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Home » HP Trio » Il Sudafrica piange Desmond Tutu, simbolo della resistenza contro l’apartheid

Il Sudafrica piange Desmond Tutu, simbolo della resistenza contro l’apartheid

Novant'anni, l'arcivescovo anglicano vinse nel 1984 il premio Nobel per la Pace come simbolo della lotta non violenta contro il regime razzista

Domenico Guarino
26 Dicembre 2021
’arcivescovo Desmond Tutu, scomparso all’età di90 anni

’arcivescovo Desmond Tutu, scomparso all’età di 90 anni

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“Una figura essenziale della storia” del Paese. Lo ha definito così, nell’annunciare la sua scomparsa, il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa, esprimendo “a nome di tutti i sudafricani, profonda tristezza per la morte”. L’arcivescovo Desmond Tutu, che è scomparso oggi all’età di 90 anni, non è stato solo un prelato di straordinaria statura spirituale. Insieme con Nelson Mandela ha rappresentato, peri sudafricani come per tutti coloro hanno a cuore la giustizia ed i diritti umani, una delle figure più significative dell’intero XX secolo.

Con Mandela, Tutu ha rappresentato la voce della critica all’apartheid
Con Mandela, Tutu ha rappresentato la voce della critica all’apartheid

E quindi quella tristezza oggi i sudafricani la condividono con miliardi di persone nel mondo. Simbolo della resistenza contro l’apartheid e promotore della riconciliazione nazionale, Tutu, 90 anni, arcivescovo anglicano, aveva vinto nel 1984 il premio Nobel per la Pace come punto di riferimento della lotta non violenta contro il regime razzista. Fu lui che, dopo la fine dell’apartheid, dopo che Nelson Mandela era stato eletto presidente del nuovo Sudafrica, ideò e presiedette la Commissione per la Verità e la Riconciliazione (Trc), creata nel 1995, per fare sulle atrocità commesse durante i decenni di repressione da parte dei bianchi. Con quella commissione, il perdono da elemento cardine della religione cristiana divenne il fulcro di una nuova concezione del diritto penale, essendo accordato a chi, fra i responsabili di quelle atrocità commesse, avesse pienamente confessato.

Un modo per sanare le lacerazioni di un passato sanguinario, la cui ombra avrebbe altrimenti pesato in maniera forse insostenibile sulle gambe della giovanissima democrazia uscita dalla fine dell’apartheid. Sorriso bonario, sguardo intenso ed espressivo, una mimica facciale inconfondibile e la gestualità irrituale della tradizione africana: Tutu ha lottato per tutta la sua vita affinché il termine ‘diritti’ non fosse una beffa per tantissimi, traducendosi in privilegi per pochi. “Non mi interessa raccogliere briciole di compassione buttate dal tavolo da qualcuno che si considera il mio maestro. Voglio il menu completo dei diritti” ebbe modo di dire una volta, con la sua consueta radicalità che non ammetteva compromessi al ribasso.

Tutu tra nato nel 1931 a Klerksdorp, Transvaal, ed era diventato il primo arcivescovo anglicano nero di Città del Capo e di Johannesburg
Nato nel 1931 a Klerksdorp, Tutu era diventato il primo arcivescovo anglicano nero di Città del Capo e di Johannesburg

Era nato nel 1931 a Klerksdorp, Transvaal, Sud Africa, ed era diventato il primo arcivescovo anglicano nero di Città del Capo e di Johannesburg. Attraverso le sue conferenze e scritti di critica all’apartheid, era conosciuto come la “voce” dei sudafricani neri che non avevano voce. Dopo la rivolta degli studenti a Soweto sfociata in tumulti, Tutu sostenne il boicottaggio economico del suo paese, ma da sempre, costantemente, incoraggiava la riconciliazione tra le varie fazioni associate all’apartheid.

