per 2 mesi, trattato peggio di una bestia, e mi hanno negato cibo e acqua”racconta un altro testimone. E ancora “mentre ero recluso ad Al Harsha ho visto decine di migranti bengalesi come me presi a pugni e calci, colpiti col bastone, umiliati. Haithem, il libico, spesso si fa aiutare da altri migranti a torturare le persone rapite: li costringe a farlo ed alcuni li paga. Mentre ero lì dentro ho visto più volte arrivare soldati e altri migranti bengalesi. Ho capito e sentito che provenivano da Ossama Prison. Haithem tiene rapporti con i soldati di quel carcere e fa affari con loro. Anche loro chiedono il riscatto e vendono le persone incarcerate”.  

Migranti torturano migranti

Alcuni dei torturatori, di origine bengalese, si trovano attualmente sotto processo presso il tribunale di Palermo con l’accusa di aver collaborato a diverse tipologie di violenze e soprusi. E alcuni dei migranti che hanno raccontato la loro storia a MEDU stanno attualmente testimoniando alle udienze del processo. Mentre il parlamento italiano ieri ha approvato il rifinanziamento dei fondi destinati alla Guardia costiera libica, Medu torna a chiedere “un cambiamento radicale del governo italiano nelle relazioni con la Libia in merito alla questione migratoria, con un approccio che anteponga a qualsiasi tipo di collaborazione il prioritario rispetto dei diritti umani dei migranti”. “ Sebbene sia doveroso da parte dell'Italia collaborare con quel Paese al fine di contribuire al suo processo di stabilizzazione e di democratizzazione -aggiunge Medu -  il nostro governo non può ipocritamente ignorare le gravissime violazioni dei diritti umani che si compiono nei confronti di decine di migliaia di migranti detenuti nei suoi centri di detenzione formali e informali, né può ignorare il ruolo svolto dalla Guardia costiera libica nel riportare migliaia di persone in questi veri e propri lager contemporanei”
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