Da Charlotte Bronte a J.K. Rowling, nel corso del tempo e perfino ai giorni nostri molte scrittrici si sono celate dietro pseudonimi maschili, un po’ per tutelare la propria identità un po’ per rendere più appetibili i titoli in un mercato ancora molto ‘maschilista’. Basti pensare che, rimanendo sull’attualità, dal 1901 ad oggi sono stati assegnati alle donne solo 16 Premi Nobel per la Letteratura, nonostante – non solo in Italia – si tenda a spingere il genere femminile verso gli studi umanistici piuttosto che scientifici. Certo di esempi celebri, nei secoli, ce ne sono stati e oggi il panorama librario internazionale offre firme eccelse anche e soprattutto al femminile. Ma, come la ‘madrina’ del celebre maghetto ci insegna, spesso conviene celarsi dietro un nome di uomo per non incorrere in spiacevoli risposte del pubblico o della critica.
Al giorno d’oggi però accade anche il contrario. Venerdì 15 ottobre la misteriosa autrice di gialli Carmen Mola ha vinto il premio Planeta, il più importante riconoscimento spagnolo per la narrativa assegnato a romanzi non ancora pubblicati e, da questa edizione, il più ricco premio letterario al mondo. Per il suo “La Bestia”, un thriller storico ambientato durante l’epidemia di colera di Madrid del 1834, Mola ha ricevuto 1 milione di euro, più di quelli che si ottengono col Nobel. Ma a destare scalpore è stato soprattutto il fatto che a riceverlo sono stati tre uomini: Jorge Díaz, Antonio Mercero e Agustín Martínez.
Dietro allo pseudonimo infatti si celano i tre sceneggiatori televisivi che hanno già scritto insieme quattro romanzi, se si considera anche l’ultimo che uscirà in Spagna a novembre. I primi tre, “La novia gitana” (2018), “La red púrpura” (2019) e “La nena” (2020), sono stati tradotti in otto paesi e hanno venduto più di 400mila copie. “Pensavamo che nessuno avrebbe letto un romanzo con tre nomi in copertina”, ha raccontato Díaz al quotidiano El País. “Per un minuto e mezzo abbiamo proposto nomi maschili, femminili, stranieri”, ha detto Martínez e Mercero ha aggiunto: “Qualcuno ha detto Carmen, così, semplice, molto spagnolo, e ci è piaciuto. Carmen mola, ¿no? [in spagnolo “Carmen piace, no?”] Da cui Carmen Mola“, ha concluso divertito. Un aneddoto speciale, per qualcosa che non si era mai vista, almeno in Spagna: uomini che scelgono volontariamente di usare un’identità femminile per il loro lavoro. E non solo il nome: gli autori avevano anche inventato una biografia minima per Mola: si sarebbe trattato di una professoressa di Madrid, con due, e poi tre, figli, desiderosa di rimanere anonima. Insomma una sorta di “Elena Ferrante spagnola”, come gli stessi iberici amavano definirla.
“Non so se uno pseudonimo femminile venda di più di uno maschile, non ne ho idea, non mi pare – ha detto ancoa Antonio Mercero –. Non ci siamo nascosti dietro una donna, ma dietro un nome”. Se molti lettori, in Spagna, hanno pensato che la storia di una professoressa che di giorno insegna algebra e nel tempo libero scrive romanzi sia stata dettata da una strategia di marketing, c’è anche chi, come Beatriz Gimeno ha criticato molto più duramente gli sceneggiatori. Il membro di Podemos, consigliera comunale della capitale ed ex direttrice dell’Instituto de las Mujeres (“Istituto delle donne”) ha affidato a Twitter il proprio sdegno: “Oltre a usare uno pseudonimo femminile, questi tre si sono fatti intervistare per anni. Non è solo il nome, è il falso profilo con cui hanno preso in giro lettori e giornalisti. Truffatori“. Che si tratti di una mossa ipocrita o meno, la scoperta della ‘vera identità’ di Carmen Mola rende palese la strategia commerciale portata avanti dalla casa editrice spagnola Planeta con il suo generosissimo premio. Che può essere vinto solo per libri che saranno pubblicati dalla stessa: un bell’incentivo per portare tra le proprie fila scrittori che lavorano con la concorrenza. Come è accaduto, di fatto, per Díaz, Mercero e Martínez: i loro primi tre romanzi erano stati pubblicati da Alfaguara, mentre “La Bestia” sarà pubblicato da Planeta.