Nel suo lavoro sui diritti umani, Tutu per tutta la vita ha cercato di costruire, come diceva, “una società giusta e democratica, senza divisioni razziali”. In virtù della sua attività, oltre al Premio Nobel, gli sono stati conferiti numerosi riconoscimenti, tra cui la Pacem in Terris Award, il Vescovo John T. Walker Distinguished Humanitarian Service Award, il Premio Lincoln e il Premio Leadership Gandhi Peace. Fino alla fine Tutu ha continuato a viaggiare molto, a lottare per i diritti umani e l’uguaglianza di tutti i popoli, sia all’interno del Sud Africa sia a livello internazionale.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
“Una figura essenziale della storia” del Paese. Lo ha definito così, nell’annunciare la sua scomparsa, il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa, esprimendo “a nome di tutti i sudafricani, profonda tristezza per la morte”. L’arcivescovo Desmond Tutu, che è scomparso oggi all’età di 90 anni, non è stato solo un prelato di straordinaria statura spirituale. Insieme con Nelson Mandela ha rappresentato, peri sudafricani come per tutti coloro hanno a cuore la giustizia ed i diritti umani, una delle figure più significative dell’intero XX secolo.
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E quindi quella tristezza oggi i sudafricani la condividono con miliardi di persone nel mondo. Simbolo della resistenza contro l’apartheid e promotore della riconciliazione nazionale, Tutu, 90 anni, arcivescovo anglicano, aveva vinto nel 1984 il premio Nobel per la Pace come punto di riferimento della lotta non violenta contro il regime razzista. Fu lui che, dopo la fine dell’apartheid, dopo che Nelson Mandela era stato eletto presidente del nuovo Sudafrica, ideò e presiedette la Commissione per la Verità e la Riconciliazione (Trc), creata nel 1995, per fare sulle atrocità commesse durante i decenni di repressione da parte dei bianchi. Con quella commissione, il perdono da elemento cardine della religione cristiana divenne il fulcro di una nuova concezione del diritto penale, essendo accordato a chi, fra i responsabili di quelle atrocità commesse, avesse pienamente confessato. Un modo per sanare le lacerazioni di un passato sanguinario, la cui ombra avrebbe altrimenti pesato in maniera forse insostenibile sulle gambe della giovanissima democrazia uscita dalla fine dell’apartheid. Sorriso bonario, sguardo intenso ed espressivo, una mimica facciale inconfondibile e la gestualità irrituale della tradizione africana: Tutu ha lottato per tutta la sua vita affinché il termine ‘diritti’ non fosse una beffa per tantissimi, traducendosi in privilegi per pochi. “Non mi interessa raccogliere briciole di compassione buttate dal tavolo da qualcuno che si considera il mio maestro. Voglio il menu completo dei diritti” ebbe modo di dire una volta, con la sua consueta radicalità che non ammetteva compromessi al ribasso.
Tutu tra nato nel 1931 a Klerksdorp, Transvaal, ed era diventato il primo arcivescovo anglicano nero di Città del Capo e di Johannesburg
Nato nel 1931 a Klerksdorp, Tutu era diventato il primo arcivescovo anglicano nero di Città del Capo e di Johannesburg
Era nato nel 1931 a Klerksdorp, Transvaal, Sud Africa, ed era diventato il primo arcivescovo anglicano nero di Città del Capo e di Johannesburg. Attraverso le sue conferenze e scritti di critica all’apartheid, era conosciuto come la “voce” dei sudafricani neri che non avevano voce. Dopo la rivolta degli studenti a Soweto sfociata in tumulti, Tutu sostenne il boicottaggio economico del suo paese, ma da sempre, costantemente, incoraggiava la riconciliazione tra le varie fazioni associate all’apartheid. Nel suo lavoro sui diritti umani, Tutu per tutta la vita ha cercato di costruire, come diceva, “una società giusta e democratica, senza divisioni razziali”. In virtù della sua attività, oltre al Premio Nobel, gli sono stati conferiti numerosi riconoscimenti, tra cui la Pacem in Terris Award, il Vescovo John T. Walker Distinguished Humanitarian Service Award, il Premio Lincoln e il Premio Leadership Gandhi Peace. Fino alla fine Tutu ha continuato a viaggiare molto, a lottare per i diritti umani e l’uguaglianza di tutti i popoli, sia all’interno del Sud Africa sia a livello internazionale.
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